Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La debacle dei servizi segreti francesi verificatasi venerdì scorso, è stata l'occasione per riciclare il vecchio luogo comune secondo cui gli insuccessi dei servizi vengono clamorosamente alla ribalta, mentre i successi rimangono nell'ombra. In uno di quegli articoli scritti all'insegna del "ci ho famiglia",
anche lo scrittore Erri De Luca nel febbraio scorso ha cercato di ridare lustro a questo luogo comune, e lo ha fatto, nientemeno, che sul sito ufficiale dei servizi segreti.
Si tratta di uno di quegli argomenti inconfutabili, e quindi, come tutto ciò che si pone come inconfutabile, appartiene al regno del nonsenso. Sarebbe come se i medici si facessero vanto del fatto che in giro ci sono ancora tante persone vive. Se si rimane invece nell'ambito della logica, quanto è avvenuto venerdì toglie attendibilità a tutto ciò che i servizi di "intelligence" francesi stanno diffondendo adesso a proposito degli attentatori, a cominciare dai famosi passaporti degli attentatori, così fortunosamente ritrovati in stile 11 settembre.
In particolare l'attribuzione dell'attentato all'ISIS ha riscosso il meditato scetticismo di molti commentatori non ufficiali.
L'attentato nel quartiere sciita di Beirut, avvenuto il giorno prima di quello di Parigi, possiede, oltre che la scontata rivendicazione, soprattutto il marchio inconfondibile dell'ISIS, poiché è evidente il proposito di colpire la base sociale del principale nemico arabo del jihadismo sunnita, cioè Hezbollah.
L'interesse dell'ISIS nell'attuare un attentato in Francia, cioè contro uno dei suoi principali alleati contro Assad, era invece praticamente zero. Persino se si prendesse per buona la ridicola storiella ufficiale secondo cui Hollande non ha mai appoggiato l'ISIS, ma i ribelli "moderati" anti-Assad, rimarrebbe il fatto che l'ISIS non avrebbe alcun tornaconto a mettersi contro uno dei più inflessibili nemici del proprio nemico Assad. Infatti sinora né l'ISIS, nè le altre formazioni jihadiste come Al-Nusra, hanno mai attaccato Israele, poiché per anni è stata proprio l'aviazione israeliana ad impedire il controllo aereo da parte del regime di Assad nel sud della Siria.
Nel solito articolo sbattuto in bella evidenza sul "Corriere della Sera",
Bernard-Henri Lévy, con un effetto di comicità involontaria, arriva ad intimare ai mussulmani francesi di chiarire da che parte stanno. Ma perché questa domanda non la rivolge ad Hollande ed al suo amico Sarkozy, visto che tutti e due hanno appoggiato, armato e addestrato le milizie jihadiste per far fuori Gheddafi e Assad?
Se l'attribuzione all'ISIS non regge sul piano della logica bellica, si può sempre ricorrere all'argomento inoppugnabile secondo il quale non si può cercare una razionalità nel comportamento dei fanatici. Perciò è tutto a posto, e Bernard-Henri Lévy può continuare a pubblicare fesserie.
Sulla stampa ufficiale è spuntata peraltro l'ipotesi di
un attentato false flag da attribuire al cattivissimo dittatore Assad. Visto che la Francia appoggia la rivolta contro il suo regime, perché non ricambiare il favore con un mega-attentato da scaricare proprio su quei ribelli?
Ma anche in questo caso l'ipotesi rimane troppo astratta. Se è vero che Assad avrebbe avuto un generico interesse a mettere sulla graticola il suo persecutore Hollande, è anche vero che il suo concreto interesse immediato è invece quello di procedere con i piedi di piombo in campo internazionale, specialmente ora che la Russia si è decisa a dargli seriamente una mano. Putin si è spinto persino a "rivelare" pubblicamente ciò che già si sapeva, e cioé che
l'Isis è un'espressione delle petromonarchie (Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti: tutti Paesi coordinati con la NATO). Tra l'altro il maggior partner d'affari delle petromonarchie, oggi è proprio la Francia di Hollande.
A che pro Assad dovrebbe rischiare di creare difficoltà ad un Putin finalmente così lanciato sul piano diplomatico? Ma anche in questo caso c'è a disposizione la pezza d'appoggio dell'argomento inoppugnabile. Vale per i dittatori la spiegazione a cui si fa sempre ricorso contro gli insegnanti: sono pazzi.
Lunedì scorso, a Rainews24, Mario Monti ha riportato in auge la tesi a lui cara, secondo cui la costruzione europea ha bisogno delle crisi, perciò ben venga anche l'attentato di Parigi se serve a costruire gli Stati Uniti d'Europa. L'auto-candidatura di Mario Monti a colpevole dell'attentato di Parigi è molto generosa, ma, anche in questo caso, un po' troppo generica. Ciò che ha funzionato nel campo della finanza, non è detto che funzioni nei business della "sicurezza" che si vanno preparando; anche considerando che, quando si tratta di controllo dei flussi migratori, i governi europei sono l'un contro l'altro armati, e perciò l'attentato di Parigi potrebbe sortire persino l'effetto opposto a quello auspicato da Monti.
Il false flag non è il "complotto". Il false flag è uno schema, peraltro storicamente consolidato e accertato. Basti considerare che anche il primo atto delle guerra d'indipendenza americana, il Boston Tea Party del 1773, fu un false flag, poiché dei coloni americani, travestiti da indiani, attaccarono un vascello inglese ancorato nel porto.
Se nel caso dell'attentato di Parigi il false flag è un dato certo, il "cui prodest" è però ancora allo stato ipotetico. Un interesse a che succeda qualcosa, non costituisce di per sé un movente. Nel caso dell'11 settembre ci sono voluti le migliaia di miliardi di dollari del "Patriot Act" - fatti stanziare a scatola chiusa ed occhi bendati al Congresso USA a favore delle aziende della lobby di Cheney e Rumsfeld -, per avere davanti agli occhi un movente preciso per l'attentato alle Torri Gemelle. Il fatto di riconoscere nel business il movente di un false flag, non è dovuto all'attaccamento ad un "materialismo storico" d'accatto, ma alla considerazione che certe operazioni sono costose e rischiose, sono dei veri e propri "investimenti", che devono avere un ritorno. Ma finché non sarà disponibile un'evidenza del genere, la formula da adottare sarà quella della risposta dei computer di Star Trek: "dati insufficienti".
I facili profeti avevano profetizzato che Matteo Salvini, dopo un anno di furori anti-euro ed anti-Merkel, sarebbe tornato a capo chino al caro vecchio ovile dell'antimeridionalismo, ed infatti la profezia si è immancabilmente avverata. Il ritorno all'ovile di Matteo-bis è stato celebrato attraverso il suo sodalizio con Massimo Giletti, gestore di un affermato ovile mediatico (sia detto con tutto il dovuto rispetto per le pecore, che almeno una dignità ce l'hanno).
La
resa patetica di Salvini alla "Troika" è stata sancita da patetici sofismi, del tipo che l'euro è già fallito, perciò non si tratta più di uscire dall'euro, ma di prepararsi per tempo alla sua fine. Che l'euro sia già fallito, e che il suo seppellimento possa avvenire da un momento all'altro, lo si sapeva da almeno due anni, cioè da un po' prima che Matteo-bis si lanciasse nelle sue campagne mediatiche, culminate lo scorso anno con lo slogan del "basta euro". Una cosa però è uscirne con le proprie gambe, altra cosa è subire passivamente il passaggio ad "una prosecuzione dell'euro con altri mezzi", cioè a nuovi espedienti per mantenere l'economia in quella recessione/deflazione così necessaria alle banche per preservare i propri crediti nei confronti degli Stati e dei cittadini.
La doppiezza della Lega Nord è del resto una costante storica. In parlamento la Lega ha recentemente denunciato lo sperpero di denaro pubblico legato al fantomatico Ponte sullo Stretto di Messina. Oggi la Salini Impregilo può infatti permettersi di ricattare il governo, costretto a versarle
penali miliardarie per violazione contrattuale, a causa della finta "rinuncia" del governo Monti alla partecipazione statale all'impresa del Ponte (finta perché Monti non ha denunciato i termini truffaldini dell'accordo).
Ma, se è per questo, il solito Monti ha fatto anche di peggio, poiché nel 2012 ha costretto la Regione Campania ad acquistare dalla stessa Impregilo l'inceneritore-bidone di Acerra con i fondi europei Fas, quelli che sarebbero destinati allo "sviluppo" delle aree più povere, lo stesso tipo di fondi in precedenza usati anche per le infrastrutture della base NATO di Giugliano in Campania.
La Salini Impregilo è infatti la stessa multinazionale dell'edilizia che gestisce non solo l'eterna Salerno-Reggio Calabria, ma persino lo smaltimento dei rifiuti in Campania, quindi l'Impregilo è un'idrovora dei fondi falsamente destinati allo "sviluppo" del Sud. Al governo, a gestire in prima persona l'emergenza rifiuti in Campania dal 2008 al 2011, c'era il ministro degli Interni Maroni, perciò la Lega non può raccontarci che non ha niente a che vedere con gli "sprechi" di denaro pubblico per il Sud. Inoltre, sino al 2012, il boss di Impregilo è stato Massimo Ponzellini, però più noto alle cronache come
il "banchiere della Lega Nord".
Costretto alle dimissioni da presidente di Impregilo, oggi Ponzellini se la deve vedere con i suoi processi, e quindi il legame indiretto tra Lega e Impregilo si è interrotto, ma certo non per volontà della Lega, e tantomeno di Salvini. Bisogna comunque ringraziare Matteo Salvini, poiché il suo ritorno agli slogan dell'antimeridionalismo ha contribuito ancora una volta a chiarire come lo stesso antimeridionalismo costituisca uno dei fondamenti ideologici della sottomissione dell'Italia all'imperialismo. Dalla finta indipendenza nazionale del 1861 ad oggi, il razzismo antimeridionale è stato il veicolo per un autorazzismo italiano tout-court.
Il quotidiano "Il Foglio" è uno di quei giornali che non legge nessuno, ma che hanno il compito di elaborare materiali e slogan ad uso dei talk-show. Uno di questi temi mediatici, è stata la campagna per portare la Merkel, Schauble e la Troika dalle parti di Pompei. Si tratta della solita
invocazione dei castigamatti stranieri che impongano l'ordine e la disciplina ai neghittosi Meridionali.
Peccato che il giornalista de "Il Foglio" sia stato preceduto nientemeno che da "La Repubblica" e dai famosi editoriali di Eugenio Scalfari che auspicavano un commissariamento dell'Italia intera da parte della stessa Troika. Scalfari si è però esposto un po' troppo platealmente, ed ecco che i più dimessi giornalisti (non c'è bisogno di chiamarli pennivendoli: "giornalista" è già un insulto) di quotidiani di seconda fila, tornano a lavorare l'opinione pubblica ai fianchi, veicolando per i talk-show l'autorazzismo italiano attraverso il razzismo antimeridionale.