Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
L'ingresso della Lettonia nell'area-euro è stato oggetto sulla stampa ufficiale di scontati commenti "cerchiobottistici", basati su un espediente retorico sempre efficace, cioè il contrapporre ad osservazioni concrete delle questioni vaghe. Ad esempio: possibile che l'euro sia il responsabile di tutti i mali? Oppure: i disastri dell'area-euro sono sotto gli occhi di tutti, ma se un altro Paese ha deciso di entrarvi proprio adesso, allora non è che l'euro vanti delle virtù nascoste che solo un lungimirante osservatore esterno sa cogliere?
In questo modo si può fingere di discutere all'infinito, ottenendo così l'effetto desiderato, che consiste nell'avallare l'attuale stato di cose. Peraltro si può tranquillamente riconoscere che oggi l'euro in sé non è neanche il maggiore e peggiore dei mali che si porta dietro l'Unione Europea. Quando si chiede di allentare la morsa dell'austerità o di rendere più flessibili i parametri di bilancio, si è ancora fermi ad un dibattito precedente al 2012, l'anno dal quale la situazione della UE ha cominciato a sfuggire a qualsiasi tipo di plausibile narrazione.
Dal 2012 infatti è stato attivato quel nuovo organismo inenarrabile che va sotto il nome di
Meccanismo Europeo di Stabilità, la cui maggiore risorsa a disposizione contro l'opinione pubblica è proprio la sua stessa assurdità. Chiunque cerchi di spiegare ad un ignaro in cosa consista il MES, rischia come minimo di passare per pazzo. Che senso ha un'istituzione europea che rastrella settecento miliardi (sic!) dagli Stati europei (centoventicinque miliardi solo dall'Italia), per poi poterglieli riprestare a strozzo in caso di bisogno? Che spiegazione confessabile può mai avere la totale immunità ed impunità legale dei vertici del MES proclamata dal Trattato istitutivo? Come si può giustificare il fatto che questi vertici del MES possano non accontentarsi dei settecento miliardi ed esigere ad arbitrio dagli Stati europei altre somme in tempi stretti e non negoziabili?
Dal 2012 l'UE ha dunque problemi persino più gravi dello stesso euro in quanto tale, e cioè l'instaurarsi all'ombra dell'euro di un racket finanziario senza precedenti nella Storia. Eppure la Lettonia ha saputo guardare oltre questi trascurabili dettagli criminali, scorgendo nell'euro delle celate virtù che sfuggono agli osservatori più prevenuti e superficiali. E quali sarebbero mai queste virtù?
Le virtù dell'euro si chiamano NATO. Il 6 novembre dell'anno appena trascorso, il segretario generale della NATO, il danese Rasmussen, è volato in Lettonia non solo per parlare di questioni strettamente militari, ma anche per complimentarsi platealmente con il governo lettone per la sua prossima entrata nell'area-euro. Oltre che dal sito della NATO, la notizia della perfomance di Rasmussen in Lettonia è stata lanciata con l'opportuna enfasi dal
giornale online "Baltic Course", un bollettino semi-ufficiale di politica e affari dei Paesi baltici.
I complimenti di Rasmussen al governo lettone però sapevano molto di imposizione camuffata, come a dire: ormai non potete tirarvi più indietro. Del resto Rasmussen non è affatto nuovo a questi pesanti interventi in questioni economiche e finanziarie, e può permettersi di farlo in base all'articolo 2 del Patto Atlantico, che impone l'integrazione economica dei Paesi membri della NATO. La virtù dell'euro non è allora nemmeno tanto nascosta, dato che la NATO non ha più nessun pudore a presentarsi e rivelarsi ufficialmente come il maggiore puntello del fatiscente edificio dell'euro.
Che la virtù recondita dell'euro sia proprio quella militare è confermato dalle stesse fonti lettoni. Il ministro delle finanze del governo lettone ha difeso l'ingresso nell'area dell'euro non con argomenti finanziari, bensì facendoci sapere che la decisione è stata presa soprattutto in
funzione anti-russa, in modo da prevenire i ripensamenti che sono avvenuti in Ucraina, dove il brutale paternalismo russo è stato preferito alla brutalità tout-court della UE e della NATO.
Che il principale collante del cosiddetto capitalismo sia costituito dal militarismo, dovrebbe essere considerato una scoperta dell'acqua calda, visti i tanti precedenti storici; ma la tronfia mitologia del capitalismo riesce spesso ad occultare anche l'evidenza.
Recentemente è stato pubblicato un interessante
libro del giornalista economico Luca Ciarrocca, sulla cupola della finanza mondiale. Il libro ha un titolo significativo: "I Padroni del Mondo", che si riferisce appunto al potere di poche decine di multinazionali della finanza di manipolare le decisioni dei governi e di condizionare irreversibilmente la vita delle popolazioni, sino a cancellare standard sociali che apparivano inamovibili, come le relative garanzie di benessere del ceto medio.
Il testo di Ciarrocca ha molti meriti, tra cui una notevole mole di documentazione e la capacità di sfuggire alle banalizzazioni più ricorrenti nel dibattito attuale. Tra le osservazioni più pertinenti di Ciarrocca c'è sicuramente la realistica constatazione che la grande finanza si muove su un piano completamente asimmetrico, che prende in considerazione esclusivamente il proprio interesse immediato ed esclude ogni possibilità di interlocuzione e mediazione con interessi diversi.
D'altra parte occorre anche tener conto del fatto che questo tipo di testi può avere un impatto impressionante in un contesto come quello italiano, nel quale l'informazione economica ufficiale è ripiegata su questioni interne, legata ai consueti rituali del "colpanostrismo" per quanto riguarda il passato e dei "compiti a casa" per quanto concerne il presente.
Nell'agosto ultimo scorso sul sito del NATO Council of Canada è stato pubblicato un articolo che contiene denunce piuttosto pesanti sull'
operato delle grandi banche internazionali, tra cui i soliti noti come Goldman Sachs e JP Morgan. L'articolo sottolinea lo strapotere del lobbying bancario a Washington ed osserva la pericolosa tendenza delle banche ad influenzare pesantemente le sorti dell'economia reale con speculazioni attuate con l'acquisto di enormi quantità di materie prime fondamentali. Goldman Sachs si è specializzata nel settore dell'alluminio, mentre JP Morgan in quello del rame. Se le stesse notizie fossero state pubblicate su un sito di opposizione si sarebbe gridato al "complottismo", ma il NATO Council of Canada è una società non profit legata appunto alla NATO.
Non si tratta di un caso isolato. Nel 2010, mentre in Italia chi nominava Goldman Sachs veniva psichiatrizzato come complottista visionario, nel frattempo il sito di un'altra organizzazione internazionale diretta espressione della NATO, l'Atlantic Council, pubblicava un circostanziato articolo sul
nefasto ruolo del lobbying di Wall Street, ed in particolare di Goldman Sachs, a Washington.
In seguito alle guerre del Kosovo e dell'Afghanistan, una parte dell'opinione pubblica si è svegliata riguardo al
ruolo affaristico svolto dalla NATO, le cui imprese militari si trasformano in cordate affaristiche; e le relazioni tra militari e banchieri non vengono neppure celate, come dimostra il caso della collaborazione tra Pentagono e JP Morgan in Afghanistan.
L'affarismo legato alla NATO non si limita neppure al settore legale, dato che in tutti questi anni sono circolati innumerevoli indizi sul coinvolgimento della stessa NATO in varie forme di
contrabbando, dal petrolio alle sigarette, dall'oppio ai rifiuti tossici, e persino nel traffico di organi umani. Ovviamente le poche notizie ufficiali a riguardo hanno scaricato l'intera responsabilità su militari di bassa forza, nascondendo il coinvolgimento degli alti comandi.
Ciò che invece risulta quasi ignoto all'opinione pubblica è che la NATO, sin dalla sua fondazione, abbia costantemente rivendicato un ruolo di direzione economica generale, ben al di là degli aspetti puramente connessi all'industria militare. Non deve quindi apparire inconsueto o anomalo che la NATO dia tanto rilievo al tema economico nel suo dibattito interno, poiché la stessa NATO, in base all'articolo 2 del Trattato istitutivo, si assume una funzione esplicita di controllo ed indirizzo dell'economia, e non solo rispetto ai Paesi membri, ma anche a livello globale. Per svolgere questa funzione la NATO esprime un organismo apposito, a href=http://translate.google.com/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.nato-pa.int/default.asp%3FSHORTCUT%3D146&prev=/search%3Fq%3Dnato%2Beconomics%26client%3Daff-maxthon-newtab%26hs%3DSXi%26affdom%3Dmaxthon.com%26channel%3Dt5>l'Economics and Security Commitee (ESC), che si occupa non solo di relazionare sullo stato dell'economia e della finanza mondiale, ma elabora anche "raccomandazioni" da impartire ai governi.
Nulla di strano perciò che nell'ottobre scorso il segretario generale della NATO,
il danese Rasmussen, si sia fatto in prima persona promotore e mallevadore davanti agli industriali danesi dell'iniziativa del mercato unico transatlantico. Si tratta di quel TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), detto anche la "NATO economica", che andrà in vigore dal prossimo anno.
Il punto è che mentre nella stessa NATO si evidenzia lo strapotere del lobbying bancario e l'assenza di una "governance" che sappia disciplinarlo, già esiste l'istituzione internazionale che si candida "autorevolmente" a svolgere questo ruolo di governance, cioè appunto la NATO. Qualche scettico potrebbe sospettare che questa tanto invocata governance costituirebbe anch'essa una centrale, magari ancora più aggressiva, del lobbying bancario.
L'immagine delle banche ormai è troppo in basso per poter essere risollevata, perciò la propaganda avrebbe più gioco nel raggirare nuovamente l'opinione pubblica sfruttando proprio il risentimento contro la finanza. Così il lobbying bancario potrebbe riciclarsi sotto altre vesti, spacciandosi come la cura del male che esso stesso ha creato. Si tratterebbe di un sospetto fondato, poiché non si spiegherebbe assolutamente una tale invadenza del lobbying bancario se non esistesse da sempre quell'intreccio inestricabile tra militarismo e finanza che è alla base del colonialismo.