Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Le crescenti difficoltà politiche in cui si dibatte Berlusconi hanno rilanciato le opinioni di quella parte della "destra antagonista" che si ostina, contro ogni evidenza, ad individuare in lui una sorta di campione dell'anticolonialismo, che non avrebbe esitato a favorire gli accordi dell'ENI con Putin e Gheddafi pur di salvaguardare l'indipendenza economica dell'Italia. L'argomentazione di questi estimatori dell'Uomo di Arcore si basa su un'osservazione iniziale di per sé fondata, e cioè che tutti i suoi avversari risultano avere evidenti legami internazional-coloniali; primo fra tutti Gianfranco Fini, santificato dalla stampa americana e con palesi frequentazioni sioniste. La falsa conseguenza che se ne ricava è che Berlusconi risulterebbe inviso ai poteri forti dell'Occidente, che vorrebbero eliminarlo appunto per il suo anticolonialismo.
In realtà, il fatto indiscutibile che Fini sia un amerikano ed un sionista, non implica affatto che non possa esserlo anche il suo attuale nemico Berlusconi. Una pratica comune del colonialismo è infatti quella di mettere in competizione i propri servi, ed è stato lo stesso Berlusconi ad aver manifestato questa gara di servilismo; ciò nel corso del suo viaggio in Israele, mentre intanto Fini era ospite a Washington, dove ha sede non solo il governo USA, ma soprattutto il Fondo Monetario Internazionale. A Gerusalemme Berlusconi lanciò una serie di enfatiche dichiarazioni contro l'ENI, intimando al suo gruppo dirigente di cessare gli investimenti in Iran. Per sostenere questo fervore anti-iraniano del suo Presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri, Frattini, arrivò ad inventarsi un attacco di manifestanti contro l'ambasciata italiana di Teheran.
Che sia stato Berlusconi ad avviare gli accordi economici con la Libia e con la Russia, non costituisce una semplice forzatura, è un falso. Uno dei vantaggi di Internet è quello di costituire una sorta di archivio-stampa, e chiunque perciò può darsi la pena di verificare che il riavvicinamento a Gheddafi fu un'iniziativa di Prodi, e che fu sempre Prodi a firmare i primi due contratti con Putin per il gasdotto South Stream. La colpa di Prodi fu probabilmente quella di non esibirsi insieme con Putin in qualche festino osceno, e quindi la vicenda non ebbe quell'attenzione prolungata e morbosa da parte dei media, che hanno invece avuto le orge che Berlusconi, e lo stesso Putin, si sono organizzati nelle occasioni in cui sono stati rispettivamente ospiti l'uno dell'altro.
In una recente intervista rilasciata a "Repubblica Radio-TV", Prodi, trattando di temi inerenti alla sua missione diplomatica in Africa per conto di organismi internazionali, ha trovato il modo di rivendicare di essere stato proprio lui a riallacciare i rapporti con Gheddafi. Ovviamente nessuno degli intervistatori si è premurato di sottolineare quella affermazione, proprio perché la fiaba ufficiale del "Berlusconi amico di Putin e Gheddafi" non deve essere disturbata. Quindi se c'è qualcuno che ha effettivamente pagato per i suoi rapporti con Putin e Gheddafi, questi è Prodi; anche se si potrebbe dire, con altrettanta attendibilità, che l'ENI riesce comunque a condurre i suoi affari, chiunque sia il Presidente del Consiglio in carica.
Berlusconi, con le sue dichiarazioni in Israele, voleva rassicurare gli ambienti anglo-americani e sionisti circa la propria capacità di rimettere in riga l'ENI, sottolineando così l'inutilità di preferirgli Fini, sul quale il Fondo Monetario Internazionale ha messo gli occhi, poiché questi può vantare dei trascorsi (trascorsi?) di fascista, che gli hanno procurato numerosi legami nelle Forze Armate, tra le quali l'ENI vanta a sua volta parecchi agganci affaristici. Probabilmente, secondo il FMI, solo Fini potrebbe essere capace di convincere gli alti gradi delle Forze Armate a mollare al suo destino il gruppo dirigente dell'ENI. Di fatto né Berlusconi, né Tremonti, hanno dimostrato di saper portare avanti l'obiettivo di una privatizzazione effettiva dell'ENI, trasformandola, come vorrebbe il FMI, da SPA a capitale pubblico in una società mista pubblico/privato, come è già Finmeccanica.
Da quando Berlusconi ha lanciato quelle dichiarazioni in Israele, tutto il suo entourage è stato colpito da una serie di scandali a catena, ed oggi le vittime non si contano più. Risulta difficile ritenere che i legami storici dell'ENI con i servizi segreti non abbiano nulla a che fare con questa pioggia di sciagure. Dopo la ingloriosa caduta del suo ministro delle Attività Produttive, Scajola, Berlusconi è costretto a mantenere l'interim per un ministero che nessuno più si sente di occupare e che, di fatto, nelle mani di Berlusconi, rimane non operativo.
Il punto è che Berlusconi ha palesato negli anni la sua inettitudine personale, la sua dipendenza dalle droghe ed il suo esasperato edonismo, che gli impediscono di perseguire qualsiasi obiettivo. Sono dati che mettono in discussione anche la sua leggenda personale di "imprenditore", e fanno sorgere il dubbio che, anche come affarista, egli sia stato sempre e soltanto un fantoccio ed un prestanome. La biografia romanzata di Berlusconi ce lo presenta da giovane che si esibisce come cantante sulle navi da crociera. Ma chiunque abbia navigato, ha sperimentato che l'imparare l'Inglese è come bere o affogare, è l'unico modo di sopravvivere in quella situazione. Allora come mai Berlusconi non è mai riuscito a impararlo?
La personalità di Berlusconi presenta quindi le caratteristiche inconfondibili del fantoccio massonico, un personaggio talmente stupido da non accorgersi di essere manovrato, e di costituire il crocevia di interessi affaristici non gestiti da lui.
L'ultimo governo Berlusconi (in effetti un governo Tremonti) ha battuto ogni precedente record in fatto di privatizzazioni e di ossequio servile alle direttive del Fondo Monetario Internazionale; ed il paradosso è che la leggenda mediatica del presunto "populismo" berlusconiano, una volta caduto il tiranno, potrebbe servire da pretesto per una politica ancora più antipopolare dei prossimi governi.
Cosa sia invece una vera politica populista lo sta dimostrando il governo ungherese di Orban, il quale alla fine di luglio ha rotto le trattative con il FMI estromettendolo dall'Ungheria, insieme con la sua marionetta, l'Unione Europea. A distanza di oltre un mese, il destrorso Orban non solo ha resistito ai ricatti delle agenzie americane di rating - che minacciavano di "declassare" l'Ungheria -, ma ha lanciato quelle misure "demagogiche" che Berlusconi non si è mai sognato di adottare: niente tagli ai salari, nessun taglio alla spesa sociale, ma tassazione dei patrimoni delle banche e delle assicurazioni; poi il provvedimento più demagogico di tutti: il taglio del 75% dello stipendio del governatore della Banca Centrale, come a fargli capire chi comanda ora.
L'Ungheria fa parte dell'Unione Europea e della NATO, come l'Italia; è occupata da basi militari statunitensi, come l'Italia; è soggetta alla presenza illegale di aerei militari israeliani, come forse avviene anche in Italia a nostra insaputa. Allora come ha potuto Orban fare ciò che Berlusconi e Tremonti non hanno nemmeno osato pensare?
Qui le tracce diplomatiche indicano una chiara risposta: Orban ha chiesto aiuto e garanzie di protezione alla Russia di Putin. Alla fine del 2009, Orban, all'epoca ancora leader dell'opposizione, è andato a San Pietroburgo a conferire con Putin. La stampa internazionale aveva dapprima dato la notizia dell'incontro, poi un'astuta serie di smentite da parte dell'entourage di Putin aveva convinto tutti che l'incontro non ci fosse mai stato; e invece da allora c'è stata la svolta: da acceso anti-russo che era, Orban è diventato anti-occidentale.
Il 17 maggio ultimo scorso, appena dopo le elezioni vinte da Orban, c'era stata anche una provocazione/intimidazione israeliana, con il sorvolo e l'atterraggio illegale di jet militari israeliani all'aeroporto di Budapest. Gli Israeliani hanno grossi interessi affaristici immobiliari in Ungheria (vedi Newscomidad del 10/6/2010), quindi non hanno agito solo in nome e per conto del FMI, ma anche a difesa dei propri affari; le loro minacce però non sono servite.
Certo, quello di Orban è populismo e non socialismo, dato che si tratta di provvedimenti che piovono dall'alto per intrighi di palazzo, ma intanto il moloc FMI è stato umiliato. La svolta anti-FMI dell'Ungheria non ha avuto molta risonanza sui media, ed Orban è per i più ancora un illustre sconosciuto; probabilmente perché la propaganda ufficiale è stata colta di sorpresa e non ha ancora preso le misure. Comunque è prevedibile che ci venga presentata un'Ungheria in preda ad una deriva neonazista ed antisemita. In realtà la destra in generale, ed il partitino neonazista in particolare, non hanno riportato nessun trionfo elettorale, se si considera che la metà degli elettori ungheresi si è astenuta; e non c'è da sorprendersene, dato che il gruppo dirigente del partito socialista ungherese è diventato una banda di zombi sotto il controllo del FMI.
Se Berlusconi fosse davvero "amico" di Putin, come ci racconta Paolo Guzzanti, avrebbe potuto chiedergli protezione contro il FMI, e perciò non avrebbe dovuto lasciar fare a Tremonti quella manovra finanziaria impopolare e devastante. Ma Putin è per Berlusconi solo un compagno di orge, non un alleato politico. I fantocci non sono in grado di stringere alleanze.
Il segretario del Partito Democratico, Bersani, ha dichiarato che la formazione di un governo Tremonti potrebbe costituire una tappa necessaria per porre fine al berlusconismo (magari in attesa di un governo Fini). In effetti l'operazione politica in questione è stata preparata da un'intervista rilasciata dallo stesso Tremonti a "La Repubblica", in cui il ministro veniva santificato dall'intervistatore, che era uno degli esponenti più autorevoli del quotidiano, Massimo Giannini.
Il commento, ovvio, che è venuto spontaneo a molti è stato che, evidentemente, Bersani e "La Repubblica" pensano che persino uno come Berlusconi abbia il diritto di essere rimpianto. Non c'è dubbio inoltre che l'eventuale caduta di Berlusconi sarebbe presentata come una sconfitta del suo presunto "populismo", quindi ne deriverebbe un ottimo alibi per farla pagare a carissimo prezzo a quel popolo che - sempre secondo la fiaba imposta da "La Repubblica" - lo avrebbe idolatrato.
In realtà l'ultimo governo Berlusconi è stato già un governo Tremonti mascherato, dato che il ministro dell'Economia è colui che ha assunto tutti i provvedimenti significativi, lasciando al suo fantoccio/prestanome le leggi riguardanti questioni puramente ludiche e ad personam, come il legittimo impedimento, o la possibilità di continuare a dire sconcezze al telefono senza il timore di essere scoperto. Ma la vera impronta politica dell'attuale governo è consistita nell'accelerazione sfrenata delle privatizzazioni, cominciate con la Legge 133/2008 (il Decreto Tremonti, appunto), che ha regalato ai privati i patrimoni immobiliari delle Università e delle aziende idriche.
Il cosiddetto "Federalismo Demaniale" è un'altra creatura di Tremonti, anche se la responsabilità ufficiale è stata lasciata ad una mezza figura come Calderoli. La "riforma della Scuola" porta a sua volta il nome della passacarte Gelmini, ma costituisce anch'essa una spinta alla privatizzazione della Scuola, attraverso il sabotaggio della istruzione pubblica, nella prospettiva della trasformazione delle scuole pubbliche in enti che appaltino il servizio a privati. Al ministro Bondi è stata invece lasciata la responsabilità ufficiale per la privatizzazione degli Enti Lirici e di altri beni culturali.
Nella sua produzione ideologica, Tremonti è riuscito a fare invidia anche alle più scatenate banderuole, ma in fatto di privatizzazioni può vantare invece una altrettanto invidiabile coerenza. Tremonti ha infatti realizzato negli ultimi due anni ciò che non gli era riuscito sei anni fa, cioè mettere le mani sul patrimonio immobiliare pubblico. A suo tempo la Corte dei Conti aveva bloccato il piano di Tremonti di alienare il Demanio dello Stato a favore di affaristi privati. La Corte aveva deciso in base al semplice argomento che non si può svendere un patrimonio alla decimillesima parte del suo valore solo perché all'asta si presenta un solo acquirente che offra una cifra irrisoria.
Stavolta l'ostacolo della Corte dei Conti è stato aggirato con vari espedienti giuridici, come le Fondazioni Universitarie, e le Fondazioni per gli Enti Lirici o per gli Scavi di Pompei. Le Fondazioni sono società miste pubblico/privato, in cui però il privato non ha altra funzione che di rubare, dato che la ricchezza patrimoniale è messa per intero dallo Stato. Anche il Federalismo Demaniale costituisce solo una via traversa per cedere i patrimoni immobiliari pubblici ai privati: i beni demaniali sono stati ceduti a Comuni e Regioni, e questi enti locali si incaricano di "affidarli" a ditte private. Così la Corte dei Conti non può mettere i bastoni tra le ruote, dato che l'affare è di competenza delle autonomie locali e non più dello Stato.
Pochi giorni fa la Corte dei Conti aveva bloccato la privatizzazione della società di navigazione Tirrenia, mettendo allo scoperto che l'affare era viziato dai consueti giochetti: la sottovalutazione del valore patrimoniale della società, ed un'asta a cui si presentava un solo compratore, che rilevava il tutto con quattro soldi. Ma Tremonti non si è perso d'animo, infatti ha fatto commissariare la Tirrenia, l'ha screditata di fronte all'utenza sabotando il servizio, ed ora si prepara a smembrarla ed a cederla pezzettino per pezzettino. Nessuno si stupirà di sapere che anche la Tirrenia possiede, oltre alle navi, anche un patrimonio immobiliare sterminato.
Tremonti dice di essere laureato in Giurisprudenza, ma sei anni fa la sua cultura giuridica si era rivelata decisamente carente, perciò stavolta si è fatto assistere da dei consulenti legali, che gli hanno fornito gli opportuni cavilli per raggiungere l'agognato obiettivo delle privatizzazioni. Nel 2001 Tremonti era riuscito ad imporre la privatizzazione dei patrimoni immobiliari degli enti previdenziali, INPS e INPDAP, ma queste privatizzazioni avrebbero dovuto essere concluse nel 2008, e invece sono andate a rilento per i soliti ostacoli legali; perciò, anche in questo ramo, i consulenti "legali" di Tremonti dovranno escogitare qualcosa.
Il fatto è che non si sono mai verificate nella Storia privatizzazioni "pulite", in cui sia stato rispettato il cosiddetto "profilo della congruità", cioè la corrispondenza del prezzo di acquisto all'effettivo valore del bene acquistato. Nel processo secolare di costruzione della rete di infrastrutture (strade, ferrovie, ponti, acquedotti, ecc.), gli Stati e gli altri enti pubblici hanno dovuto acquisire e valorizzare un enorme patrimonio demaniale. Le ricchezze private, a loro volta, hanno sempre trovato la loro fonte e la loro origine nel furto di questi beni demaniali, ciò attraverso la complicità dei governi o di altri pubblici poteri, i quali spesso hanno continuato ad assistere i ladri anche dopo il furto, permettendo loro di gestire il patrimonio rubato grazie a sussidi, finanziamenti a fondo perduto, sgravi fiscali, ecc.
I ricchi hanno ovviamente avvolto l'origine e i metodi illegali con cui riproducono la loro ricchezza in un alone mitologico e propagandistico, che ne ha occultato il carattere criminale. Questo monopolio ideologico da parte dei ricchi ha finito per condizionare e manipolare le stesse opposizioni socialiste e comuniste, perciò spesso non ci si opponeva al capitalismo reale - quello dell'affarismo criminale assistito dallo Stato -, ma ad un suo fantasma idealizzato. Il senso comune continua così a considerare l'onestà un lusso dei ricchi, ed ignora che in effetti il crimine costituisce l'interesse di classe e la coscienza di classe della borghesia affaristica. Nel 1970 il sociologo/criminologo americano Richard Quinney pubblicò un libro, "La realtà sociale del crimine", in cui, dati alla mano, dimostrava che la stragrande maggioranza dei reati non è commessa da poveri, ma dai ricchi ed, in genere, dai cosiddetti "colletti bianchi", e che però, di questa realtà, non esiste una consapevolezza sociale, proprio a causa della potenza propagandistica dei ricchi.
Allorché un Paese è soggetto ad una pressione coloniale da parte delle multinazionali, la prima preda del colonialismo sono proprio i Demani dello Stato. Non a caso il Fondo Monetario Internazionale pone la privatizzazione dei patrimoni pubblici come prima condizione per i suoi prestiti ai Paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Ma quando si tratti di Paesi industriali che non dipendono dai prestiti internazionali, come nel caso dell'Italia, il FMI ha a disposizione altre tecniche di colonizzazione, quali l'infiltrazione, la corruzione e la cooptazione delle classi dirigenti. E del resto un Paese come l'Italia, che ha sul suo territorio qualcosa come centoquindici basi militari USA o NATO, certo non può brillare per spirito di indipendenza.
L'anno scorso si è celebrato il ventennale della caduta del Muro di Berlino, e ci è stato detto che dovevamo gioire per la fine del comunismo. Ma poi non ci si è spiegato come mai, dopo le "vittime del comunismo", ci sono state anche le vittime della fine del comunismo, tra cui la "socialdemocrazia europea", lo Stato sociale europeo, e persino l'indipendenza economica dell'Europa, che è stata "terzomondizzata" al punto da diventare una colonia ufficiale del Fondo Monetario Internazionale. Anche mentre farneticava di tesi no-global nelle interviste, Tremonti infatti ha sempre seguito alla lettera l'agenda delle privatizzazioni dettata dal FMI, e ciò costituisce un oggettivo indizio circa il motivo delle sue personali fortune politiche e mediatiche.
Perché allora "La Repubblica" non ci ha detto niente delle privatizzazioni di Tremonti, quando lo ha posto sugli altari?
Sicuramente perché a queste privatizzazioni è interessato anche De Benedetti, il padrone de "La Repubblica" (quando si dice il "conflitto d'interessi"!), ma bisogna constatare che, salvo l'iniziativa episodica di alcuni giornalisti, non esiste in generale un'informazione su questo tema. A posteriori qualche quotidiano ammetterà che la tale o tal'altra privatizzazione è stata fatta in modo sospetto, ma la colpa sarà sempre scaricata sul "capitalismo straccione all'italiana", dato che il dogma delle privatizzazioni in quanto tale non può mai essere messo in discussione. La "libera stampa" costituisce quindi una di quelle mistificazioni di supporto alla mistificazione principale, quella dell'origine "produttiva" della ricchezza privata.
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