Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La messinscena poliziesco-mediatica degli episodi di “xenofobia” della scorsa settimana nel quartiere Pianura di Napoli, si è svolta secondo i canoni del “degennarismo” più puro: bande di provocatori non identificabili si sono aggirate per la zona senza essere minimamente disturbate dalla polizia, la quale però ha colto ogni occasione per caricare e picchiare persone estranee ai fatti, per lo più passanti. Se si prescinde dai titoli dei giornali e si legge nel corpo dell’articolo, ci si rende conto però che nessun fatto di rilievo è stato portato a sostegno della tesi ufficiale, che parla di “un quartiere in rivolta contro gli immigrati”.
La stessa tecnica ricorre per i nuovi “scontri” di Chiaiano dei giorni scorsi, dove la polizia, dopo aver aggredito passanti inermi e ignari, ha rivendicato e ottenuto dai media uno status di vittima di violenze.
È evidente ormai che la militarizzazione statunitense del territorio campano viene accompagnata da tecniche di guerra psicologica, che devono accreditare l’idea di una emergenza di ordine pubblico e criminalità in Campania.
A Castelvolturno, in provincia di Caserta, dove sei immigrati sono stati uccisi, la responsabilità del fatto è stata attribuita immediatamente al Clan dei Casalesi, ed una persona che si dice sia appartenente allo stesso Clan è stata arrestata. È significativo che da parte della sinistra ufficiale, non si sia andato a chiedere qualcosa che assomigliasse a prove o indizi per quell’arresto, ma tutta la polemica è stata spostata sulla circostanza che l’accusato beneficiasse degli arresti domiciliari. Al tutto è seguita poi un’operazione-spettacolo contro il Clan, con un centinaio di arresti; anche quest’operazione è stata accolta acriticamente, senza chiedersi come mai, già sapendo tutto degli affiliati al Clan, gli si sarebbe ugualmente consentito di commettere la strage di immigrati.
Questa campagna di guerra psicologica trova perciò una comoda sponda a “sinistra”, e ciò non a caso, e non per semplice degenerazione della sinistra stessa, ma a causa di un processo di colonizzazione ideologica che ha preso avvio molti decenni fa. Molti ricorderanno un film americano degli anni ‘50 che fu fatto oggetto di culto da parte della sinistra europea: “Fronte del Porto”, di Elia Kazan, con Marlon Brando come interprete.
In quel film - che a suo tempo solo Roland Barthes indicò come un modello di mistificazione -, il nemico di classe non era più individuato nel padronato, ma era sostituito con la criminalità organizzata che controllava i sindacati.
All’inizio degli anni ’60, il ministro della giustizia Robert Kennedy diede corpo a quella propaganda, mettendo sotto accusa il capo del sindacato americano degli autotrasportatori, Jimmy Hoffa, per i suoi presunti contatti con la mafia. Che il fratello di Robert, John, fosse stato eletto presidente anche con il contributo di voti mafiosi, divenne irrilevante: l’ipotesi di contatti con la criminalità organizzata costituiva scandalo solo se riguardava i sindacati dei lavoratori. Ancora una volta la sinistra europea plaudì, al punto che l’antimafia è diventato l’unico riferimento ideologico costante della stessa sinistra, e proprio Robert Kennedy oggi costituisce la sua principale icona.
La sostituzione del nemico di classe con il nemico mafioso, è stata oggi formalizzata con la campagna di lotta al racket delle estorsioni, definito giornalisticamente come il “pizzo”. Ora il nuovo eroe della sinistra non è più il sindacalista contadino che resiste alla mafia dei “campieri”, ma è l’imprenditore coraggioso che resiste al racket ed eroicamente lo denuncia.
Ecco che la Confindustria diventa il punto di riferimento morale, per cui la vediamo espellere con ribrezzo gli imprenditori che pagano il pizzo.
Visto che l’imprenditore antiracket è diventato il nuovo eroe, la collaborazione di classe diventa a sua volta il nuovo imperativo morale, mettendo così da parte ogni interrogativo dettato dal più elementare buonsenso, come, ad esempio, in che modo possa esistere un racket senza l’attiva complicità delle sedicenti forze dell’ordine.
Come mai dei poliziotti che usano spregiudicatamente la figura dell’agente provocatore quando si tratti di dare la caccia ai sovversivi, non hanno mai pensato di utilizzare questa figura per la lotta al racket?
Perché è necessario che tanti cittadini siano costretti a diventare degli eroi, quando basterebbe diffondere come esca sul territorio tanti finti imprenditori che dovrebbero solo aspettare che l’esattore del racket si presentasse da loro?
Negli Stati Uniti, dove la figura dell’agente provocatore è utilizzata persino per incastrare i clienti delle prostitute, non è rintracciabile un solo caso in cui agenti provocatori siano stati invece adoperati per contrastare il racket delle estorsioni; e in Italia le cose vanno allo stesso modo: nessun questore ha mai avuto l’idea di mandare qualche agente ad aprire bancarelle al mercato per identificare ed arrestare qualche estorsore.
Il fatto in sé non ha nulla di strano, semmai è strano che nessun giornalista di sinistra ponga, o si ponga, questa domanda.
Ma in una sinistra in cui gli eroi da imitare non sono più operai, rivoluzionari o sindacalisti, ma imprenditori e poliziotti, anche questa acquiescenza alla propaganda ufficiale, occorre ormai aspettarsela; perciò neppure il fascino che esercita su larghi settori della ex “sinistra radicale” lo sbirro Di Pietro, deve più stupire.
2 ottobre 2008
Il Comune di Giugliano, della Provincia di Napoli ed al confine con quella di Caserta, si prepara ad “accogliere” la nuova base NATO, che, ufficialmente risulterebbe essere un semplice “trasferimento” della base che da molti decenni opera a Bagnoli. In realtà questo “trasferimento” si avvia a risolversi nei termini di quanto già avvenuto per la base di Comiso in Sicilia, ufficialmente dismessa, ma, in effetti ancora sotto il saldo controllo statunitense.
La notizia che a Giugliano sarebbe sorta una nuova base NATO - non lontana dalla base americana già concessa parecchio tempo fa al Lago Patria senza alcuna autorizzazione del Parlamento -, è giunta appena agli onori della cronaca locale a causa di una pubblica lettera del sindaco berlusconiano di Giugliano, che ha scritto al Presidente del Consiglio e suo leader di partito, non per rifiutare la base, ma solo per chiedergli di considerare le conseguenze rovinose di questo nuovo insediamento militare in una zona da tempo congestionata, e inoltre priva delle necessarie infrastrutture. A Giugliano dovrebbero essere costruiti duemilacinquecento nuovi alloggi per il personale della NATO, ciò in un’area soggetta da decenni ad un sacco edilizio, e sede di numerose discariche autorizzate ed abusive di rifiuti, con una presenza accertata anche di notevoli quantità di scorie tossiche, in gran parte di origine militare.
Tra Licola, che è una frazione di Giugliano, e Castelvolturno, che è in provincia di Caserta, è presente inoltre la maggiore concentrazione in Campania di immigrati, molti dei quali risiedono in alloggi di fortuna o, addirittura, in bidonville.
Il sindaco di Giugliano, evidentemente, era all’oscuro del fatto che una “ripulitura” del territorio da adibire a sede della base militare era già in atto, infatti a Castelvolturno sei immigrati sono stati uccisi da sicari che i media ufficiali hanno immediatamente individuato come componenti del mitico “Clan dei Casalesi”, che, sempre secondo i media, deterrebbero quell’area sotto il loro controllo criminale.
Nessuna prova è stata portata a sostegno della tesi mediatica secondo cui gli immigrati uccisi sarebbero stati coinvolti in traffici che avrebbero disturbato il dominio delle cosche storiche della zona. A quanto risulta, si trattava di semplici lavoratori, probabilmente scelti a caso per innescare una spirale di terrore e di provocazioni utile ad offrire pretesti per eliminare gli insediamenti degli immigrati, attualmente troppo a ridosso della base NATO in via di edificazione.
L’ondata di razzismo mediatico nei confronti della Campania, si è da tempo complicata attraverso il lancio di accuse di razzismo verso gli stessi Campani, indicati come responsabili prima di aggressioni ai Rom, ed ora ad immigrati di origine africana. Questo tipo di rappresentazione è utile per creare confusione, falsi dibattiti ed altrettanto false alternative circa l’accoglienza o meno da riservare agli immigrati ed ai nomadi; ed è stata utile per il governo per spedire cinquecento militari italiani con il pretesto della tutela dell'ordine pubblico, ma in realtà con la missione di coprire i movimenti delle truppe e dei mezzi NATO e, probabilmente, per avviare anche lo smantellamento delle bidonville degli immigrati.
In tutto questo, rimane sotto assoluto silenzio la presenza incombente di un insediamento militare di proporzioni inaudite, che dovrebbe occupare inizialmente almeno quindici ettari per otto corpi di fabbrica.
Ma queste cifre riguardano soltanto i comandi e la logistica della base, che, nella realtà prevede altre strutture operative, ed anche una cintura di sicurezza. Intanto sono arrivati sul posto i primi quattrocento uomini della NATO, che ovviamente rappresentano solo un’avanguardia.
Le proporzioni dell’insediamento fanno già capire che non si tratta di un semplice trasferimento degli uomini e delle funzioni della base di Bagnoli, ma di una nuova mega-base, che rivela l’ulteriore espansione della presenza militare statunitense in Campania; una espansione per la quale il governo e i media non si sono preoccupati di offrire non solo nessuna spiegazione, ma neppure nessuna informazione, per quanto parziale o distorta potesse essere.
Visto che, secondo la narrazione ufficiale, quell’area è interamente sotto il controllo del Clan dei Casalesi, se i media avessero parlato della base NATO, avrebbero dovuto anche narrarci dell’arrivo a Giugliano dei dirigenti del Pentagono, magari con il cappello in mano, per bussare alla porta del Clan in modo da chiedergli il permesso di collocare in quel territorio la base militare. La narrazione avrebbe comportato però troppi dettagli irrealistici, tali da sfidare anche la fantasia di Roberto Saviano, perciò il governo e i media hanno preferito semplicemente non dire nulla, senza neppure invocare stavolta il segreto militare o il segreto di Stato. È stata sufficiente la congiura del silenzio.
|
|
|