Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La decisione di papa Ratzinger di "liberalizzare" la messa in latino secondo il rito del Concilio di Trento, ha determinato una serie di commenti, favorevoli o sfavorevoli, che andavano comunque nel senso della sottolineatura della presenza di un nocciolo irriducibile del tradizionalismo cattolico. Commenti del genere, più o meno entusiasti o preoccupati, c'erano stati anche in occasione del cosiddetto "Family day" di qualche settimana fa.
Ma esiste davvero un "tradizionalismo" cattolico?
Va tenuto presente che per una Chiesa che si dichiara "universale" (questo è il senso della parola "cattolico"), adoperare una lingua internazionale per la sua liturgia sarebbe perfettamente coerente con questo carattere universale. D'altra parte quando arrivò l'improvvisa decisione del Concilio Vaticano II di avviare la riforma liturgica, a suo tempo nessuno - proprio nessuno - all'interno della Chiesa Cattolica si oppose adoperando l'ovvio argomento dell'universalismo.
Anzi, non vi fu nessuna opposizione, dato che il conformismo cattolico si adeguò all'istante, misconoscendo secoli di tradizione. Vi fu, per la verità, una reazione, ma non brillò certo per fervore religioso, ma solo per affarismo.
I magazzini delle case editrici cattoliche si ritrovavano nei depositi milioni di messali del vecchio rito, che il deliberato del Concilio avrebbe reso irrimediabilmente superati. Si trattava spesso di libri di lusso, con rilegatura in pelle e tanto di bordatura in oro. Qualche settimana prima che la riforma liturgica venisse ufficialmente annunciata, le scuole cattoliche e le organizzazioni ecclesiali organizzarono una vendita di massa a tutti gli ignari che fossero ancora sprovvisti del messale, presentando come un dovere dei fedeli il dotarsi di un oggetto tanto necessario.
Milioni di fedeli furono truffati e indotti a sborsare del denaro per ritrovarsi in mano un oggetto che sarebbe diventato inutile di lì a poche settimane (ammesso che anche prima servisse a qualcosa).
La bandiera della messa tridentina fu recuperata molti anni più tardi dal vescovo, "tradizionalista" e/o "ribelle", Marcel Lefebvre, che, come è noto, fu a un certo punto anche scomunicato a causa della sua decisione di ordinare altri vescovi, cosa che comportava un vero scisma.
La comunicazione di massa in tutti questi anni, sia prima che dopo la morte di Lefebvre nel 1991, non ha mai messo in discussione la consistenza della sua pretesa ortodossia cattolica. Per sostenere questa finzione, i giornalisti e gli opinionisti hanno dovuto sorvolare su un "dettaglio" piuttosto vistoso, cioè i rapporti politici, ideologici e finanziari di Lefebvre con il Sud-Africa dell'apartheid.
Lefebvre ha sostenuto le ragioni dell'apartheid in moltissime interviste, una delle quali fu rilasciata alla televisione italiana, e commentata da un imbarazzatissimo Roberto Formigoni. Da parte di un cattolico tradizionalista, questa adesione alle tesi di calvinisti e massoni - quali sono appunto i Boeri del Sud-Africa -, è piuttosto strana.
Al Concilio Vaticano II, Lefebvre, allora arcivescovo di Dakar, fu tra coloro che parteciparono al colpo di mano del 1963, che determinò l'abbandono del latino nella liturgia, cosa che non era stata né voluta né prevista dal papa che aveva indetto il Concilio. Lefebvre accusò successivamente papa Roncalli di essere un modernista e un massone, ma i documenti conciliari dicono diversamente: Roncalli aveva addirittura in progetto un rilancio della latinità nella Chiesa cattolica, in vista della trasformazione del latino in una vera lingua internazionale.
Il parere di Lefebvre e degli altri vescovi "africani" fu determinante in quella occasione per sovvertire il volere dell'appena defunto Roncalli. Il fatto che Lefebvre abbia nascosto le sue responsabilità e le abbia scaricate su altri, può essere una reazione del tutto umana e comprensibile. Molto più sospetto è invece il fatto che la vera "coerenza" di Lefebvre non abbia riguardato il suo presunto tradizionalismo, bensì la continuità delle sue ambigue relazioni sud-africane.
Non può essere neppure un caso che l'abbandono dell'apartheid in Sud-Africa, abbia coinciso con il declino e la quasi scomparsa della Chiesa di Lefebvre, la cui notorietà è stata rilanciata solo da questa ultima decisione di Ratzinger. Che la Chiesa cattolica possieda ancora una sua autonomia politica e ideologica, è quindi solo una mistificazione mediatica, che viene smentita non appena ci si riferisce agli eventi concreti.
19 luglio 2007
Lo scontato fallimento della Conferenza di Roma sull'Afghanistan ha finito per ridurre tutta l'iniziativa, voluta dal Ministro degli Esteri D'Alema, alla consueta immagine di doppiezza italica, come se l'obiettivo del governo Prodi fosse soltanto di ribadire la propria posizione di un piede dentro ed un piede fuori nell'avventura afgana. Eppure in questo caso si era colto un intento di dare davvero una mano al traballante governo fantoccio di Karzai, consentendogli di recuperare un ruolo nei confronti della popolazione afgana, che non lo ha preso mai sul serio.
A stroncare qualsiasi speranza in tal senso è stata la replica del segretario della NATO, Scheffer, a chi gli contestava gli "sconsiderati" bombardamenti sulla popolazione civile. Scheffer si è arroccato ancora una volta sulla formula degli "scudi umani" di cui i "Talebani" si servirebbero per perpetrare i loro attentati terroristici.
Quella degli "scudi umani" non è soltanto una formula propagandistica, ma è anche una tattica militare dell'antiguerriglia. La resistenza, per definizione, è espressa dalla popolazione civile di un Paese militarmente occupato, perciò eliminando la popolazione si eliminerebbe anche la resistenza.
La posizione di Scheffer appare però troppo manualistica, ancorata ad una concezione guevaristica della guerriglia, che non tiene conto dell'evoluzione strategica che c'è stata.
Un anno fa, in Libano, la tattica israeliana della eliminazione della popolazione civile non è servita a sconfiggere la resistenza degli Hezbollah. L'esercito israeliano ha dovuto ritirarsi dal sud del Libano dopo poco più di un mese, a causa della insostenibilità delle perdite.
In altri termini, qui il colonialismo non si trova più di fronte alla guerra di popolo di tipo classico, ma si deve scontrare con vere e proprie formazioni militari dotate di un'autonomia logistica rispetto alla popolazione che le esprime. Lungi dal togliere l'acqua al pesce Hezbollah, i bombardamenti israeliani gli hanno consentito di acquisire un ulteriore ruolo politico nel dopoguerra. Hezbollah ha infatti allestito un vero e proprio "welfare", arrivando a fornire il denaro per affittare un altro alloggio a coloro che erano rimasti senza casa a causa dei bombardamenti.
Anche in Afghanistan i bombardamenti hanno aumentato la dipendenza della popolazione civile dalla guerriglia, che è diventata l'unica fonte di assistenza. I cosiddetti "aiuti occidentali" si risolvono infatti in stipendi principeschi per gli esponenti delle varie agenzie internazionali, che sono diventate ormai famigerate in Afghanistan per l'assoluta mancanza di "interventi umanitari". Questa mancanza è accompagnata dall'ostentazione di lusso, stridente con le condizioni di miseria della popolazione, da parte dei componenti di queste agenzie.
In Libano è possibile spiegare facilmente dei bombardamenti, che non avevano alcuna giustificazione, con motivazioni strategico-militari, dato che la sistematica distruzione delle infrastrutture ha aperto alle cosche affaristiche del cosiddetto Occidente il business della ricostruzione di un'area dotata di un grande potenziale di sviluppo. Ciò è risultato particolarmente evidente quando gli Stati Uniti hanno cercato di imporre al governo collaborazionista libanese di Seniora di privatizzare le infrastrutture del Paese, come condizione per gli investimenti occidentali, cosa che ha determinato una vasta mobilitazione popolare in opposizione a questo progetto affaristico.
In Afghanistan i bombardamenti non distruggono infrastrutture, dato che il Paese è sottosviluppato, e quindi non aprono business della ricostruzione, dal momento che l'unico vero affare dell'Afghanistan, la coltivazione del papavero da oppio, appare ancora nelle mani della NATO. Neanche la preservazione del business del traffico di oppio fornisce validi motivi pratici a questa tattica di colpire sistematicamente obiettivi civili.
Viene quindi da supporre che in questo caso il movente si riduca alle esigenze affaristiche di quello che viene chiamato il complesso militare-industriale. Bombardare è probabilmente un modo per tenere alto il livello delle forniture belliche da parte delle aziende produttrici di armi.
Anche in Iraq le esigenze affaristiche hanno determinato difficoltà ed incongruenze sul piano propriamente militare, dato che la privatizzazione della logistica delle forze armate USA ne ha ridotto al minimo le capacità operative.
12 luglio 2007
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