Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Mentre al forum di Cernobbio Mario Monti, assistito da Van Rompuy, tuonava contro la minaccia alla stabilità europea costituita dai populismi, intanto la sua platea già discuteva del dopo la fine della legislatura, ipotizzando per il futuro un governo Monti bis, e poi, chissà, magari anche un "Monti for ever". Il discorso di Monti è apparso anche come un avviso rivolto a Bersani, il quale, se osasse pensare di ristabilire la "normale dialettica democratica", rischierebbe - persino lui, l'antipopulista per eccellenza - di essere marchiato come un irresponsabile populista.
A questo punto anche il regime parlamentare risulta congedato; perciò il parlamento viene mantenuto in "vita" allo stesso modo della scuola pubblica, senza altra funzione reale che costituire da zimbello polemico nel contesto di una finta normalità istituzionale. Questa finzione di normalità non viene smascherata, e la generale conseguenza è che il dibattito politico interno si infantilizza e si avvita sul nulla. Per settimane si sono succedute dichiarazioni circa un possibile referendum sull'euro, "dimenticando" che l'euro esiste in virtù di un trattato internazionale, e l'articolo 75 della Costituzione vieta espressamente che vengano indetti referendum abrogativi su leggi di ratifica di trattati.
Il lobbismo tradizionalmente più forte e radicato, quello di Confindustria, appare anch'esso allo sbando, come si è percepito pochi giorni fa proprio al forum di Cernobbio. Il cosiddetto "capitalismo" si è sempre retto sull'elemosina che i poveri devono quotidianamente versare ai ricchi, ma non era mai accaduto che degli industriali riuniti in pompa magna si facessero entusiasmare dalla proposta di elemosinare dai propri operai il regalo di un'ora lavorativa non pagata. [1]
Fiorisce anche una fortunata pubblicistica sulle sorti dell'euro, spesso basata sulla speranza di una sua morte naturale, in quanto l'euro sarebbe una moneta comune senza prospettive, schiacciata dalle sue stesse incongruenze interne. Ma potrebbe anche darsi che il destino dell'euro non sia legato ad aspetti puramente economici o finanziari, visto che come andrà veramente a finire ce lo dicono sul sito del Consiglio Atlantico, l'organo supremo della NATO. Secondo un commento scritto da due "fellow" (ricercatori) in forza al Consiglio Atlantico, tali Grundman e Wilson, un'eventuale fine dell'euro minaccerebbe la "sicurezza globale", espressione in codice che indica il programma di aggressioni della NATO. [2]
Sul sito del Consiglio Atlantico ci spiegano infatti che, senza la disciplina europea assicurata dall'euro, l'anno scorso non si sarebbe potuta condurre con successo l'aggressione contro la Libia, ed oggi non si potrebbe neppure garantire l'applicazione delle sanzioni economiche contro l'Iran. Non si può essere più chiari di così. La guerra all'Iran forse non la si farà subito, ma nell'attesa gli Europei devono stringere la cinghia per garantire le condizioni politiche, finanziare e militari che sono necessarie all'aggressione.
In base agli schemi della gerarchia coloniale, ogni grado della gerarchia va a rivalersi su quello più basso, perciò è evidente che saranno gli Europei del Sud a pagare il prezzo più alto in nome della "sicurezza globale". Non a caso, sul sito del Consiglio Atlantico i commenti più sprezzanti sono riservati alla Grecia.
Tutti i commentatori ufficiali sono concordi nel ritenere che i Greci già debbano ringraziare per essere stati ammessi nell'euro, loro che non se lo meritavano proprio. Infatti uno degli schemi più ricorrenti della propaganda colonialistica è il "troppobuonismo". Si ammette che ci siano dei problemi, ma questi sarebbero dovuti sempre al fatto che i potenti sono troppo aperti e generosi, troppo "di sinistra", e spesso non vogliono prendere atto delle differenze razziali e di classe, che invece poi si fanno sentire. Qualunque commentatore desideri conquistare il successo mediatico ed editoriale deve adottare questo schema di propaganda, che può essere applicato a qualsiasi questione. La propaganda è un vero e proprio genere narrativo, e la fiaba può essere riciclata molte volte cambiando l'ambientazione ed i personaggi.
Così l'economista Dambisa Moyo ci ha rivelato che gli Africani non muoiono mica di fame a causa dell'aggressione delle multinazionali, bensì per i troppi aiuti elargiti da quelle dame di carità che sono il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Allo stesso modo, una Mastrocola ci viene a raccontare che se la Scuola non va, non è perchè l'istruzione media è stata assorbita da un'Università/Liceo all'americana, che ti fa pagare salatissimo ciò che prima avevi gratis; no, la scuola decade perché il Ministero dell'Istruzione è troppo "donmilanista", cioè troppo preoccupato di elevare i poveri e gli immeritevoli.
La Grecia perciò non è stata mica fatta entrare a forza nell'euro per gli interessi geo-militari della NATO, ma per eccesso di bontà. La bontà dei potenti però non è illimitata, e chi tocca certi interessi deve sapere cosa aspettarsi.
Nel commento dei due "fellow" del Consiglio Atlantico infatti non poteva mancare la rituale condanna dei "populismi"che mettono in dubbio la bellezza dell'euro. I populisti ci vengono presentati come degli irresponsabili che si caratterizzano per la ricerca di facili capri espiatori, e che infatti spesso se la prendono con poveri innocenti come i banchieri. Sul sito del Consiglio Atlantico viene anche ricordato che in passato non c'è stato tiranno che non avesse con sé un grande seguito popolare ed elettorale, perciò è proprio inutile che i populisti pensino di cavarsela tirando fuori l'alibi della democrazia; un alibi dal quale la NATO non si farebbe certo commuovere. Anche in questo caso l'ammonimento risulta chiaro, e perciò non ci sarebbe nulla di sorprendente se nei prossimi mesi vedessimo man mano attenuarsi e ammorbidirsi tutte le opposizioni e le critiche nei confronti dell'euro.
[1] http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2012-09-08/cernobbio-lavorare-piu-rendere-flessibile-orario-182855.shtml?uuid=Ab3gqZaG
[2] http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.acus.org/new_atlanticist/euro-crisis-threatens-global-security&prev=/search%3Fq%3Dacus%2Bnew%2Batlanticist%2Beuro%2Bcrisis%2Bglobal%2Bsecurity%26hl%3Dit%26rlz%3D1G1GGLQ_ITIT293%26prmd%3Dimvns&sa=X&ei=Z49NUNjwOe7Y4QSJ9IGIDA&ved=0CCgQ7gEwAA
Pierluigi Bersani manifesta apparentemente una visione chiara del nemico da battere. Tutto ciò che lo contraria viene fatto rientrare nel contenitore del "populismo", un'etichetta che gli consente di accomunare fenomeni come Grillo, Di Pietro, Ingroia o il Buffone di Arcore.
Nel Bersani-Pensiero, "populismo" è quindi tutto ciò contro cui è lecito, anzi doveroso, battersi. Angela Merkel sembra essere venuta in suo soccorso, poiché poche settimane fa anche la cancelliera tedesca aveva dato fiato ai timori di una possibile vittoria elettorale dei populismi in Europa. Questo però prima di convertirsi anche lei al "tremontismo", cioè all'espediente retorico di rifarsi una verginità grazie alla denuncia generica dei mali del dominio della finanza, salvo poi continuare ad obbedire, punto per punto, ai dettami del Fondo Monetario Internazionale.
Potrebbe darsi infatti che Bersani e la Merkel, in fatto di esecrazione del populismo, abbiano avuto un ideologo in comune, in questo caso proprio il FMI. La categoria "populismo" è infatti quella che dagli anni '80 serve ad individuare e screditare tutte le opposizioni alla politica del FMI in America Latina. Il populismo ha come termini contrari "pragmatismo" o "modernità". L'opposizione proposta in questi termini non è affatto simmetrica, dato che non si capisce perché non possa esistere anche un populismo moderno e pragmatico; ma il senso propagandistico di questa opposizione di termini è invece evidente; vuole cioè suggerire che una politica economica seria non può che basarsi su provvedimenti impopolari. Almeno questo è ciò che ci assicurano gli ideologi del FMI sul sito della stessa organizzazione. [1]
Si comprende perciò il motivo per il quale Bersani ritiene lecito e doveroso opporsi al populismo, visto che la condanna viene da tanta autorità. E, visto che però una "opposizione" di bandiera al berlusconismo bisognava comunque fingerla, allora, per poterselo consentire, occorreva collocare pretestuosamente nel calderone del "populismo" anche un'esperienza di governo che si è distinta invece per assoluta obbedienza ai dettami del FMI. Del resto, sebbene oggi l'Europa sia trattata esattamente come l'America Latina degli anni '80 e '90, di importanti tentativi di opposizione politica al FMI non ve ne sono stati; tranne il fuoco di paglia di Orban in Ungheria, che però non ha trovato in Putin la sponda che sperava, dato che il leader russo se ne è andato, anche lui, a cercare il proprio spazio alla corte del FMI e del WTO. Intanto, in Europa ed in Italia c'è chi crede veramente che il problema sia il rigore deflazionistico della Germania, e magari aspetta e spera soccorso da Obama o dallo stesso FMI.
Quando Bersani è diventato segretario del Partito Democratico in molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Che al posto di un ideologo fumoso e sradicato come Veltroni si insediasse un uomo legato agli affari delle Coop rosse, delle Municipalizzate del Nord-Italia o della Compagnia delle Opere, fu considerato persino un elemento rassicurante, poiché finalmente si aveva a che fare con qualcuno legato a interessi, magari loschi, ma comunque connessi al territorio italiano. Questa speranza che l'affarismo locale potesse costituire un contrappeso allo strapotere dell'affarismo delle multinazionali si basava sul vecchio schema delle "borghesie nazionali"; uno schema che però non tiene conto del fatto che il colonialismo determina un vero e proprio "sequestro di coscienza" nei confronti dei gruppi dirigenti locali.
Mettiamoci nei panni del giovane Bersani nell'Italia degli anni '70, iscritto al PCI mentre questo partito attuava la sua riconciliazione con l'Occidente e con la NATO. Rampollo di un'umile famiglia di lavoratori, Bersani si iscriveva alla Facoltà di Filosofia, e non perché sia quella dove si studia meno, ma proprio per soddisfare la sua insaziabile sete di verità. Gli eventi storici però cospiravano per offrire luminosamente al giovane Bersani quella Verità che i suoi studi universitari gli rendevano invece sfuggente.
Nel 1976 il governo italiano contraeva il suo primo debito col FMI. Con una "lettera d'intenti" dell'allora ministro del Tesoro, Stammati, l'Italia chiedeva un prestito di durata determinata al FMI, ovviamente offrendo le consuete "garanzie comportamentali", cioè tagli alla spesa sociale ed ai salari. Il prestito aveva un'entità di poco più di cinquecento milioni di dollari, cioè una cifra non molto rilevante per il bilancio di uno Stato come l'Italia. [2]
Ma quel debito dell'Italia nei confronti del FMI assumeva un enorme significato politico nel momento in cui il PCI reggeva il governo in parlamento attraverso la propria astensione. In pratica si richiedeva al PCI di aderire non solo alla NATO, ma anche alle dottrine del braccio finanziario della stessa NATO, cioè il FMI.
A riprova di questa "conversione" del PCI, sta di fatto che non soltanto i media ufficiali, ma anche la stampa di sinistra - comprese alcune riviste rivoluzionarie - cominciarono ad attribuire la causa della crisi economica agli aumenti salariali e alla crescita della spesa sociale (definita allora anche come "salario sociale"). Immaginiamoci dunque il giovane Bersani immerso nell'avida lettura de "l'Unità", de "La Repubblica" (un quotidiano allora appena fondato) o de "l'Espresso". Immaginiamocelo anche seguire disciplinatamente i corsi alla scuola-quadri del PCI, e nutrirsi avidamente di quelle nuove e ispirate verità. Per Bersani fu una rivelazione, un nuovo Vangelo: "Beati i poveri perché sarà sempre colpa loro".
Bersani era anche allora un coerente uomo di sinistra, sempre dalla parte dei più deboli e, grazie a quelle geniali dottrine, scoprì che l'unico modo di stare veramente dalla parte dei più deboli è quello di mettersi sempre contro di loro. Infatti gli ideologi del FMI ci spiegano che i poveri vorrebbero più salario e più tutele, ma questo è populismo, che crea inflazione e calo della produttività, quindi più povertà. Per combattere la povertà bisogna invece combattere i poveri e tutelare i ricchi, cioè costringere i poveri a fare l'elemosina ai ricchi. Qualsiasi mediazione sociale e territoriale viene quindi liquidata come obsoleta, ed ogni questione viene letta esclusivamente nell'ottica di un classismo feroce.
Bersani apprese egregiamente quella lezione, la fece sua. Capì che bisogna avere la spregiudicatezza e il coraggio di sfidare il principio di non-contraddizione, che è roba da populisti. Tra le sue varie esperienze di governo, Bersani è stato anche ministro dei Trasporti, cosa che gli ha consentito di affrontare con particolare competenza la questione TAV. Bersani ci ha spiegato che non conta nulla che la Tratta ad Alta Velocità Torino-Lione si basi su un traffico sempre più inconsistente, che lascia semi-inutilizzate le linee già esistenti, poiché saranno le nuove linee ferroviarie a creare il traffico, e non viceversa.
Ma i soldi per l'Alta Velocità bisognava trovarli da qualche parte, perciò occorreva tagliare laddove il traffico invece c'era, come nelle linee regionali o nei vagoni-letto. Le conseguenze di questa minore mobilità di persone e di merci sono stati un calo delle attività produttive ed anche un crollo dei valori immobiliari. Hai creato tanta nuova povertà, quindi ricchezza sicura. Pensa infatti a quante attività produttive e quanti immobili possono essere rilevati dalle compagnie multinazionali a prezzi di svendita. Ormai non sono più solo i lavoratori a impoverirsi, ma anche i ceti medi. Anche in Val di Susa il grande buco nella montagna sta determinando un crollo dei valori immobiliari, perciò i "tagli" o le cosiddette "grandi opere" convergono nell'obiettivo di aggredire e saccheggiare i territori.
Un aspetto curioso della propaganda del FMI riguarda il tentativo di porre tutta la propria politica sotto l'icona dell'economista neoliberista Milton Friedman, come a voler lanciare un'esca ai keynesiani, sfidandoli a singolar tenzone in una di quelle infinite discussioni sulle teorie economiche. In realtà nessuna dottrina economica è in grado di giustificare i precetti del FMI, che sono invece spiegabilissimi in base al codice penale. Si tratta infatti di banali pratiche di sabotaggio e di aggiotaggio per svalutare i territori, i beni pubblici e i piccoli patrimoni privati per consentirne più facilmente il saccheggio da parte delle multinazionali. Che il fenomeno FMI debba essere analizzato non in base a criteri economici, bensì strettamente criminologici, è un elemento che ormai fa parte del bagaglio dell'opinione pubblica latino-americana; al contrario, in Europa l'esistenza del FMI è appena percepita e, per di più, come un'entità indistinta e neutra. Se non fosse stato per le disavventure sessuali di Strauss-Kahn, molti in Europa non saprebbero neppure che il FMI esiste.
[1] http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.imf.org/external/np/speeches/2006/113006.htm&prev=/search%3Fq%3Dimf%2Bpopulism%26start%3D10%26hl%3Dit%26sa%3DN%26biw%3D960%26bih%3D513%26prmd%3Dimvns&sa=X&ei=BqdEUIPIJeHj4QSL54HIAg&ved=0CCwQ7gEwATgK
[2] http://www.mps.it/NR/rdonlyres/41611F53-B7C6-4787-81AA-1B4D57C26961/34278/07Verde.pdf
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