Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Era prevedibile che la caduta del Buffone di Arcore, con la conseguente fine del suo effetto di distrazione, mettesse in rilievo altri conflitti d'interesse rimasti precedentemente privi della dovuta attenzione. In questo senso, non sarebbe corretto dire che Giorgio Napolitano abbia "ereditato" lo scontro con le Procure, dato che egli ne era già ampiamente partecipe in precedenza. Nel luglio dello scorso anno, nel corso di un'udienza al Quirinale ai magistrati in tirocinio, il presidente Napolitano, in una sorta di slancio profetico, emise un suo pubblico anatema contro l'abuso delle intercettazioni giudiziarie. In quell'occasione, molti commentatori affermarono che Napolitano aveva parlato da supremo garante dell'equilibrio dei poteri costituzionali; in realtà i fatti successivi hanno dimostrato che Napolitano già pensava esclusivamente al suo interesse personale di possibile indagato. [1]
Per correre in soccorso di Napolitano, un Eugenio Scalfari scucito e sconnesso, dalle colonne de "La Repubblica", si è gettato in una difesa d'ufficio di quella che è passata agli onori delle cronache come la "trattativa Stato-Mafia", rivelando così a tutti il vero movente di Napolitano, cioè che cosa questi avesse da nascondere. Un Ezio Mauro più contorto ed involuto che mai, ha cercato di correre ai ripari, ma ormai il guaio era fatto.
Grazie anche a Scalfari risulta evidente che non soltanto Nicola Mancino, ma anche altri ministri degli Interni degli anni '90, fra cui Napolitano, hanno svolto un ruolo nella cosiddetta "trattativa Stato-Mafia". Ma quale sarebbe stato l'oggetto di questa trattativa, e perché lo Stato avvertì l'urgente bisogno di scendere a patti? Furono davvero le stragi il motivo del cedimento dello Stato, o si trattò dell'ennesimo sanguinoso depistaggio?
I segreti veri e propri non esistono, tutti sanno ciò che c'è da sapere, solo che fanno finta di non saperlo quando il conformismo lo impone. Infatti, se Ezio Mauro cercasse davvero una risposta a quelle domande, la troverebbe sulle colonne del suo giornale. "La Repubblica" del 18 dicembre del 1993 riportava una notizia sulle rivelazioni del pentito Francesco Marino Mannoia alla magistratura americana. Mannoia raccontò al giudice Fitzgerald che la base NATO di Sigonella alla fine degli anni '70 era in effetti la centrale di un traffico di droga verso gli USA. Lo stesso Mannoia forniva anche i nomi del personale della base NATO coinvolto nel traffico. Per queste preziose rivelazioni Mannoia è rimasto sedici anni in custodia presso l'FBI, cosa che pare gli abbia tolto ogni voglia di aggiungere ulteriori dettagli. Finché Mannoia accusava Andreotti poteva andar bene, ma se tira in ballo la NATO, allora andava rimesso in riga. [2]
Ma questi fattacci di droga sono di più di trenta anni fa, mentre oggi le cose vanno diversamente. Infatti un'inchiesta de "La Repubblica" dello scorso anno rivelava che il super-radar USA attualmente in costruzione a Niscemi, e che dovrebbe essere in funzione dal 2015, viene costruito con la partecipazione di un'impresa già coinvolta in altre inchieste di mafia. [3]
Ormai è persino una banalità ricordare che da settanta anni la USNavy si serve della Mafia per controllare il territorio e per collaborare a tutte le innumerevoli attività illegali di cui le basi USA e NATO sono il crocevia. Se si considera che il Consiglio Atlantico costituisce la principale agenzia di lobbying delle grandi multinazionali finanziarie e commerciali, che lì vengono accolte in qualità di sponsor e consulenti, ecco che si comprende come la NATO rappresenti il punto di raccordo tra la grande criminalità multinazionale e la criminalità sul territorio.
Per averne la documentazione basta pescare negli archivi dei grandi quotidiani; anche se si tratta di notizie isolate, oppure minimizzate all'interno di contesti che danno la priorità ad altri dettagli. In un articolo lunghissimo su "La Repubblica" del 2007, il solito Roberto Saviano concedeva solo tre righe al fatto che era stato Zagaria, il boss dei Casalesi, a costruire la centrale radar della NATO di Licola in Campania, e tutto il resto era dedicato alla conquista del centro di Milano da parte della camorra del cemento. La strana coincidenza che le centrali radar della NATO vengano invariabilmente costruite da imprese legate alla criminalità locale, dovrebbe essere oggetto di un minimo di attenzione e sottolineatura da parte dell'informazione; ma sarebbe ingenuo aspettarselo. [4]
Quando poi la NATO persegue i suoi obiettivi, come per l'aggressione alla Libia e alla Siria, o come per l'accerchiamento della Russia, allora l'informazione risulta anch'essa completamente irreggimentata e militarizzata; perciò la stessa NATO viene divinizzata senza riserve dai media, mentre il pericolo mafioso viene identificato con Putin.
Non fu quindi una Ragion di Stato a motivare la trattativa dei governi italiani con la Mafia, ma una "Ragion di NATO", ovvero obblighi di alleanza, cioè di servitù coloniale dell'Italia nei confronti degli USA. Appare quindi irrealistico ritenere che la magistratura sia davvero intenzionata ad andare sino in fondo nella vicenda della cosiddetta trattativa Stato-Mafia, assumendosi così il rischio di scoperchiare il verminaio NATO.
La reazione alle iniziative della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo risulta perciò sproporzionata, improntata ad un isterico eccesso di difesa, dovuto non solo alla psicologia da imputato di Napolitano, ma soprattutto allo storico dilettantismo del gruppo dirigente di provenienza PCI. Dirigenti del PD in evidente stato confusionale trattano oggi Ingroia o Grillo come se li avessero scambiati per Trotsky, e ci fosse ancora l'Unione Sovietica da difendere. Ma non hanno abbandonato l'URSS e aderito alla NATO già dagli anni '70?
Del resto anche la magistratura ha ritenuto di inchinarsi alla "Ragion di NATO", visto che lo scorso anno il tribunale di Catania ha mandato assolti i mafiosi che gestivano gli appalti nella base USA di Sigonella. I giudici hanno assolto gli imputati in base alla formula secondo cui "il fatto non sussiste", il che vuol dire che se gli USA hanno ritenuto di attribuire degli appalti a ditte mafiose, non si può certo pensare che siano stati costretti a farlo. Inoltre le basi militari, di fatto o di diritto, hanno acquisito una extraterritorialità, e l'esperienza ha dimostrato che il segreto militare costituisce per la magistratura una soglia ancora più invalicabile del segreto di Stato. [5]
[1] http://archiviostorico.corriere.it/2011/luglio/22/Napolitano_chiede_misura_intercettazioni_arresti_co_9_110722031.shtml
[2] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/12/18/dalla-base-nato-di-sigonella-la-mafia.html
[3] http://inchieste.repubblica.it/it/espresso/2011/10/31/news/base_usa_chiama_mafia-24199992/
[4] http://milano.repubblica.it/dettaglio/la-mafia-del-cemento-conquista-milano-gli-affari-del-clan-dei-casalesi/1336226/4
[5] http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/appalti-base-usa-sigonella-tribunale-catania-assolve-i-sette-imputati-22384/
C'è una contraddizione evidente nella vicenda di Julian Assange. Da una parte si osserva una persecuzione meticolosa e astiosa nei confronti del fondatore di Wikileaks, dall'altra parte c'è l'obiettiva esiguità dei moventi dichiarati di questa persecuzione. Non ci si riferisce soltanto alle assurde accuse di molestia sessuale da parte della ex neutrale Svezia; imputazioni che massacrano le "idee chiare e distinte" così care a Cartesio. Il problema maggiore riguarda proprio le accuse di spionaggio mosse dalla potenza verso la quale Assange rischia di essere estradato una volta nelle mani del governo svedese, cioè gli Stati Uniti.
Il fatto che Wikileaks si sia procurato le informazioni che ha successivamente diffuso attraverso tecniche di pirateria informatica, oppure grazie all'aiuto di alcuni "insider", non cambia la sostanza della questione, e cioè che la grandissima parte di queste informazioni riservatissime erano in effetti la classica aria fritta, in alcuni casi persino veline della propaganda. Negli USA molti commentatori, ufficiali e non, si sono cimentati nell'ardua impresa di spiegare all'opinione pubblica il danno incalcolabile che la banda Assange avrebbe inferto alla sicurezza statunitense. Ma nessun dato significativo è stato mai fornito per sostenere questa tesi, perciò ogni argomentazione ha sempre finito per ripiegare sulla retorica stantia del rapporto di "fiducia" fra gli Usa e i suoi alleati, che sarebbe stato incrinato da queste "rivelazioni". In realtà nessun "alleato" si "fida" degli Stati Uniti, mentre la scorrettezza, l'inaffidabilità, la slealtà e la brutalità dei funzionari statunitensi è addirittura divenuta proverbiale in tutti gli ambienti internazionali.
La comunicazione interna ed estera degli Stati Uniti è conformata ai criteri della psicoguerra, perciò gli USA devono il loro prestigio internazionale esclusivamente alla paura che riescono ad incutere, al terrore suscitato dalla loro capacità di non ascolto, alla loro attitudine a trasformare ogni minima resistenza dei propri interlocutori in un pretesto vendicativo. E, per far davvero paura, la prospettiva della vendetta deve sempre essere sproporzionata, esagerata.
Assange è diventato un bersaglio della vendetta USA non per il danno che avrebbe inferto, bensì in quanto simbolo di un atteggiamento antiamericano. In Assange infatti non si riscontra nessuno dei pregiudizi di superiorità occidentale che caratterizzano la grande maggioranza dei progressisti - ed anche rivoluzionari - del sedicente Occidente, secondo i quali si può, e si deve, ogni tanto spremere una lagrimuccia sui poveri popoli del terzo mondo oppressi dallo strapotere delle multinazionali, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale; ma poi, se qualche politico locale cerca di opporsi a quello strapotere, allora non bisogna perdere un attimo per collocarlo nella lista dei dittatori e dei nemici dell'umanità.
Alcuni commentatori hanno fatto notare che Assange non sarebbe mai assurto ai livelli del divismo internazionale se non avesse ricevuto aiutini ed indulgenze da parte dell'establishment; ma, proprio per questo, la reazione vendicativa è tanto più feroce, proprio perché Assange non è stato al gioco della superiorità occidentale. In questo senso, la scelta di Assange di non accettare di fidarsi minimamente della mitica giustizia britannica e di rifugiarsi nell'ambasciata dell'umile Ecuador, fa parte di questa linea di demistificazione della fiaba occidentalista. Il suo caso è considerato tanto più grave perché egli è un australiano anglosassone, cioè membro di quella comunità internazionale di lingua inglese che, secondo Winston Churchill, avrebbe la missione di reggere le sorti del pianeta. Da ex primo ministro britannico, Churchill espose questa teoria in una sua opera degli anni '50, la "Storia dei Popoli di Lingua Inglese".
Assange è dunque considerato un traditore della sua razza. Una colpa imperdonabile da parte di un'oligarchia imperialistica che trova nella mitologica persuasione della propria superiorità razziale l'unico elemento che la possa differenziare, per metodi ed obiettivi, da una qualsiasi cosca criminale. Il razzismo costituisce infatti quella "falsa coscienza" che salva questa oligarchia criminale WASP dal rischio di vedersi per ciò che realmente è.
Anche la Svezia ha conosciuto un "traditore della propria razza", ed anche della propria classe: il primo ministro Olof Palme. Palme proveniva da una famiglia aristocratica, e ci si aspettava che avrebbe mantenuto il socialismo svedese nell'ambito delle sue tradizioni paternalistiche; invece non solo Palme diede un impulso nuovo al socialismo svedese, ma fu anche l'unico socialdemocratico europeo ad opporsi seriamente alla guerra del Vietnam. Palme fu ucciso in un agguato nel 1986, e per il suo assassinio fu allestita un'inchiesta giudiziaria farraginosa ed inconcludente, uno sfacciato depistaggio, che la dice lunga sul grado di certezza del diritto in Svezia.
Nel suo discorso dal balcone dell'ambasciata dell'Ecuador, Assange si è rivolto anche al presidente Obama invitandolo a cessare "la caccia alle streghe". In queste parole è riecheggiato un suo timore che va ben oltre il rischio di un'estradizione verso gli Stati Uniti e dell'eventualità di una condanna a morte per spionaggio. Probabilmente Assange pensava alla "Kill List" gestita da Obama, che consente al presidente USA di eliminare senza processo qualsiasi persona - anche di cittadinanza americana - considerata un pericolo per la sicurezza nazionale. Queste missioni di assassinio di Stato vengono spesso compiute utilizzando dei droni, e forse anche Assange ora teme di vedersene volare qualcuno sulla testa.
La legge istitutiva della "Kill List" fu voluta da Bush, ma Obama ha sinora firmato per oltre cento esecuzioni, più del doppio di quelle del suo predecessore. Ogni assassinio "mirato" comporta chiaramente una serie di vittime civili che non c'entrano nulla, ma la dottrina ufficiale è che, se stai nei paraggi, proprio innocente non puoi essere. [1]
Alcuni articoli del "New York Times" a riguardo hanno suscitato l'indignazione del senatore John McCain, il candidato in lizza contro Obama alle ultime elezioni presidenziali. McCain però non se l'è presa con Obama, ma con "le fughe di notizie" che comprometterebbero la "sicurezza nazionale". McCain ha chiaramente barato e giocato sull'equivoco, poiché la "Kill List" non è affatto un segreto, visto che esiste una legge istitutiva; ma il richiamo di McCain aveva evidentemente un altro significato. Il problema infatti non riguarda i segreti, ma l'omertà mediatica che deve relegare certe notizie, pur ufficiali, ai margini della comunicazione. Le notizie isolate non fanno opinione pubblica.
Come ha insegnato Goebbels, solo la continua ripetizione crea opinione e, addirittura, confeziona una "verità virtuale", alla quale è quasi impossibile sottrarsi. Da buon repubblicano, McCain vuole mantenere per sé la parte del "duro", e pretende che i media continuino a reggere il gioco delle parti, offrendo del democratico Obama l'immagine di un presidente pacioccone e "riluttante" alla violenza. Obama è un fantoccio confezionato con l'accorto dosaggio di tutti gli ingredienti esteriori del "politically correct", perciò, attenti a non smascherarlo. Insomma, qualche commento ogni tanto sulle pagine interne dei quotidiani, va anche bene, poiché tiene in piedi la farsa del "dibattito democratico"; ma guai a parlarne nei telegiornali in prima serata; lì il cattivo deve essere Assad.
A proposito di uso mistificatorio del "politically correct": il ministro della Giustizia-Procuratore Generale dell'amministrazione Obama è Eric Holder, anche lui un afroamericano; il primo afroamericano a ricoprire quel ruolo. Proprio a Holder è toccato di difendere pubblicamente due "dirty jobs" dell'amministrazione Obama, sia la "Kill List", sia la decisione del Dipartimento di Giustizia di non procedere contro Goldman Sachs per frode bancaria, nonostante le tonnellate di prove raccolte. [2]
Il dibattito democratico in sé è piuttosto innocuo, perché sposta sempre la questione sulle alternative astratte: Libertà o Sicurezza? Legalità o Efficacia nella lotta al terrorismo? Quelle belle discussioni infinite. Qualche commentatore un po' più realista ha fatto invece notare che in realtà la CIA ha sempre fatto fuori chi le pareva, senza mai aver avuto bisogno di leggi speciali antiterrorismo. Incredibile a dirsi, ma oggi il Pentagono e la CIA usano persino l'assassinio come alibi giustificativo per nascondere crimini più inconfessabili.
La "Kill List" è infatti strettamente intrecciata al nuovo superbusiness dei droni, dato che la maggioranza degli omicidi a firma presidenziale vengono commessi con questa arma ipertecnologica, che richiede enormi e continui stanziamenti di fondi da parte del Congresso americano, e perciò ha bisogno di un supporto legislativo. Come arma di guerra guerreggiata i droni si sono immediatamente rivelati una truffa del Pentagono, poiché per uno Stato straniero dotato di un minimo di risorse tecnologiche risulta relativamente facile disturbare questi velivoli senza pilota, come ha dimostrato l'Iran il dicembre scorso. [3]
Ecco perché nascono l'eterna emergenza del terrorismo e l'assassinio mirato per "motivi di sicurezza nazionale", ovviamente contro bersagli deboli e non in grado di difendersi. Questi fraudolenti artifici propagandistici sono l'unico modo per giustificare il saccheggio di spesa pubblica determinato dal business dei droni.
Sarà per tutti un motivo di orgoglio nazionale sapere che oggi la capitale mondiale dei droni si trova in Sicilia, nella base USNavy di Sigonella. Tra le prime vittime dei voli dei droni di Sigonella c'è il vicino aeroporto civile di Fontanarossa, quasi sempre chiuso con i più vari pretesti. [4]
[1] http://translate.googleusercontent.com/translate_c?depth=2&hl=it&prev=/search%3Fq%3Dobama%2Bkill%2Blist%26hl%3Dit%26prmd%3Dimvns&rurl=translate.google.com&sl=en&u=http://www.washingtonpost.com/opinions/obamas-kill-list-is-unchecked-presidential-power/2012/06/11/gJQAHw05WV_story.html&usg=ALkJrhjOB09PVyCKwUwtk8OUvRzVn7Be8A
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/05/30/obama-licenza-di-uccidere-la-kill-list.html
[2] http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.huffingtonpost.com/2012/03/05/us-targeted-killings-eric-holder_n_1320515.html&prev=/search%3Fq%3Dobama%2Bkilling%2Btrial%26start%3D10%26hl%3Dit%26sa%3DN%26biw%3D960%26bih%3D545%26prmd%3Dimvns&sa=X&ei=E60oUNaOMMTSsgbZ84CwCQ&ved=0CEsQ7gEwATgK
http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://abcnews.go.com/blogs/politics/2012/08/doj-will-not-prosecute-goldman-sachs-in-financial-crisis-probe/&prev=/search%3Fq%3Dobama%2Bgoldman%2Bsachs%2Baugust%26start%3D30%26hl%3Dit%26sa%3DN%26biw%3D960%26bih%3D530%26prmd%3Dimvns&sa=X&ei=-FIzUNHaJ83bsgbfjYDwBg&ved=0CGAQ7gEwBjge
[3] http://www.jacktech.it/news/hi-tech/techno-frontiere/drone-usa-iran-spiega-come-ha-ingannato-il-sistema-gps.aspx
[4] http://temi.repubblica.it/micromega-online/guerra-ai-siciliani-con-i-droni-di-sigonella/?printpage=undefined
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