Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nessuno si interessa all’opinione degli albanesi sugli hub per migranti dislocati nel loro paese dal governo Meloni. Per quanto se ne è potuto sapere attraverso contatti episodici, l’opinione pubblica albanese è assolutamente contraria all’operazione e, addirittura, sospetta che sia un espediente del governo italiano per scaricare illegalmente i migranti in Albania lasciandoli evadere dai centri di raccolta. In generale gli albanesi fanno benissimo a diffidare degli italiani ma, nel caso specifico, l’ipotesi che gli hub siano in realtà centri di evasione presenta molti buchi. L’Albania è troppo vicina all’Italia e sarebbe quindi il nostro territorio la prima meta degli eventuali evasi, dato che l’Albania stessa manca dell’attrattiva fondamentale per qualsiasi migrante, cioè una moneta forte. La moneta albanese, il lek, ha più o meno lo stesso valore delle monete dei paesi di provenienza dei migranti, quindi non consentirebbe di guadagnare sul cambio tra una moneta forte, come l’euro o il dollaro, ed una moneta debole. Soltanto attraverso l’effetto cambio i bassi salari dei migranti possono consentire di mantenere le famiglie rimaste nella madre patria e, al tempo stesso, di pagare gli interessi sui debiti. Ormai abbonda la letteratura scientifica sul
nesso causale tra indebitamento e spinta migratoria, ma i media continuano a far finta di nulla. Meglio mantenere il discorso sulla migrazione sul piano ludico del wrestling retorico tra buonisti e cattivisti, tra accoglienti e respingenti, invece di rischiare qualcosa parlando degli interessi delle multinazionali finanziarie nella proliferazione mondiale del microcredito e nella conseguente destabilizzazione sociale.
L’esternalizzazione degli hub per migranti ha trovato molti supporter sui media ed anche tra politici europei. Per difendere l’operazione in Albania si è anche un po’ barato sui conti, comparando gli attuali cinque miliardi di spesa per l’accoglienza con gli ottocento milioni del costo degli hub in Albania. In realtà nel computo dei costi occorre tener conto non solo di quanto speso per la costruzione degli hub ma anche delle spese della gestione annua e dei trasporti. Sarebbe stato invece interessante non soffermarsi sulla falsa alternativa tra l’accoglienza e l’esternalizzazione, ed invece comparare i costi con un’operazione molto più semplice, cioè ottenere il rimpatrio volontario dei migranti in cambio del pagamento da parte delle autorità italiane per l’estinzione dei loro debiti. In questo caso l’effetto cambio si rovescerebbe a favore del rimpatrio poiché si tratterebbe di pagare con valute “pregiate” i debiti contratti dai migranti in valute deboli. Quest’operazione avrebbe però un enorme difetto: non creerebbe un giro d’affari, come invece fanno sia l’accoglienza, sia l’esternalizzazione.
Nei confronti dell’accoglienza l’esternalizzazione presenta un vantaggio in più, e non da poco. Anche in questo caso la ricerca ha svelato l’arcano. Il vero fascino dell’esternalizzazione non consiste soltanto nella possibilità di comprare lavoro e servizi a prezzi competitivi grazie al solito effetto cambio, ma soprattutto nel trovare margini molto più ampi per il riciclaggio del denaro dato che si opera all’estero. Si può trattare di auto-riciclaggio per evasione fiscale, o di riciclaggio di denaro di provenienza illegale; oppure, meglio ancora, di riciclaggio di denaro pubblico, come nel caso degli hub per migranti, per cui una parte dei fondi pubblici stanziati può essere “privatizzata” abusivamente. L’esternalizzazione è quindi fisiologica alla cleptocrazia. Il caso da manuale è Israele, cioè l’esternalizzazione della cleptocrazia americana. Non per nulla il quotidiano “Jerusalem Post” si vanta nel considerare il
numero sterminato di aziende che esternalizzano le loro attività in Israele.
Ovviamente in Italia questa rimane solo teoria, dato che qui certe cose brutte non succedono, perciò sarebbe ingeneroso attribuire a motivazioni così meschine la passione per l’esternalizzazione da parte della Meloni. Oltretutto alla fascista Meloni sono venuti in soccorso anche “sinceri democratici” come Ursula von der Leyen e Keir Starmer, tutti a celebrare i presunti vantaggi di spargere all’estero i centri per migranti. Ammesso che questi personaggi politici siano in grado di avere delle opinioni proprie e non si muovano invece come semplici palline da flipper alle pressioni del lobbying. Una volta i lobbisti si limitavano a scrivere le leggi ai politici, mentre oggi gli forniscono anche slogan e narrative, cioè un tutoraggio completo per fintocrati.
Le analisi sul nesso tra esternalizzazione e riciclaggio risultano abbastanza puntuali nel descrivere il fenomeno ma, chissà perché, quando si tratta delle modalità di controllo e contrasto al riciclaggio, tutto si risolve nel consueto elenco di esortazioni e buone intenzioni.
A proposito di esternalizzazioni, in base ai dati della Banca Mondiale l’Albania ha un record: è infatti al primo posto nel mondo per la presenza di banche straniere.
In Albania non migrano lavoratori stranieri ma banche straniere sì. La presenza in Albania di tanti istituti finanziari multinazionali coincide sfortunatamente con
un primato mondiale anche nelle attività di riciclaggio; ciò almeno secondo i dati della Procura albanese per il contrasto alla corruzione ed alla criminalità organizzata. Come fintocrati i magistrati sono diventati molto più bravi dei politici, tanto che sembrano sempre sulla breccia ed in procinto di processare l’intero establishment, ma è tutto illusionismo. Purtroppo i soliti malpensanti approfitteranno lo stesso di questa malaugurata coincidenza tra il riciclaggio e la presenza di tante banche straniere per ricamarci sopra.
La magistratura è venuta ancora una volta in soccorso del governo Meloni, riproponendo al pubblico dei follower il consueto psicodramma delle “toghe rosse” che boicotterebbero la presunta “difesa dei confini”. In realtà la politica migratoria non è nelle effettive disponibilità di un governo, di qualsiasi colore esso sia; ed a provarlo c’è lo stesso oggetto del contendere in questa circostanza, dato che il trasferimento di migranti al mitico “hub” in Albania riguardava una dozzina di persone. Il governo Meloni può comunque rivestire i panni della vittima nella pantomima dello scontro tra “destra” e “sinistra”. Il vittimismo è la vera ideologia del potere, per cui anche dei potenti di infimo grado come Meloni e soci si adeguano.
Purtroppo anche nei rituali della fintocrazia ogni tanto s’infila qualche guaio vero da cui districarsi, ed allora tocca di discernere nello scemenzaio quelli che sono gli slogan del puro intrattenimento da quelli che servono invece a distrarre e prender tempo in attesa di capire cosa fare. Sul sito web dell’aedo governativo Nicola Porro c’è la plastica rappresentazione della dicotomia tra il riposo mentale all’ombra del tutto finto (come il copione annoso dello scontro tra politici e magistrati), ed un caso in cui invece la finzione copre scenari di reale incertezza, neppure prospettati alla pubblica opinione.
In due articoli, uno accanto all’altro, il governo Meloni viene difeso ed elogiato nella fittizia vicenda dello scontro con le “toghe rosse”, ed invece rampognato per non aver ancora obbedito agli ordini di Israele e sgomberato le truppe italiane dal Libano.
La questione della fuoriuscita o meno delle truppe UNIFIL dal Libano non riguarda la credibilità dell’ONU, poiché quest’organizzazione non vive assolutamente di credibilità, bensì esclusivamente di se stessa, in quanto è una macchina burocratica di prebende e stipendi, che ha ormai ramificato e sedimentato una rete di privilegi. Per questo motivo l’ONU può essere chiamata a fare ogni tanto il lavoro sporco a favore di USA e Israele, per poi ritirarsi dalle responsabilità con l’alibi della propria impotenza. Il fatto però che l’ONU come struttura passi indenne ogni figuraccia, non vuol dire affatto che se la passino sempre liscia i funzionari ONU lasciati sul campo. I sionisti che scrivono sul sito di Nicola Porro guardano esclusivamente agli interessi di Israele, sono pronti ad infangare l’UNIFIL accusandola di complicità con Hezbollah e se ne fregano del problema dell’incolumità dei soldati italiani in Libano; anzi, fingono spudoratamente che quell’incolumità sarebbe tutelata se i nostri soldati si ritirassero alla svelta, prima di trovarsi “tra due fuochi”. La cosa sconcertante è che altrettanta subdola superficialità la si riscontri nelle
posizioni di un giornale online come “Analisi Difesa”, di solito considerato una fonte equilibrata. Certo, “Analisi Difesa” riconosce che le spiegazioni israeliane sugli spari contro le basi UNIFIL, spacciati come “incidenti”, sono tutte balle; ma poi si rimprovera all’UNIFIL di non aver adempiuto al suo mandato di disarmare le milizie come Hezbollah e quindi si avalla il vittimismo israeliano, come se non fossero state manifestate più volte le pretese sioniste sul fiume libanese Litani.
L’aspetto più grave è però che anche “Analisi Difesa” lascia credere che l’eventuale fuoriuscita dei militari italiani dal Libano costituisca una decisione puramente amministrativa, come aprire la porta e andarsene. In realtà, “estrarre” incolumi le truppe UNIFIL dal Libano non è affatto facile dal punto di vista tecnico-militare, poiché si tratta di evacuare delle basi con dei bunker, cioè pezzi di territorio libanese che, in base al diritto internazionale, dovrebbero essere riconsegnati al governo libanese, ma che invece l’esercito israeliano cercherebbe immediatamente di occupare dalla sua attuale posizione di vantaggio, dato che già circonda e bersaglia le basi UNIFIL, persino con proiettili al fosforo. A questo punto subentrerebbero tutte le incognite, poiché non c’è nessuna garanzia che i militari israeliani aspettino che la smobilitazione delle truppe UNIFIL si compia pacificamente; anzi, è scontato che gli israeliani entrerebbero a smobilitazione in corso col solito alibi degli scudi umani. Non c’è inoltre nessuna garanzia neanche del fatto che Hezbollah non cerchi di contrastare con lanci di razzi e droni la presa delle basi UNIFIL da parte degli israeliani. Il rischio di trovarsi tra due fuochi per l’UNIFIL sarebbe perciò molto più concreto durante una smobilitazione dalle proprie basi che a rimanerci dentro, al riparo nei bunker, come adesso. C’è di mezzo Israele ed i suoi precedenti storici parlano chiaro. Nel giugno del 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni,
trentaquattro marinai della nave della Marina statunitense USS Liberty furono uccisi dalle forze armate israeliane con ripetuti attacchi aerei e navali. Gli israeliani la fecero franca anche allora, e gli USA, grazie al controllo dei media, sottraggono al grande pubblico questa imbarazzante notizia da quasi sessant’anni. Come un adolescente psicopatico, Israele mette continuamente alla prova il proprio grado di impunità e, visto che ha potuto ammazzare senza problemi trentaquattro militari americani, figuriamoci che scrupoli si farebbe con i nostri soldati. Comunque a quei trentaquattro marinai americani è andata di lusso, perché gli sono toccati la morte e l’oblio ma non il disonore; infatti nel 1967 Nicola Porro e Claudio Cerasa non erano ancora in attività e quindi non hanno potuto accusarli di fare da complici e scudi umani al terrorismo.
Il governo Meloni può rimanere tranquillamente indifferente al genocidio di centinaia di migliaia di arabi, ma non reggerebbe politicamente alla perdita di soldati italiani. Il povero Crosetto deve quindi prendere tempo. Bisogna dare atto a Crosetto di non aver voluto scadere nel sadomaso come
Tajani, che è andato a chiedere “rassicurazioni” a Netanyahu di non spararci più addosso; e purtroppo le ha ottenute, il che rappresenta una garanzia che l’UNIFIL è un bersaglio peggio di prima.
Sarebbe stato però molto più conveniente per Crosetto dire direttamente la verità, spiegando ai faciloni che smobilitare delle truppe di interposizione durante una guerra guerreggiata non è affatto una formalità, perché si rischia di prendere mazzate da ogni lato. Non era neppure necessario dire tutta la verità, e cioè che le speranze di salvezza dell’UNIFIL sono affidate alla prospettiva che Hezbollah riesca a spingere l’esercito israeliano fuori dal Libano. Crosetto ha invece preferito rendersi ridicolo propinando all’opinione pubblica la gradassata del
cambiare le “regole d’ingaggio” consentendo ai nostri soldati di rispondere al fuoco; pur sapendo che l’armamento dell’UNIFIL è troppo “leggerino” per rendere praticabile una scelta simile. D’altra parte bisogna scusare Crosetto, perché, a furia di frequentare cattive compagnie nel suo governo, nella NATO, nel G7 e nell’Unione Europea, si è convinto che parlare equivalga a vendere fumo.