Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
È scomparsa dai giornali la questione della discriminazione nella base NATO di Vicenza nei confronti dei lavoratori iscritti alla CGIL, i quali non potranno far parte delle maestranze da utilizzare nei lavori di ampliamento. La questione è stata chiusa dalle dichiarazioni rilasciate al "Corriere della sera" da Edward Luttwak, referente della propaganda americana per l'Italia.
Luttwak ha liquidato il tutto con la sua consueta insolenza: se la CGIL ha qualcosa di cui lamentarsi, si rivolga al suo ministero degli Esteri, il quale si rivolgerà al governo statunitense, che sottoporrà a sua volta il problema al Pentagono. È significativo che Luttwak non abbia suggerito di rivolgersi al comando NATO, ma al Pentagono, ribadendo sfacciatamente non solo che le basi sono aree coloniali fuori di ogni giurisdizione italiana, ma anche e soprattutto che la stessa NATO non è altro che una sigla fittizia.
Quindi la distinzione tra basi NATO e basi americane risulta di fatto inconsistente, poiché tutte le centoundici basi disseminate sul territorio italiano appartengono al Pentagono, che ne fa ciò che gli pare.
D'altra parte, le centoundici basi sono diventate ormai anch'esse solo un aspetto della occupazione del territorio italiano da parte degli Stati Uniti, perché persino in questo campo c'è da tenere conto della questione del "sommerso". Quante sono infatti in Italia le basi segrete della CIA, quelle da cui partono i famosi "voli" per rapire gli imam?
Queste basi vengono costituite tramite accordi segreti tra la CIA ed il SISMI - "accordi" si fa per dire, in realtà il SISMI si limita ad obbedire agli ordini americani -, rimangono perciò segrete e al di fuori di ogni possibile censimento.
Se si calcola il numero delle basi americane - Pentagono o CIA - sparse per il pianeta, i porti e gli aeroporti, ma anche gli oleodotti ufficialmente adibiti al rifornimento delle basi, ci si rende conto che gli Stati Uniti hanno realizzato il loro storico obiettivo di gestire un commercio mondiale che sfuggisse completamente alla imposizione fiscale degli altri Stati. Oggi più della metà del commercio mondiale - petrolio, armi, droga, ma anche ogni altro tipo di merce - avviene tramite questi canali illegali in mano a militari e servizi segreti USA, perciò usare il termine "contrabbando" rischia di essere riduttivo se non si richiama ogni volta l'effettiva entità del fenomeno.
Il problema è talmente grave che i governi nazionali sono costretti ad ignorarlo, a far finta di nulla. A sostegno di questa sorta di ottundimento, la propaganda statunitense ha impostato una operazione ideologica che pare abbia avuto i suoi risultati. Qualcuno ricorderà che qualche anno fa Walter Veltroni confessò di essersi commosso sino alle lacrime durante la visione del film "Forrest Gump".
I film americani sono quasi sempre pieni di propaganda, ma pochi hanno avuto la valenza ideologica, di vero e proprio manifesto dell'americanismo, del film "Forrest Gump". Il protagonista del film offriva a tutti i popoli del mondo la formula dell'americanizzazione, il come diventare americani: l'istupidimento.
Uno dei luoghi comuni più fasulli del filo-americanismo è che gli americani siano molto ingenui, a volte sino alla stupidità, per questo, nonostante la loro bontà, a volte "sbagliano". In realtà sono i filo-americani che, per diventare e rimanere tali, sono costretti a istupidirsi.
Non voler vedere, non voler sapere, non fare domande, non chiedere spiegazioni, perché tutti i problemi sono ormai al di là della loro portata. Quindi si finge di discutere e si finge di darsi dei programmi.
Nel suo famoso "decalogo" di candidato alla leadership del "Partito Democratico", pubblicato sui giornali alcuni giorni fa, Veltroni regredisce addirittura al Craxi-pensiero, cioè propone il "decisionismo", un governo "forte" che non si faccia condizionare dal Parlamento. Questo è uno dei motivi per cui la propaganda ufficiale ci informa quotidianamente del fatto che deputati e senatori sono ridotti ad una massa di parassiti inaffidabili e cocainomani: il controllo parlamentare sul governo - ammesso che poi esista questo controllo - è un altro dei nemici di comodo che la propaganda ci impone, insieme all'Islam e a tutti gli altri.
Ma cosa avrà mai da decidere di così importante questo governo "forte" desiderato da Veltroni?
La risposta è ovvia. Concedere altre basi agli Stati Uniti.
2 Agosto 2007
L'assunzione a tempo indeterminato di alcune migliaia di precari della Scuola ha determinato la consueta reazione sdegnata da parte della propaganda borghese, per il fatto che si sarebbe andato a ingrossare l'esercito dei "nullafacenti". È chiaro che se il precario ha un rapporto di impiego diretto con la pubblica amministrazione per cui lavora, prima o poi il rapporto di lavoro precario, per somma di diritti acquisiti, diventerà stabile. Per scongiurare questa prospettiva di stabilità, la borghesia vuole che il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione non sia mai diretto, ma sempre mediato da ditte appaltatrici private.
Nella società deindustrializzata - camuffata sotto lo slogan del "post-industriale" -, la borghesia trova il suo nuovo grande business nella privatizzazione dei servizi della pubblica amministrazione. Le funzioni pubbliche, che in sé non sono privatizzabili, possono però essere appaltate a ditte private, le quali, a loro volta, possono appaltare ad altre ditte private, e così all'infinito. Di appalto in appalto, il rapporto di lavoro diviene sempre meno garantito e sempre più mal pagato.
Sarebbe un errore ritenere che l'ultimo anello di questa catena sia costituito dal precariato. Qualche anno fa si è scoperto che i prodotti Nike, di appalto in appalto, finivano per essere fabbricati da bambini schiavizzati in tanti remoti angoli del pianeta. Come al solito, però, la comunicazione di massa ha creato una sorta di effetto distanza, suggerendo che certe cose "qui" non possano accadere.
Eppure è evidente che l'esito finale di certe politiche del lavoro non può essere che lo schiavismo. Se il rapporto di lavoro scende al di sotto di una certa soglia di convenienza, diviene meno costoso rinunciare a lavorare. Da qui nasce anche la favola secondo cui gli immigrati vanno a coprire lavori che gli occidentali non vorrebbero più fare.
La comunicazione di massa ha creato anche sull'immigrazione una sorta di leggenda: i poveri del pianeta vanno in Occidente in cerca di fortuna e, per questo, si rivolgono a trafficanti senza scrupoli, ecc., ecc.
In realtà gli immigrati non sono persone che fanno una scelta autonoma, seppure dettata dal bisogno, ma vengono reclutati a forza, perché già indebitati in precedenza con le organizzazioni criminali che li deporteranno. Anche nell'antichità si diventava schiavi per debiti, e questa è esattamente la condizione di molti degli attuali emigrati, i quali, privi di documenti e condannati alla clandestinità, diventano di fatto di proprietà delle organizzazioni che li hanno deportati. Per questo motivo, la regolarizzazione immediata degli immigrati clandestini non costituirebbe una porta spalancata all'emigrazione, ma, al contrario, un modo di scoraggiare il traffico di esseri umani, diminuendo il potere di controllo delle organizzazioni criminali (che poi sono statal-criminali, perché sempre intrecciate con servizi segreti).
Ma l'immigrazione non costituisce il solo aspetto dello schiavismo nel cosiddetto Occidente. Si è molto parlato della questione della schiavizzazione dei detenuti in Cina, dove vengono utilizzati nella produzione, ufficialmente a titolo di risarcimento per il fatto che lo Stato è costretto a sfamarli. In realtà, la stessa cosa avviene negli Stati Uniti, dove vi sono circa due milioni di detenuti, cioè l'uno per cento della popolazione, la quota più alta di qualsiasi Paese nella Storia.
Negli Stati Uniti quasi tutte le carceri sono aziende che utilizzano direttamente il lavoro dei detenuti nell'agricoltura o nell'edilizia; altre carceri si limitano invece a vendere ad altre aziende il lavoro dei loro detenuti. Sta di fatto che la privatizzazione delle carceri è oggi negli Stati Uniti uno dei business più appetiti.
I carcerati/schiavi sono per lo più neri o ispanici, ma ci sono anche molti bianchi. I reati riguardano quasi sempre il possesso o lo spaccio di marijuana, ma la realtà è che si tratta di persone troppo povere per potersi difendere dalle accuse. In genere vengono arrestati dei ragazzi analfabeti (gli analfabeti sono oggi oltre il 30% negli USA), che vengono condannati a pene di venti o trenta anni nonostante la piccolezza del reato. Si tratta di persone inesperte che costruiscono la loro vita e le loro relazioni nel carcere, perciò hanno anche difficoltà ad approfittare delle occasioni di fuga. Le loro aspettative si concentrano perciò sulla possibilità di acquisire privilegi all'interno del sistema carcerario. Agli schiavi viene cioè confezionata una psicologia da schiavo.
Anche il termine "carcere" non deve far pensare a mura e sbarre: si tratta quasi sempre di alloggiamenti provvisori, come baracche o anche tende.
Nel 1932 i sequestrati di Stato furono l'argomento di un famoso film: "Io sono un evaso (I am a fugitive from a chain gang)", di Mervyn LeRoy, con Paul Muni nella parte del protagonista. Dopo quasi cinquanta anni di silenzio sull'argomento, nel 1980, Hollywood produsse un altro film sullo schiavismo carcerario, "Brubaker", di Stuart Rosenberg, con Robert Redford nella parte del protagonista.
Il confronto tra i due film è significativo per valutare il cambiamento del punto di vista sull'argomento in mezzo secolo trascorso: alla rabbia ribelle dell'eroe di "Io sono un evaso", corrisponde il riformismo rassegnato del personaggio di "Brubaker", per il quale il carcere/azienda è ormai un dogma intoccabile, e il problema è vedere se si può umanizzarlo. Il capolavoro del 1932 era un vero film di denuncia, mentre il polpettone del 1980 usa la denuncia degli "eccessi" per legittimare il sistema.
Qualche anno fa il Telegiornale di RAI 1 trasmise un servizio su una di questa aziende carcerarie americane: né le condizioni di vita dei detenuti, ammassati in tende, né l'arroganza dello schiavista - uno sceriffo -, smossero l'autore del servizio televisivo da un tono divertito e quasi ridanciano. Si tratta degli stessi giornalisti che fremono di sdegno quando rievocano il gulag staliniano, che pure non aveva mai raggiunto le proporzioni numeriche del gulag americano.
La propaganda borghese può quindi rendere digeribile anche lo schiavismo, come ha già fatto con il precariato ("meglio un lavoro a tempo determinato che nessun lavoro").
Lo schiavismo è rilevante non solo come fenomeno in sé, ma anche perché fornisce una chiave di lettura complessiva della condizione del lavoro nel sistema capitalistico. Secondo Max Stirner lo Stato si fonda sull'asservimento del lavoro, perciò la libertà del lavoro significherebbe la fine dello Stato. Ne "L'Ideologia Tedesca" Marx replicava a Stirner, affermando che nel sistema capitalistico il lavoro è già libero, perciò il vero problema sarebbe l'abolizione del lavoro.
È chiaro che Marx si rifaceva ad una visione del capitalismo idealizzata e condizionata dalla propaganda borghese.
26 luglio 2007
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