Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il prossimo 4 aprile la NATO festeggerà il suo sessantesimo compleanno, e la felice ricorrenza sarà ulteriormente allietata dal ritorno all’ovile della Francia, uscita nel 1966 dal comando integrato dell’alleanza per decisione dell’allora presidente della Repubblica francese, De Gaulle. L’attuale presidente francese, il “gollista” Sarkozy, ha spiegato il suo rientro nei ranghi con la necessità di far fronte alle sfide globali del nostro tempo, prima tra tutte il terrorismo.
Nel 1966 l’Unione Sovietica possedeva l’esercito più numeroso del mondo ed una quantità di missili a testata nucleare che, seppure fosse di molto inferiore a quella in possesso degli Stati Uniti, era comunque in grado di distruggere l’intero pianeta anche un paio di volte. Eppure queste minacce, secondo il generale De Gaulle, non erano sufficienti per giustificare la cessione della propria sovranità e del proprio territorio all’ “alleato” statunitense; mentre per il “gollista” Sarkozy basta invece la minaccia del terrorismo per rendere accettabile e urgente la sottomissione alla disciplina NATO.
Ma c’è da essere certi che, in mancanza del terrorismo, a Sarkozy sarebbe bastato come pretesto anche la guida in stato di ubriachezza, o gli scippi o i pensieri impuri prima di addormentarsi.
Dal 1989 la NATO ha perduto ogni legittimità politica e qualsiasi giustificazione strategica, ma ciò non ha affatto impedito l’espansione a macchia d’olio di una “alleanza” militare che, non solo ha saputo sopravvivere alla mancanza di nemici, ma ha dimostrato brillantemente di potersi inventare i nemici volta per volta, a seconda delle esigenze del momento. La NATO vive di pretesti ed è essa stessa un pretesto, perciò Sarkozy per rientrarci poteva inventarsi la scusa che voleva, senza che nessun commentatore ufficiale ci trovasse niente da obiettare. La connivenza della stampa francese nei confronti della scelta di Sarkozy arriva a meno di un anno dalla strage di soldati francesi in Afghanistan - avvenuta nell’agosto del 2008 -, una strage che aveva innescato un acceso dibattito mediatico per placare un’opinione pubblica irritata dall’oscurità dei motivi della partecipazione francese all’avventura afgana. A distanza di un breve lasso di tempo quella polemica appare cancellata dalla memoria dei media francesi.
La Francia non ha sul suo territorio basi NATO o americane, come invece capita non soltanto a Paesi sconfitti nella seconda guerra mondiale, come la Germania e l’Italia, ma anche alla Gran Bretagna, che formalmente è un Paese vincitore, eppure ha parti del suo territorio che sono sotto l’esclusivo controllo degli Stati Uniti. La Francia non subisce un’occupazione militare come altri Stati europei, dispone di un armamento nucleare che è il terzo al mondo per quantità e qualità, perciò avrebbe avuto la possibilità di negarsi alla colonizzazione militare che gli USA operano attraverso la NATO. Tale colonizzazione militare costituisce notoriamente la premessa di un colonialismo commerciale, dato che le basi militari statunitensi veicolano ogni genere di merce illegale nei territori da loro occupati, perciò la criminalità comune del luogo viene arruolata dalle forze armate del Paese occupante in funzione collaborazionistica, con tutti gli effetti di destabilizzazione sociale che ciò comporta.
I business del futuro inoltre si caratterizzano sempre più nel senso della pura oppressione: è il caso della privatizzazione dell’acqua che sta già passando sotto il monopolio delle multinazionali. In Italia il governo Berlusconi ha privatizzato l’acqua nell’agosto scorso, facendo approvare in silenzio dal Parlamento l’articolo 23bis del Decreto 112 del ministro Tremonti, un Decreto diventato la delittuosa Legge 133/2008 (è la stessa legge che ha privatizzato anche i patrimoni immobiliari delle Università e i beni del Demanio dello Stato).
Sarebbe impensabile per le multinazionali gestire un business dell’acqua senza un controllo militare del territorio e della popolazione, ovvero senza avere a disposizione la NATO ed il suo rapporto privilegiato con la criminalità organizzata del luogo. De Gaulle si era rivelato preveggente a voler tenere la Francia fuori da rischi del genere.
Gli Stati Uniti sono invece riusciti in pochi anni a “conquistare” la Francia semplicemente cooptando il suo gruppo dirigente. Secondo il giornalista Thierry Meyssan, il presidente Sarkozy è un agente della CIA: l’ipotesi è plausibile, ma non basta a spiegare l’acquiescenza della potente burocrazia amministrativa e militare della Francia alle decisioni del suo presidente. Anche il coinvolgimento da parte delle multinazionali anglo-americane della compagnia petrolifera francese Total nell’affare del contrabbando del petrolio iracheno, non costituisce un motivo sufficiente a spiegare una decisione irreversibile come quella appena presa da Sarkozy; anzi potrebbe comportare per la Total persino una perdita di potere contrattuale rispetto ai suoi soci statunitensi, proprio perché l’aderire senza riserve alla NATO comporta una maggiore sottomissione al cosiddetto “alleato” americano.
La cooptazione del gruppo dirigente francese deve perciò aver seguito altre strade, tali da fargli perdere di vista anche il proprio tornaconto.
In questi ultimi mesi è tornato all’attenzione dei media il vecchio tema massonico del “governo mondiale”. Si tratta di un semplice mito, poiché per l’oligarchia affaristico-coloniale che già controlla le Corporation, il Fondo Monetario Internazionale e - di riflesso - le varie banche centrali, un governo mondiale, palese o occulto che fosse, costituirebbe un orpello superfluo.
Ma appunto il mito, in quanto mito, svolge una notevole funzione nella cooptazione dei gruppi dirigenti dei vari Paesi. Le varie filiazioni massoniche, come la Commissione Trilaterale, il Gruppo Bilderberg, l’Ordine Martinista Universale, gli Illuminati e la Massoneria stessa, svolgono per l’oligarchia la funzione di apparati di pubbliche relazioni, che servono a creare nei dirigenti dei Paesi colonizzati l’illusione di stare partecipando alle riunioni di un governo mondiale dove si decidono i destini planetari.
L’affiliazione a queste organizzazioni pseudo-segrete (su cui in realtà le notizie vengono centellinate ad arte), rappresenta il traguardo dell’arrivismo personale di tante mezze figure del potere politico ed economico europeo, che si abituano a scodinzolare dietro i potenti che sembrano degnarli della loro attenzione e della loro stima, e perdono ogni rispetto di sé sottoponendosi a ridicoli e puerili rituali di iniziazione.
Illudere, corrompere ed asservire tutte queste mezze figure - salvo poi disfarsene ad uso avvenuto -, costituisce per l’oligarchia coloniale un espediente per far passare scelte suicide per il destino dei vari Paesi, poiché le tante mezze figure, messe insieme, avrebbero rappresentato una resistenza insormontabile se avessero fatto valere i propri interessi. È uno schema di dominio che sembra aver funzionato anche nel caso della burocrazia e del ceto politico francesi.
Molto del seducente potere corruttivo del colonialismo è basato su questi aspetti illusionistici, su aspettative infondate di riuscire ad entrare finalmente nel giro che conta. Mentre il mito del governo mondiale è solo un’esca lanciata ai carrieristi ed ai bazzica-logge dei Paesi colonizzati, il vero mito fondante dell’oligarchia coloniale è quello della sua superiorità razziale, perciò nei giri che davvero contano i parvenu sono esclusi per principio. Ma vallo a spiegare agli arrivisti.
L’Iran è di nuovo al centro della riprovazione mediatica, nonostante che nelle scorse settimane la nuova amministrazione statunitense sembrasse voler rompere l’accerchiamento diplomatico messo su negli ultimi cinque anni, e nonostante che il governo di Teheran avesse fornito una collaborazione decisiva nel consentire l’occupazione statunitense dell’Iraq, mediando fra gli invasori e la popolazione sciita.
Qual è stata la causa dell’ulteriore ondata di sdegno che ha colpito il governo di Teheran?
L’Iran non ha invaso nessun Paese, non ha rotto trattati internazionali, non ha costruito nuove armi - se non quelle già fantasticate nei processi alle intenzioni da parte di sionisti e neocon -, perciò l’oggetto dell’indignazione riguarderebbe alcune dichiarazioni bellicose contro Israele, attribuite ai leader della Repubblica Islamica.
“L’Occidentale” si è meritato nei giorni scorsi un posto nella home-page di Google, accusando l’Iran di fascismo islamico. Il fatto che un giornale che si chiama “L’Occidentale”, accusi qualcun altro di fascismo, ricorda molto la storia del bue che dà del cornuto all’asino, poiché uno dei tratti distintivi del fascismo è proprio quello di identificare geografia ed ideologia.
Ma la questione centrale è piuttosto quella della effettiva possibilità di pronunciare giudizi su leader internazionali invisi ai media, in base a dichiarazioni rispetto alle quali non si ha nessuna prova circa la loro autenticità. Il vero Hitler poté esporre le sue idee in un suo libro che divenne un best-seller internazionale: il “Mein Kampf”. Oggi invece è possibile fabbricare sempre nuovi Hitler in base a resoconti di terza o quarta mano delle dichiarazioni di questo o quel “dittatore”.
Dichiarazioni rilasciate in lingua Parsi richiedono una traduzione, e sull’attendibilità delle traduzioni è lecito nutrire qualche dubbio, dati i precedenti. Il famoso video in cui un presunto Bin Laden parlava dei suoi sogni a proposito delle Torri Gemelle, risultò poi essere stato tradotto dall’Arabo in modo del tutto arbitrario; perciò alla sospetta autenticità del video, si aggiungeva anche la non credibilità dei dialoghi che esso avrebbe contenuto.
Il Parsi e l’Arabo sono pur sempre lingue rispetto alle quali un controllo sulle traduzioni è possibile in tempi brevi, ma quando si tratti di lingue africane, allora aspettare la verifica di quello che ha affermato il tale o talaltro leader diviene impossibile. Ma allora perché questi leader, per mettersi al sicuro, non rilasciano dichiarazioni in Inglese?
Non è detto che non lo facciano, ma il punto è che conosciamo il pensiero di certe persone esclusivamente per quello che ci si vuol far sapere.
Il leader libico Gheddafi, in questi ultimi quaranta anni, è stato chiamato molte volte dai media a sostenere per qualche tempo la parte del nuovo Hitler. Attualmente è rientrato nelle grazie dei media in seguito a degli accordi affaristici con il cosiddetto Occidente, compresa l’Italia. Questi trionfi mediatici gli furono riservati anche alla metà degli anni ’70, quando Gheddafi entrò come socio nella FIAT per sostenerne le casse esauste.
Nel 1986 Tripoli fu bombardata dalla flotta statunitense per ordine del presidente Reagan, con il dichiarato scopo di uccidere Gheddafi, che rimase però illeso, anche se perse tra le macerie la sua figlioletta adottiva. In quell’occasione Gheddafi fece lanciare un suo missile Scud in prossimità di Lampedusa, dove si trova una base americana. Lo scopo del lancio non era di colpire il territorio italiano, ma di far sapere agli Italiani dell’esistenza di quella base militare che era stata utilizzata per l’attacco alla Libia.
Ma nessun organo di “informazione” italiano riportò la notizia dell’esistenza a Lampedusa di quella base americana, accanto alla quale il missile libico era caduto. L’ingenuo Gheddafi era perciò rimasto anche lui vittima della propaganda del sedicente “Occidente”, il quale proclama di essere la patria della libertà di informazione, ma invece sa tacere all’unisono quando di certe cose non si possa parlare.
Attraverso la decontestualizzazione delle azioni e l’omissione di fatti decisivi, è facilissimo per i media fabbricare nuovi Hitler, in base alle esigenze occasionali del colonialismo. Ad esempio, il fatto che Hamas sia un movimento che ha vinto delle regolari elezioni - per quanto delle elezioni possano essere regolari -, è divenuto la prova mediatica del carattere nazista di questo movimento, in base all’argomento che “anche Hitler” sarebbe andato al potere con delle elezioni (l’obiezione “anche Hitler ecc. ecc.” riesce a coprire praticamente tutte le possibilità del comportamento umano).
In realtà in questo caso l’argomento è storicamente falso, poiché nel 1932 Hitler ricevette l’incarico di Cancelliere dopo aver riportato una sconfitta elettorale, e solo per guidare un governo di coalizione. Hitler prese invece il potere assoluto per un colpo di stato, cioè la promulgazione di leggi eccezionali dopo un “attentato terroristico” attribuito ai comunisti: l’incendio del Parlamento, il Reichstag. L’antiterrorismo fu dunque la giustificazione propagandistica della dittatura hitleriana, e l’appello all’emergenza/terrorismo rende Hitler molto più somigliante agli occidentalisti, che non agli avversari, veri o presunti, che il sedicente Occidente si sceglie di volta in volta.
Ma una dialettica ritorsiva del genere lascerebbe il tempo che trova, poiché il problema non è di stabilire se gli Hitler siano da cercare da una parte piuttosto che dall’altra, quanto nel capire che le tecniche di dominio tendono a somigliarsi.
In particolare, la propaganda del potere rappresenta, nelle sue caratteristiche essenziali, uno dei fenomeni storicamente più stabili, perciò qualsiasi tema si trovi in un certo periodo al centro dell’attenzione mediatica, non si può non guardarlo con sospetto. Per questo motivo, la troppo plateale persecuzione giudiziaria dei cosiddetti negazionisti del cosiddetto “Olocausto” (termine che Primo Levi aborriva), costituisce uno di quei segnali che dovrebbero mettere in guardia.
Se oggi il negazionismo ha acquisito una dignità ed una credibilità a livello culturale, ciò è dovuto esclusivamente al fatto che chi lo sostenga viene sottoposto al martirio giudiziario e mediatico. Il dominio preferisce che si metta in forse la verità del genocidio ebraico nel corso della seconda guerra mondiale, piuttosto che se ne individuino le responsabilità sino in fondo. Non si può capire nulla di quell’evento se non lo si mette in relazione con due fatti storici essenziali: la Dichiarazione di Balfour del 1917, ed il best-seller antisemita “L’Ebreo Internazionale”, scritto dall’industriale Henry Ford nel 1920.
Nel 1917 il ministro degli Esteri britannico Balfour aveva dichiarato in una lettera a Lord Rothschild che la Gran Bretagna riconosceva agli Ebrei una patria in Palestina per compensarli del contributo che davano alla guerra contro la Germania (e ciò mentre la maggior parte dei soldati ebrei moriva invece combattendo nelle file tedesche e austriache).
Nel 1920 Henry Ford conferì con il suo libro una credibilità alla tesi della cospirazione giudaica internazionale, accusando - tra l’altro - gli Ebrei di essere anche gli organizzatori dei sindacati che lo importunavano.
Insomma, il fabbricare il mito di nuovi Hitler presenta per il colonialismo il vantaggio ulteriore di poter cancellare dalla memoria comune i metodi con cui è stato fabbricato il vecchio Hitler, quello vero.
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