Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
È difficile stabilire cosa stia effettivamente avvenendo in Iran in queste ore, ma risulta invece molto facile accorgersi di quale sia il “target” a cui oggi è indirizzata la propaganda dei media del sedicente Occidente. Questo target, da influenzare e fagocitare, è costituito chiaramente dalla opinione pubblica di sinistra.
In questi ultimi anni il nome “Iran” è stato associato dalla propaganda dello pseudo-Occidente al nucleare, quindi ad un’immagine negativa per l’opinione progressista. Parlare continuamente del pericolo del “nucleare iraniano” è servito a far perdere di vista il vero oggetto del contendere, cioè il gas iraniano.
L’Iran, da solo, detiene circa la metà delle risorse mondiali di metano, quindi più della Russia e dell’Algeria messe assieme. Proprio pensando al business del gas iraniano, la multinazionale British Petroleum ha cambiato il suo nome - pur conservando lo stesso acronimo, BP - in Beyond Petroleum, cioè “oltre il petrolio”, dato che l’energia economica e relativamente pulita del metano costituisce la maggiore risorsa industriale e commerciale del presente e del prossimo futuro.
La privatizzazione del gas iraniano rappresenterebbe quindi uno dei maggiori business di tutti i tempi, e si tratta di un business che non affascina soltanto le multinazionali del sedicente Occidente, ma anche gran parte della oligarchia clericale iraniana, quella stessa ala clepto-clericale capitanata dagli ayatollah Mousavi e Rafsanjani, che ha imposto al governo iraniano l’affare del nucleare, con il suo annesso giro gigantesco di appalti e tangenti. Mousavi e Rafsanjani sono anche i referenti in Iran della BP, nonostante che questa multinazionale sia stata responsabile di ottanta anni di tirannia in Iran, ed abbia anche condotto, insieme con la CIA e i servizi segreti britannici, il colpo di Stato del 1953 contro il primo ministro conservatore Mossadeq, colpevole soltanto di voler porre dei limiti alla rapina del petrolio iraniano. Va sottolineato che, anche nella vicenda di Mossadeq, gran parte del clero sciita, composto già allora di numerosi affaristi e latifondisti, si rese complice del colpo di Stato. La figura dell'ayatollah Khomeini, guida della rivoluzione anticolonialista in Iran nel 1979, ha costituito in questo senso una rilevante eccezione rispetto ad una tradizione storica che ha visto invece il clero sciita troppo spesso in una posizione collaborazionistica nei confronti del colonialismo.
Chiunque sarebbe in grado di verificare, attraverso una rapida inchiesta personale, quante persone siano a conoscenza della questione del gas iraniano: pochissimi, anche comprendendovi i “fruitori” di Internet, che pure è considerato il “canale” alternativo per eccellenza. Ancor meno sanno che l’ayatollah Rafsanjani, l’uomo più ricco dell’Iran, possiede numerose università private, le stesse università da cui provengono quegli studenti che nei mesi scorsi sono stati visti manifestare per le vie di Teheran. Ancor meno ricordano che sono solo di pochi mesi fa le notizie di inchieste giudiziarie sul coinvolgimento della CIA, ed anche dell’italiano SISMI, in una serie di sanguinosi attentati in Iran; un dato che il presidente USA Barack Obama non ha smentito, anche se ne ha attribuito la responsabilità esclusivamente all’amministrazione Bush. Tutte notizie che sono circolate anche su Internet, ma che sullo stesso Internet risultano attualmente marginalizzate a favore di altre.
I media “occidentali” oggi ci “informano” invece sulla circostanza che il principale strumento di comunicazione della “opposizione” iraniana sarebbe proprio Internet, uno strumento che il regime iraniano cercherebbe invece di limitare e soffocare. Anche in Italia c’è un governo nuclearizzato che criminalizza Internet, perciò per la sinistra italiana può risultare inevitabile e automatico il meccanismo di identificazione con la presunta "ribellione" in Iran; senza accorgersi che la solita coreografia di "rivoluzione colorata" copre probabilmente un tentativo di colpo di Stato da parte di settori dell'oligarchia clericale e, ovviamente, delle multinazionali.
Grande strumento commerciale e di intrattenimento, Internet è diventato anche un importante canale della comunicazione di opposizione, ma questo canale alternativo si è rivelato di agevole intossicazione, come proprio il caso iraniano ha dimostrato, allorché è stato lanciato su YouTube del materiale audiovisivo a forte contenuto emotivo, tale da spiazzare ogni riflessione critica sulla effettiva composizione dell'opposizione iraniana. In tal modo è stato messo in ombra per settimane il fatto che i leader dell'opposizione iraniana appartengono proprio alla componente più affaristica e corrotta del clero sciita, mentre il più "laico" di tutti risulta alla fine essere proprio il mostro mediatico Ahmadinejad. Il mito di YouTube ne è uscito perciò parecchio ridimensionato, e si è cominciato a chiedersi quale tipo di controllo subisca, ed eserciti, questo canale "alternativo", troppo funzionale a lanciare ed accreditare dei falsi.
Il materiale audiovisivo circolato su Internet durante la precedente rivolta in Iran quindi appariva chiaramente confezionato in funzione della manipolazione dell'opinione pubblica "occidentale", educata da sempre a valutare gli avvenimenti sulla base di valori astratti o ad inseguire concetti mitologici e fumosi come il "mercato", ed a non domandarsi quali operazioni affaristiche siano in gioco.
Un esempio di questa perdita di contatto con la realtà, lo fornì Fausto Bertinotti in occasione del suo discorso di insediamento alla presidenza della Camera, quando affermò che nella lotta politica non si dovevano più individuare dei nemici, ma solo avversari. Bertinotti non valutava che il rapporto di inimicizia comporta comunque il riconoscere all’altro una qualche dignità; e infatti l’affarismo non riconosce mai di avere dei nemici, anzi, la sua propaganda non fa altro che presentarci dei mostri da esecrare. Chiunque si opponga all’affarismo viene triturato in questo processo propagandistico di “despecizzazione”, che lo estromette dalla comunità umana. Chi si oppone alle privatizzazioni, non è individuato semplicemente come un nemico dei privatizzatori, ma come un nemico dell’umanità tout-court, cioè un mostro.
L’attuale mostruosità del regime iraniano deriva quindi dal fatto che esso risulta un ostacolo - soggettivo o oggettivo - alla privatizzazione del gas. Ciò non assolverebbe il regime iraniano dai suoi eventuali crimini, ma porrebbe la questione in termini più concreti, e farebbe anche meglio capire a quali violazioni di diritti umani oggi alluda il governo statunitense quando denuncia ciò che avviene in Iran, e cioè i diritti umani delle multinazionali: il diritto di privatizzare, il diritto di far pagare le privatizzazioni ai contribuenti, ecc.
La mano tesa offerta da Massimo D’Alema al governo Berlusconi sulla sua offerta di un tavolo per le riforme istituzionali, ha innescato dei commenti prevedibili e fondati. Si è ricordato che già nel 1995 e nel 2006 fu proprio la scelta dei DS prima, e del Partito Democratico poi, di scegliere come interlocutore privilegiato Berlusconi sulla questione delle riforme istituzionali, a resuscitarlo politicamente, dato che il centro-destra si stava sbarazzando di lui. Si è sottolineato anche che da almeno quindici anni esiste un asse Berlusconi-D’Alema che sovrintende alle scelte affaristiche in Italia; perciò anche questo salvataggio di un Berlusconi alla frutta, ridotto ormai ad affidare il suo prestigio personale alle statuette souvenir che gli piovono in faccia, rientra in una prassi politica che D'Alema ha consolidato nel tempo.
Tutto vero, ma è anche vero che le riforme istituzionali costituiscono ormai da trenta anni un richiamo della foresta a cui nessuna forza politica pensa di sottrarsi, infatti anche coloro che oggi criticano la scelta di D’Alema, non mettono in dubbio l’opportunità di avviare delle riforme della Costituzione, ma si limitano a mettere in evidenza la non credibilità di una controparte come Berlusconi, interessata esclusivamente a risolvere vicende di carattere personale. In tal modo si continua a concedere alla politica di D'Alema il retorico alibi del senso di responsabilità che indurrebbe a dover andare a verificare le proposte berlusconiane.
Se si va invece alle origini della questione delle riforme istituzionali, si può forse avere anche una spiegazione del perché il cambiamento della Costituzione venga avvertito come un’esigenza ineludibile, sebbene non si arrivi mai al dunque.
Lo slogan delle riforme istituzionali fu lanciato nel 1979 da Bettino Craxi, ma l’uomo di punta, il vero ideologo di tutta l’iniziativa, fu un altro esponente dell’allora Partito Socialista, cioè Giuliano Amato; quindi lo stesso personaggio che da trenta anni troviamo dietro la campagna per le privatizzazioni, ed anche colui a cui si deve la nascita dell’Antitrust, quella “Authority” incaricata di spianare la strada all’ingresso delle multinazionali in Italia.
L’idea che la Costituzione italiana fosse irrimediabilmente invecchiata, e non più al passo con i tempi, fu dunque diffusa da Craxi e da Amato, che proposero a suo tempo l’elezione diretta del Presidente della Repubblica; ma, in generale, lo slogan che emergeva - ed emerge ancora adesso, ogni volta che si parla di riforme istituzionali -, era che occorresse “rafforzare l’esecutivo”, andando a togliere al parlamento anche i labili poteri che ancora detiene. Il filo conduttore ideologico del riformismo costituzionale si riduce in definitiva all'antiparlamentarismo, non per colpire il parlamento in quanto tale, data la sua condizione di inettitudine e inerzia, ma a prevenire qualsiasi ipotesi di opposizione e controllo.
Prima della sortita di Craxi e Amato non regnava in Italia la convinzione che le costituzioni fossero come barattoli di pomodoro che portano la scadenza incisa sul fondo; semmai, in base alle norme del Diritto costituzionale, varrebbe la considerazione contraria, e cioè che dovrebbe avere una scadenza, o almeno dei tempi certi, il processo di riforma di una Costituzione, altrimenti il tutto si risolve in una mera delegittimazione della Costituzione vigente, o addirittura in una pratica di eversione e destabilizzazione. La Costituzione italiana ha poco più di sessanta anni, ma il periodo in cui è risultata delegittimata, ed indicata come bisognosa di cambiamento, ha superato la metà della sua vita complessiva.
La conclusione è che, con tutta evidenza, l’obiettivo politico che si prefiggevano, e si prefiggono, i sedicenti “riformatori”, non è mai stato davvero quello di cambiare la costituzione, ma solo di screditarla, quindi di destabilizzare il quadro istituzionale.
Che l’ideologo delle riforme istituzionali fosse anche l’ideologo delle privatizzazioni, risulta perciò perfettamente conseguente, poiché il potere dell’affarismo privato non può permettersi l’esistenza di una vera opposizione parlamentare, perciò i gruppi dirigenti delle opposizioni vengono cooptati nell’oligarchia affaristica, magari in funzione subordinata e marginale. L’affarismo privato necessita invece di un assetto istituzionale destabilizzato e incerto, in cui prevalgano sempre più le regole non scritte, dato che non è possibile attuare nessuna privatizzazione rispettando la legalità ufficiale. Le privatizzazioni sono furti, colpi di mano istituzionali, prodotti dell’illegalità di Stato, procedono perciò per fatti compiuti, per legalizzazioni a posteriori. Nel frattempo una propaganda spregiudicata e pretestuosa deve bollare come vecchiume, o come attaccamento al passato, qualsiasi tentativo di difesa dei diritti sociali e della legislazione di garanzia.
Per condurre questa opera eversiva in favore delle privatizzazioni, il Fondo Monetario Internazionale scelse a suo tempo di infiltrare e cooptare il gruppo dirigente del più antico partito operaio italiano, il Partito Socialista, trasformato in pochi anni in un partito degli affari, ma successivamente liquidato, quando la sua esistenza poteva costituire un ostacolo per altre privatizzazioni.
Il più antico partito operaio si presentò come partito dei “ceti emergenti”, dato che la propaganda ufficiale presentava la classe operaia come un gruppo sociale in via di inesorabile scomparsa. Niente classe operaia, e quindi niente socialismo, perciò via libera alle privatizzazioni.
In realtà, la questione della scomparsa o della marginalizzazione della classe operaia costituisce non solo una ipotesi ancora tutta da dimostrare, ma anche una divagazione pretestuosa, che non tocca la sostanza della situazione attuale, segnata dall'offensiva dell'affarismo privato, come sempre assistito finanziariamente dallo Stato, e quindi impegnato a spremere il contribuente per fargli pagare le privatizzazioni.
La difesa dall’aggressione dell’affarismo privato, l‘esigenza di una economia pubblica, non interessa infatti solo la classe operaia, ma tutto il lavoro dipendente, quindi anche gran parte di quello che viene definito "ceto medio". Chi ha inventato una categoria ambigua e sfuggente come "piccola borghesia", ha fornito all'affarismo privato una micidiale arma propagandistica, atta a determinare un notevole grado di confusione mentale nel cosiddetto "ceto medio". Un impiegato comunale o un insegnante, in quanto "piccoli borghesi", dovrebbero così sentirsi dei parenti poveri di Rothschild, piuttosto che dei lavoratori che condividono la sorte dei lavoratori manuali.
Il comunismo rappresenta perciò un interesse oggettivo di tutto il lavoro dipendente ed anche dei contribuenti - dato che sono gli affaristi privati a potersi permette di evadere il fisco -, e la confusione indotta dalla propaganda ufficiale può riuscire a nascondere questo dato, ma certo non ad eliminarlo.
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