Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il progetto di "no fly zone" risultava ormai superato dagli eventi bellici sul terreno libico, dato che la inattesa rapidità della controffensiva delle truppe di Gheddafi aveva comportato l'accerchiamento degli insorti sia a Misurata che a Bengasi. La coalizione dei "volenterosi" - Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna -, forzando la lettera della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, ha perciò trasformato la "no fly zone" in una "no life zone", cioè in bombardamenti a tappeto che hanno avuto come bersaglio anche quella popolazione civile che si affermava di voler proteggere. Sugli aridi deserti della Libia finalmente piove democrazia, ma la pioggia di bombe democratiche potrebbe non bastare a risolvere la situazione.
Obama ha affidato il compito di guerrafondaio ufficiale al suo fantoccio francese Sarkozy, in parte per esigenze propagandistiche, per salvare la propria nomea di umanitario refrattario alla guerra, ma soprattutto perché la situazione sul terreno si è evoluta in modo tale che, per sconfiggere Gheddafi, sarà inevitabile ricorrere a truppe di terra. La linea dei media occidentali è di presentare gli USA come "defilati" rispetto all'operazione militare in Libia, infatti questi hanno lanciato appena cento missili: uno stuzzichino se rapportati agli appetiti degli opinionisti guerrafondai, ma era tutto ciò che gli USA avevano a disposizione in quel momento. I bombardamenti non hanno però sortito l'effetto sperato, di favorire un contrattacco delle forze ribelli, che rimangono accerchiate, perciò la Francia è l'unico Paese che può togliere le castagne dal fuoco, poiché è in grado di impegnare la Legione Straniera, cioè mercenari, in gran parte africani. La Francia ha anche una collaborazione militare organica con la Gran Bretagna, ed anche questa dispone di efficienti mercenari nepalesi che potrebbero risultare utili alla bisogna.
La crisi della NATO, già apertasi per il disimpegno preventivo della Turchia, si è quindi approfondita a causa della pretesa francese di spartire il bottino di guerra (giacimenti petroliferi) in base allo sforzo effettivamente profuso, e non in base alle quote NATO, che vedrebbero l'Italia rientrare per la finestra dopo essere stata cacciata dalla Libia per la porta. Il paradosso di questa situazione sta nel fatto che la NATO era stata dall'inizio la vera protagonista della crisi libica, aizzando alla ribellione e fomentando la psicosi mediatica della emergenza umanitaria, attraverso le false notizie diffuse da Al Jazeera, che è un'emittente del Qatar, un piccolo Paese coordinato con la NATO tramite un trattato militare. Che il Qatar faccia parte della NATO ce lo ha rivelato il non-ministro degli Esteri Frattini in un'intervista telefonica a "Repubblica Radio-TV"; così anche Frattini, nella sua inutile vita, è riuscito a fare una cosa utile, mettendoci indirettamente a conoscenza del fatto che Al Jazeera è integrata negli apparati di guerra psicologica (psywar) della NATO.
http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://www.nato.int/docu/update/2007/09-september/e0910b.html
Sarkozy crede ora di poter fare a meno della stessa NATO, poiché è stato anche il primo ad avviare i bombardamenti, ritenendo così di avere acquisito particolari diritti. Sarkozy, che rappresenta gli interessi della “relazione speciale” tra Londra e Washington, si è sforzato fin dall’inizio del suo mandato di avvicinare gli apparati di difesa francesi e britannici. Ci è riuscito con gli accordi bilaterali di difesa del 2 novembre 2010 e trova nella crisi libica l’occasione di un’azione comune. Il 17 marzo 2009 Sarkozy aveva accettato il ritorno nel comando integrato della NATO, sancito al vertice di Strasburgo del 3 aprile 2009, rinunciando di fatto al principio di una difesa francese indipendente. Col Trattato di Lisbona, di cui è stato uno degli artefici, il fantoccio Sarkozy aveva già costretto l’Unione Europea a rinunciare ad una difesa indipendente per mettersi sotto l’ombrello Nato. Con mezzo secolo di ritardo e con la scusa di fare economie di scala, gli accordi tra Cameron e Sarkozy liquidano le velleità di indipendenza dei Francesi che avevano visto gollisti e comunisti insieme. La forza di intervento franco-britannica è già una realtà con un vasto piano di esercitazioni aeree comuni: il “Southern Mistral”. Il comando delle operazioni in Libia appare saldamente nelle mani dell’ammiraglio USA Locklear (oltre che di Africom di Stoccarda!) e le pretese della Francia di non dare la gestione completa delle operazioni (come sostengono i servi Cameron e Berlusconi) alla Nato, cioè agli USA, appaiono velleitarie. Qualche anno fa c’erano stati timidi tentativi di coordinamento militare franco-tedeschi, ma ora con la Germania fuori gioco e la Francia agli ordini di Obama, sembra tramontata ogni ipotesi di una politica europea autonoma.
Risultava ovvio che anche la "no fly zone" eseguita secondo i canoni standard avrebbe avuto come sbocco la partecipazione diretta agli scontri da parte delle forze "occidentali"; ma in questo caso l'urgenza dei tempi ha determinato la necessità di saltare il copione previsto dalla propaganda, che consiste nel presentare l'intervento bellico attivo come una "inevitabile" risposta ad attacchi dell'aviazione o della contraerea del Paese oggetto della "no fly zone" stessa. Ai combattimenti, se non ai bombardamenti, hanno partecipato poi anche aerei italiani, sebbene il voto parlamentare avesse autorizzato solo la "concessione" delle basi militari in Italia (in realtà, in queste basi "italiane", agli Italiani è a malapena concesso di metter piede).
Ciò non poteva non sconcertare un'opinione pubblica che sinora si era disciplinatamente bevuta tutte le "notizie" sulla Libia. Si è quindi espressa in vario modo anche un'opposizione "da destra" alla guerra, con reazioni di rabbia e sospetto, di cui si sono fatti interpreti sia la lega Nord che il quotidiano "Libero". Ma più ancora di questo moto di opinione pubblica, è stata la vitalità dimostrata da Gheddafi - forse dovuta ai finanziamenti occulti dell'ENI, che hanno permesso di aggirare il sequestro dei beni libici - a suggerire che bisogna avere una linea ambivalente, utile sia a giustificare un ritiro, se le cose si mettessero male, sia a legittimare una lunga occupazione, se gli "alleati"/padroni decidessero che fosse il caso di pagarne il prezzo. L'ambiguità di questo "pacifismo" di destra sta perciò nel fatto che, mentre attacca le attuali motivazioni della guerra, sembra al tempo stesso suggerire altre motivazioni per proseguirla e trasformarla in occupazione permanente.
Se, come dice "Libero", l'attuale guerra rischia di favorire le forze dell'integralismo islamico e l'immigrazione selvaggia, allora, ciò costituirebbe un ottimo pretesto sia per ritirarsi, sia per insediarsi in Libia sine die con proprie basi militari. In questo secondo caso si potrà sempre dire: "siamo stati troppo ingenui e generosi ad aiutare gli insorti senza accertare chi fossero, ed ora dobbiamo correre ai ripari". Gli USA ci hanno abituati da sempre a credere che se sbagliano lo fanno solo per eccesso di bontà, ed il bello è che gli si crede pure.
Feltri vorrebbe a sua volta farci credere che Berlusconi abbia dovuto aderire alla guerra malvolentieri, ma in realtà Berlusconi ne è felicissimo, dato che così ha trovato un inattaccabile "legittimo impedimento" da esibire ai giudici. Vista la sottomissione dimostrata da Berlusconi alle esigenze belliche, si capisce anche perché il presidente Napolitano lo abbia salvato lo scorso novembre rimandando il voto di sfiducia con il pretesto della Legge Finanziaria, permettendogli così di ricomprarsi i voti. In questi giorni Napolitano si sta rivelando la vera "Voice of America" in Italia.
Nessuna guerra giunge a compimento tenendo ferme le motivazioni ufficiali che l'avevano "giustificata" all'inizio, anzi, queste motivazioni vengono modificate per strada, adattandole alle esigenze della propaganda. I vari Bossi, Feltri, Maglie, Veneziani ed Allam si stanno quindi incaricando di accompagnare per mano il "popolo di destra", dalla sua attuale insofferenza e diffidenza, ad una rassegnata, ma convinta, adesione alla guerra, dato che per la propaganda si tratterà, di qui a poco, non più di salvare dei poveri civili, ma di fermare le orde islamiche alle porte dell'Europa. Del resto i bombardamenti a tappeto risultano già ispirati da un proposito del tipo "ammazziamoli tutti quei figli di puttana", più che da precauzioni umanitarie; perciò nuovi slogan propagandistici urgono per supportare le evoluzioni della strategia militare o, per meglio dire, della strategia affaristica, dato che pare che le basi militari USA non serviranno solo ad arraffare il petrolio libico, ma anche i giacimenti di altri minerali del vicino Ciad.
A fronte di questo pseudo-pacifismo della destra, si è dovuto registrare invece un interventismo "di sinistra", cosa che i media hanno presentato come un fatto inusitato. Ma anche qui i media dicono una cosa inesatta, poiché cento anni fa era stata proprio la guerra coloniale italiana del 1911, l'impresa di Libia, ad inaugurare un interventismo di "sinistra". Il poeta Giovanni Pascoli, che si riteneva un socialista, lanciò nel 1911 la dottrina del colonialismo proletario, con la famosa allocuzione "La Grande Proletaria si è mossa". La dottrina del colonialismo proletario ebbe fra i suoi adepti anche un anarchico, Massimo Rocca, che si firmava con lo pseudonimo di Libero Tancredi. Rocca fu ovviamente fra gli interventisti nella prima guerra mondiale, e si distinse con articoli su "Il Resto del Carlino" che incalzavano Mussolini, il quale, nel 1914, cominciava a mettere in discussione il suo neutralismo socialista. Rocca aderì poi al fascismo, divenne ancora dopo un "fascista dissidente" in esilio, e infine rientrò in Italia per aderire nel 1943 alla Repubblica Sociale Italiana.
Ma fra gli interventisti di sinistra non vi furono solo opportunisti come Mussolini, ma anche personalità socialiste o democratico-radicali di assoluto rigore morale, come Gaetano Salvemini, Guido Dorso e Cesare Battisti, che sarebbe stato poi impiccato dagli Austriaci per tradimento, in quanto trentino, quindi di cittadinanza austriaca. Fu interventista anche Giuseppe Di Vittorio, colui che sarebbe diventato il segretario generale della CGIL nel secondo dopoguerra, ma che nel 1915 militava ancora nell'Unione Sindacale Italiana; una scelta inaspettata che sconcertò e addolorò l'allora segretario dell'USI, l'anarchico Armando Borghi, il quale attribuì questo contagio interventista ad infiltrazioni massoniche. Anche Palmiro Togliatti fu interventista, almeno a quanto è stato riferito da Amadeo Bordiga, il primo segretario del Partito Comunista d'Italia.
Nel 1915 il problema era di salvare l'Europa democratica dalle "orde germaniche", a cui si attribuiva persino il delitto di aver tagliato le mani ai bambini belgi nel corso della loro invasione del Belgio. Anche quel dettaglio truculento risultò totalmente inventato, esattamente come oggi la storia delle fosse comuni di Gheddafi.
Mentre da Rossana Rossanda ormai ci si aspettava questo ed altro, dispiace che fra gli interventisti umanitari vi sia anche Paolo Flores D'Arcais, di cui si ricorda con rispetto l'impegno recentemente profuso contro le prepotenze ed i ricatti di Marchionne. Flores D'Arcais soffre probabilmente degli stessi pregiudizi di altri esponenti del liberalismo radicale, come John Stuart Mill, anche lui convinto di una sorta di missione occidentale a favore dei "popoli minorenni": un colonialismo umanitario, appunto. L'idea che, senza la tutela occidentale, i popoli minorenni vadano incontro a forme di autogenocidio ad opera dei loro tiranni, costituisce un pregiudizio razzistico, non percepito come tale perché permeato di autentica partecipazione umana, ma comunque di razzismo si tratta.
Il dominio "occidentale" è stato santificato attribuendolo ad una superiorità culturale e tecnologica sul resto del mondo, diventando la pretesa di una missione civilizzatrice: il "fardello dell'Uomo Bianco". In realtà, come ha messo in evidenza anche Noam Chomsky, ancora nel XVIII secolo, i maggiori Paesi industriali erano l'India e la Cina. In particolare l'India deteneva il primato sia nel tessile che nella cantieristica navale, tanto che anche la Corona britannica ne divenne cliente. La superiorità "occidentale" si espresse invece nel campo della guerra, creando un modello di guerra totale, attraverso un intreccio di militarismo, affarismo, ideologia e propaganda; un intreccio tale da trasformare le potenze occidentali in macchine belliche prive di pause e di scrupoli: la guerra infinita. Ovunque la guerra ha sempre costituito un elemento determinante delle relazioni tra gli Stati, ma soltanto nel sedicente Occidente ha assunto il carattere di relazione assoluta, tanto da far dire a Georges Clemanceau che "la pace non è altro che la guerra condotta con altri mezzi".
L'Occidente è quindi incapace di distinguere tra la pace e la guerra, e di discernere gli scopi umanitari sia dagli affari che dal crimine tout-court. Da qui la disinvolta pretesa di superiorità morale che suggestiona ed affascina anche gran parte della sinistra, quindi le infiltrazioni massoniche e le infiltrazioni in genere, pur reali, costituiscono solo un aspetto del problema.
Il declino economico e tecnologico degli USA ha fatto gridare molti commentatori alla fine del dominio americano ed all'avvento di un mondo multipolare. In realtà il dominio statunitense non si fonda sulla superiorità economica tout-court, bensì sul suo modello affaristico fondato sulla guerra totale, che trasforma la rete delle alleanze in cordate di complicità affaristiche. L'attuale dinamismo economico della Cina e dell'India non significa molto, dato che nel XVIII secolo ciò non salvò questi Paesi da un destino coloniale, diretto nel caso dell'India, indiretto nel caso della Cina, che rimase sempre formalmente indipendente.
Flores D'Arcais ricorre inoltre all'argomento tipico della propaganda di destra, di liquidare il rifiuto della guerra come posizione "di principio". In realtà le posizioni di principio non si assumono per capriccio, ma costituiscono la formulazione teorica di un'esperienza ripetuta e sedimentata. O dall'esperienza non si deve imparare nulla?
COMUNICATO DELLA SEGRETERIA NAZIONALE DELL'UNIONE SINDACALE ITALIANA (USI - AIT)
E’ ormai un fatto concreto l’intervento militare in Libia. E’ iniziata Odissey Dawn, l’ennesima missione bellica delle potenze occidentali, tesa a salvaguardare interessi economici ed equilibri geopolitici, che si ritengono messi a repentaglio da instabilità, tensioni locali o ambizioni di leader e dittatori.
E’ un elenco ormai lungo che nel suo dipanarsi rivela la trama di uno stato di guerra permanente. Negli anni cambiano gli scacchieri: da quello balcanico (Bosnia e Kosovo) a quello mediorientale (Iraq) a quello asiatico (Afghanistan) a quello odierno maghrebino; cambiano i nomi delle operazioni militari: da operazioni di polizia internazionale a task force contro il terrorismo, a dispiegamento di forze di interposizione e di dissuasione, ai più rassicuranti missione di pace e missione umanitaria; non cambiano i mezzi: bombardamenti aerei e missili, non cambia soprattutto la sostanza: di vere guerre si tratta.
Fin da subito è apparso evidente che la rivolta libica, pur figlia delle insorgenze popolari che hanno scosso e stanno scuotendo molti paesi dell’area maghrebina e mediorientale (dalla Tunisia, all’Algeria, al Marocco, all’Egitto, allo Yemen e al Bahrein) presentava caratteri specifici di scontro per il potere tra fazioni rivali, radicate territorialmente e su base tribale (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan). Come è apparso chiaro che i diversi ruoli della Libia nello scacchiere mediterraneo (grande produttore di petrolio e gas, partner economico rilevante dell’occidente, gendarme dell’area, controllore dei processi migratori) avrebbero reso la crisi del regime di Gheddafi, crisi internazionale di vaste proporzioni. Ciò sta puntualmente accadendo con i bombardamenti di Tripoli.
E’ iniziata una guerra, una guerra vera, sporca e infame come tutte le guerre, che non ha nessuno degli obiettivi che dichiara, né la caduta di Gheddafi, né l’instaurazione della “democrazia”, né la protezione della popolazione civile. Una guerra i cui scopi sono ben chiari: ricolonizzare, balcanizzandolo, un paese importantissimo per le sue risorse energetiche e la sua collocazione strategica e geopolitica, ma anche e soprattutto per perpetuare uno stato di belligeranza permanente mondiale che ricopra come un sudario le vere emergenze (la fame e la miseria, le devastazioni e le catastrofi ambientali e nucleari, gli esodi di massa dei disperati del mondo, la supremazia incontrastata del profitto sui bisogni e le necessità) e che consenta di reprimere, anche preventivamente, lotte, insorgenze, rivolte.
Una guerra, infine, a cui l’Italia parteciperà canagliescamente e ipocritamente come suo solito, senza neppure il coraggio di assumersene le responsabilità; destra e sinistra unite nella retorica patriottarda dietro le indecenti parole di Napolitano, per intorbidare e offuscare le coscienze. Una guerra della quale il nostro “bel paese” raccoglierà, come un avvoltoio, le briciole.
Noi siamo contro questa guerra, come siamo e saremo contro tutte le guerre capitaliste e imperialiste. Riconosciamo un solo fronte, quello della guerra sociale contro i padroni e i loro servi. Un fronte che accomuna, storicamente e necessariamente, tutti gli sfruttati di qualunque nazionalità, etnia, lingua e cultura e li contrappone inconciliabilmente alla barbarie capitalista. Un fronte che per contrastare la portata degli avvenimenti non può essere di semplice difesa dei brandelli di pace o di vivibilità dell’esistente, ma di concreta alternativa alla miseria e alla barbarie che ci circondano e nelle quali ci vogliono sempre più sprofondare. Non possono bastare le sfilate multicolori per la pace, bisogna agire e cominciare a costruire una società diversa.
CONTRO LE GUERRE DEL CAPITALE, GUERRA SOCIALE PER UN MONDO DIVERSO, SENZA STATI, NE’ ESERCITI, NE’ PADRONI
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