Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Le Poste Italiane sono entrate nel mirino dell’Antitrust per violazione della concorrenza, a causa della denuncia della multinazionale olandese TNT, che lamenta un “abuso di posizione dominante”. In sostanza le Poste Italiane sono accusate semplicemente di poter offrire prezzi più bassi avvalendosi di una secolare rete di infrastrutture. In parole povere, una multinazionale contesta alle Poste Italiane la colpa di esistere, rendendo per ciò stesso la vita difficile alle multinazionali che vogliano invadere l’Italia.
In realtà, anche una multinazionale può avvalersi della posizione di vantaggio che deriva dal fatto di essere una multinazionale, e quindi di poter praticare politiche di dumping in grado di mettere fuori gioco i concorrenti in un Paese, usando a questo scopo i profitti acquisiti in un altro Paese, dove invece abbia raggiunto una posizione di forza.
Le regole della concorrenza quindi non valgono per le multinazionali, poiché nessuna Antitrust può indagare - ammesso che voglia farlo - sui bilanci e sulla gestione delle varie associate estere di una multinazionale. In definitiva, le Antitrust costituiscono oggettivamente delle agenzie al servizio delle multinazionali. Dato che l’Antitrust italiana è una creatura di Giuliano Amato, al termine “oggettivamente”, si potrebbe tranquillamente aggiungere quello di “soggettivamente”.
La decisione dell’Antitrust è attesa per la fine del prossimo anno, e le conseguenze per le Poste Italiane potrebbero andare oltre la solita multa, in quanto si profila un pericolo di smembramento, in vista di una privatizzazione vera e propria; dato che oggi le Poste costituiscono sì una SPA, ma in cui la maggioranza assoluta delle azioni è nelle mani dello Stato, che ne trae un notevole introito. Non è da escludere che, come è già capitato con l’ENI, anche le Poste Italiane mettano in atto operazioni improprie di dissuasione nei confronti degli aspiranti privatizzatori (leggi: bustarelle). In mancanza di un’opposizione politica alle privatizzazioni, l’unica opposizione alla corruzione è infatti costituita da una corruzione di segno opposto. Il problema è che le norme europee non consentono affatto che ci si possa opporre ufficialmente alle privatizzazioni, perciò il dibattito politico ufficiale costituisce una mera finzione, in cui i partiti fanno passare per proprie posizioni e propri programmi quelle che, in effetti, sono delle direttive della Commissione Europea.
È ovvio che le direttive valgono solo per i Paesi in subordine, come l’Italia, mentre il trio dominante - Germania, Gran Bretagna e Francia - delle direttive se ne può infischiare. La Francia non solo ha impedito all’Enel di acquisire l’azienda elettrica francese EDF, ma, in spregio alle regole di Maastricht, ha attuato la fusione tra EDF e Gaz de France, una fusione messa su al momento, proprio per bloccare l’Enel. Nello stesso periodo, in Italia, il ministro Bersani - ora segretario del PD - metteva invece in programma lo smembramento dell’Enel.
Quando il Trattato di Lisbona sarà divenuto operativo, potrebbero saltare anche i residui ostacoli che sinora hanno impedito alle multinazionali anglo-americane, tedesche e francesi l’assalto alle ultime grandi casseforti che sono rimaste all’economia italiana: le Poste, l’ENI, l’Enel, la Finmeccanica (di cui lo Stato è l’azionista di maggioranza relativa), e l’INPS.
Le regole del Trattato di Maastricht non si sono rivelate sufficienti per privatizzare a tappeto, ma la dittatura affaristico-criminale configurata dalle regole del Trattato di Lisbona sembra congegnata apposta per far saltare l’argine giuridico determinato involontariamente in Italia dal sistema delle SPA, che ha impedito sinora l’accesso alle multinazionali straniere a causa del criterio della congruità, per il quale un’eventuale vendita ai privati dovrebbe avvenire all’effettivo valore delle azioni.
Le privatizzazioni vere e proprie, però, non sono mai avvenute tramite vendite, e neanche tramite svendite, ma attraverso furti; e neppure furti semplici, ma furti continuati, dato che lo Stato non si è limitato a regalare le aziende, ma poi ha anche assistito finanziariamente il ladro a privatizzazione avvenuta. Il povero contribuente, ignaro, viene persuaso dai suoi giornalisti preferiti, di destra o di “sinistra”, che la spesa pubblica serva a sostenere i servizi pubblici - che invece incidono in parte minima -, e persino le pensioni, che, al contrario, sono interamente pagate dal sistema contributivo. La spesa pubblica si riversa perciò nelle tasche dei privati, che spesso sono aziende multinazionali straniere.
Ma la sete di pubblico denaro coinvolge anche il padronato italiano, infatti la presidente di Confindustria, Marcegaglia, oltre ai soldi veri, ora pretende dal governo anche i soldi facili, perciò sollecita un’altra ondata di privatizzazioni nei servizi pubblici.
Quindi non c’è un potere privato da una parte ed un potere dello Stato dall’altra, ma c’è uno Stato che privatizza, e inoltre finanzia, sussidia e vezzeggia i privati; in effetti è un assistenzialismo per i ricchi.
Nel famoso monologo di Giorgio Gaber “Qualcuno era comunista”, si elencavano i vari motivi per cui una volta ci si dichiarava comunisti. Tra questi motivi però ne mancava uno. Qualcuno infatti continua ad essere comunista perché non se la sente di pagare, sia da contribuente che da utente, i costi delle privatizzazioni.
Lo Stato fa capire che ha collaborato con la mafia.
Obama fa capire che, lui no, ma Bush organizzava gli attentati in Iran tramite i servizi segreti pachistani.
I Francesi fanno capire che gli Italiani pagavano i Talebani per salvarsi il culo in Afghanistan.
E il Berlusca vorrebbe far capire che lui non paga le puttane. Bah.
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