Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nelle scorse settimane è andato in scena lo psicodramma scozzese, con un referendum che, secondo la rappresentazione mediatica, avrebbe minacciato addirittura una disastrosa secessione del Regno una volta Unito. Il tutto però si è concluso con un immancabile "happy end", per la soddisfazione dei media e dei sedicenti "leader europei". Che la secessione scozzese costituisse un'opzione realmente sul tavolo, ci hanno creduto in molti. Infatti, ad onta delle continue smentite, il mito della "democrazia" e l'illusione dell'autenticità delle scadenze elettorali continuano a mietere vittime anche fra gli oppositori. Dovrebbe risultare evidente che se nel referendum scozzese vi fosse stata una seppur minima possibilità di vittoria del sì, lo stesso referendum non sarebbe stato consentito. Non si capisce perché il Regno Unito si sarebbe dovuto comportare con la Scozia diversamente da come si regola con l'Irlanda del Nord. Quanto a colonialismo, l'oligarchia britannica ha ben poco da imparare da chiunque.
Nella cosiddetta "democrazia occidentale" è però d'obbligo coltivare e consolidare nell'opinione pubblica la tendenza a sopravvalutare il ruolo del consenso sociale e dei "fattori interni" negli equilibri di potere. Per anni ci si è raccontato, ad esempio, che le scelte "rigoriste" della Merkel erano imposte dalla prossimità di scadenze elettorali regionali in Germania. Diventata insostenibile questa fiaba, si è oggi ripiegato sul mito del "Quarto Reich" tedesco sull'Europa, per perpetuare l'idea secondo cui l'attuale situazione europea sarebbe dovuta soprattutto a problemi interni alla stessa Unione Europea, e non allo sfacciato strapotere del Fondo Monetario Internazionale. In un raro momento di sincerità, la stessa Merkel era invece giunta al punto da chiedere al FMI di occupare direttamente la poltrona presidenziale della Unione Europea, senza la finzione di lasciarla ad una marionetta afflosciata come Juncker. La finzione democratica risulta però essenziale per rendere credibile, volta per volta, la litania fondomonetarista del Paese che "è vissuto al di sopra dei propri mezzi", e quindi sarebbe collettivamente colpevole, a causa delle sue "democratiche scelte", per le proprie sciagure finanziarie.
Questo tipo di messinscena prosegue all'interno dei vari Paesi, anche quando si tratta di approvare le cosiddette "riforme", compresa quella del lavoro, contrabbandata oggi in Italia col plagiario nome di "Jobs Act". Le insolenze di Renzi nei confronti dei sindacati hanno infatti lo scopo di attribuire a questi ultimi un potere di veto che certamente non detengono più da vari decenni, ammesso che l'abbiano mai avuto. Si cerca di far credere che i sindacati costituiscano una sorta di "potere forte" a guardia dei privilegi di categorie di lavoratori privilegiati (i "garantiti"). Insomma, si tenta di spacciare l'immagine di un Renzi all'assalto della Bastiglia sindacale. I sindacati stanno lì ormai solo per prestarsi al gioco delle parti, secondo un copione consolidato sin dai tempi del ministro Sacconi, anche lui maestro di insolenze. La CGIL ovviamente si atteggia come l'interlocutore più recalcitrante, mentre CISL e UIL interpretano la parte dei "responsabili", e si affrettano a rompere il "fronte" sindacale e ad offrire la loro collaborazione al governo. Una collaborazione di cui il governo non ha alcun bisogno. Se le "riforme" talvolta rallentano, è perché l'avidità delle lobby affaristiche supera di gran lunga la loro lucidità organizzativa.
Intanto la propaganda ufficiale impazza, saccheggiando a pro delle lobby ogni slogan a disposizione. Con tutti gli espedienti del vampirismo linguistico, Renzi si mette persino ad imitare il Toni Negri degli anni '70 (il Toni Negri attuale imita ... Renzi), e predica la rivoluzione violenta contro un presunto establishment da sovvertire con il maglio delle "riforme". Per pronunciare questa sequela di assurdità, Renzi si è scelto nientemeno che un palcoscenico americano, sperando evidentemente in una compiacenza dei media locali.
La pantomima Renzi-sindacati e la retorica pseudo-rivoluzionaria non hanno ovviamente niente a che vedere con la realtà, dato che il senso del "Jobs Act" consiste in due obiettivi di marca FMI che non sono affatto funzionali alla produttività. Il primo obiettivo è la vampirizzazione della previdenza, attraverso la sua fiscalizzazione. Il secondo obiettivo è la vampirizzazione del rapporto di lavoro, tramite la sostituzione del salario con il credito.
La famosa "ASPI" consiste infatti nell'accentramento in mano governativa di tutte le risorse finanziarie destinate alla cassa integrazione, risorse che derivano nella gran parte da contributi previdenziali. Queste risorse "dovrebbero" poi essere redistribuite in parte a precari e disoccupati, ma (e qui sta il bello) attraverso delle "card" gestite da istituti finanziari privati.
Come si è visto già negli USA, la carta di credito imposta al lavoratore per ricevere i suoi sussidi, diviene in un secondo momento un veicolo di indebitamento degli stessi lavoratori nei confronti di banche e finanziarie specializzate. Per ottenere lo scopo di far indebitare i lavoratori, è sufficiente fargli mancare al momento opportuno i fondi previdenziali con il solito pretesto delle esigenze di bilancio.
Come qualcuno aveva paventato, gli eccessi comunicativi di Renzi in campo europeo hanno contribuito ad inasprire il clima ed a renderlo più favorevole a strette della finanza pubblica sempre più drastiche. Le dichiarazioni ed i tweet a base dell'ossimoro: "non accettiamo lezioni, ma faremo ugualmente i bravi, anzi, i più bravi", non sono serviti a placare l'arroganza della burocrazia europea, come ha dimostrato la sortita del commissario finlandese; in compenso hanno contribuito, eccome, a rendere ancora più ineludibile per l'Italia l'osservanza del famoso vincolo del 3%, invece tranquillamente ignorato dalla Francia. Il classico mettersi nel sacco da soli.
Il continuo richiamo di Renzi alle promesse mancate di investimenti da parte del presidente della Commissione UE, Juncker, ha assunto poi un carattere patetico, dato che le promesse sono appunto promesse. Sarebbe inoltre tutto da dimostrare che gli "investimenti" creino davvero nuova occupazione, e non contribuiscano invece a mettere in forse quella che c'è, attraverso le solite "grandi opere" utili solo a distruggere storici tessuti sociali e produttivi.
Anche la comunicazione ufficiale pro-renziana ha assunto ormai uno strano doppio taglio. Ad articoli di apparente incitamento e sostegno, corrispondono piogge di commenti dei "lettori", che vanno in tutt'altro senso, cioè ad auspicare l'arrivo in Italia del castigamatti Troika. Questi finti commenti, chiaramente preconfezionati, servono a creare l'illusione di un moto spontaneo di opinione pubblica che si lamenta di un presunto "eccesso di democrazia" (l'eccesso di una cosa che non esiste), che si risolverebbe in eccesso di spesa.
C'è poi un Eugenio Scalfari sempre più vaniloquente, che non si limita ad invocare il commissariamento dell'Italia da parte della Troika UE-BCE-FMI, ma si lancia in elogi della "oligarchia", ritenuta la giusta e necessaria forma di governo. Per ora, secondo Scalfari, si tratterebbe ancora di una oligarchia "elettiva", forse come quella della Troika, che non è stata eletta da nessuno. Scalfari dimostra l'approssimazione dei suoi studi liceali, attribuendo l'auspicio del governo oligarchico a Platone (che semmai parlava di aristocrazia); ma è chiaro che si tratta di fumo pseudo-culturale che va nel senso di portare a compimento la delegittimazione dell'impianto costituzionale. Sarà un caso che Scalfari sia anche uno sperticato supporter di Giorgio Napolitano, il "custode della Costituzione"? Ma chi custodisce il custode? La NATO.
L'eurorenzismo si rivela così un'operazione politica di avvilimento complessivo ed irreversibile: il velleitarismo renziano viene spacciato come ultimo, disperato, rantolo dell'indipendenza italiana. Entro un anno la questione dell'euro potrebbe essere superata dai fatti per il crollo di tutta l'impalcatura fittizia che sostiene la moneta unica. Ma ciò non comporterebbe alcun allentamento della sottomissione coloniale in atto, poiché la sudditanza alla Troika verrebbe giustificata con le inguaribili tare storiche del popolo italiano. La mitica "cessione di sovranità" viene così sganciata persino da questo o da quell'obiettivo da raggiungere, ed il pretesto dell'emergenza finanziaria viene sostituito dall'emergenza razziale dovuta alla strutturale inferiorità del popolo italiano.
Il risultato pratico di questa campagna propagandistica, è di porre la questione della sopravvivenza della moneta unica su uno sfondo sempre più sfocato; ed in effetti il problema a questo punto non è la sopravvivenza dell'euro, e neppure della Unione Europea, ma di stabilire che nessun ostacolo procedurale o legale può essere opposto alle lobby degli affari insediate nelle organizzazioni internazionali, a cominciare dal Fondo Monetario Internazionale.
Infatti, mentre i "troikisti" si lamentano di inesistenti assunzioni di nuovi insegnanti, il Ministero dell'Istruzione finanzia una speculazione immobiliare dell'Università di Bologna, che svende palazzi storici per costruire un "campus" all'americana di cui nessuno sentiva il bisogno. Il tutto per edificare dei "College" che servano da preliminare all'Università vera e propria; dei "College" che elargirebbero a pagamento - ed a credito - la stessa qualità di istruzione che in passato forniva un liceo pubblico appena funzionante.
Per ora il TAR ha bloccato la "sperimentazione" del Liceo ridotto a quattro anni, avviata dalla ex ministra Carrozza. Ma questa "sperimentazione", avviata in gran segreto, è comunque indizio di una volontà precisa, che si succede di governo in governo, in quanto espressa dal FMI. La "cessione di sovranità" dovrebbe per l'appunto evitare altri inconvenienti del genere sulla strada delle cosiddette "riforme".
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