Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Secondo una certa narrativa, che si ripropone incurante del suo totale irrealismo, il governo dei sedicenti sovranisti si sarebbe arreso alla nuova formulazione del Patto di Stabilità imposto da Germania e Francia, come se questi due paesi fossero oggi nella condizione di farsi prendere sul serio da qualcuno. L’Italietta non ha mai avuto bisogno di farsi insegnare l’austerità dagli altri, e la deflazione (la “lesina”) è storicamente un valore del nostro establishment; per cui i “vincoli europei” hanno sempre svolto la funzione di un alibi e di un paravento per l’avarizia nostrana. Del resto
certi precedenti storici rappresentano un unicum italico. Nel 1976 Guido Carli, appena concluso il suo mandato di governatore della Banca d’Italia, andò a presiedere Confindustria; quindi il capo della lobby dei creditori diventava il dirigente di un’associazione di debitori; come a ribadire che la finanza è più importante dell’industria e, se necessario, va sacrificata alla stabilità della moneta ed alla tutela del valore dei crediti. Dal 1976 infatti si è avviata la deindustrializzazione dell’Italia; partendo, come sempre, da Sud. Molte imprese, invece di reinvestire nella produzione i sussidi ricevuti dal governo, li hanno usati per comprare titoli del Tesoro. Inoltre siamo l’unico paese dove due ex banchieri centrali (Einaudi e Ciampi), cioè due capi dell’ente assistenziale per i creditori, sono diventati presidenti della Repubblica; e, se quello sprovveduto di Mario Draghi non si fosse lasciato turlupinare da Mattarella, oggi ne avremmo addirittura un terzo.
La lobby della deflazione, ovvero la cleptocrazia finanziaria, ha però concesso una deroga alla cleptocrazia militare. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha infatti annunciato trionfalmente che nel testo della nuova versione del Patto sarebbe previsto di
scorporare dai vincoli di bilancio gli investimenti militari; quindi gli affari di Leonardo ex Finmeccanica sono salvi. Da bravo lobbista di Leonardo, Crosetto non esita a spacciare gli investimenti militari come un fattore di sviluppo; quando invece è il contrario, dato che sono le cose utili, non le armi, a determinare moltiplicatore economico. Tanto più che sono inutili anche come armi, dato che, ad esempio,
il caccia F-35, nella cui produzione è coinvolta Leonardo Finmeccanica, è troppo costoso anche solo per mantenerlo funzionante, perciò non servirebbe a niente in caso di guerra vera.
L’inaffidabilità del caccia F-35 è proporzionale ai suoi costi esorbitanti, ed ha messo in evidenza anche aspetti grotteschi. Il corpo dei Marines nello scorso anno ha segnalato ben tre incidenti in cui è stato coinvolto il caccia. In un incidente del settembre scorso ci sono voluti giorni per rintracciare il relitto del velivolo, quindi sono saltati persino i sistemi di tracciamento a distanza. Ciò a riprova del fatto che, ad onta della sempre più vittimistica narrativa ufficiale, il Sacro Occidente non si sente davvero minacciato da nessuno. I furori allarmistici nei confronti della pletora dei nuovi Hitler costantemente in agguato, sono soltanto in funzione del saccheggio del denaro pubblico da parte della cleptocrazia militare.
La retorica economicista viene invocata da Crosetto anche per giustificare
l’avventura della nostra Marina militare nel Mar Rosso, per dare la caccia agli Houti dello Yemen che colpiscono le navi che portano merci in Israele. Con il pretesto di prevenire una crisi energetica e l’aumento delle bollette, si giustifica un allargamento del conflitto, dimenticando che la logica economica, ed anche la decenza, imporrebbero anzitutto di bloccare il genocidio a Gaza, dal quale potrebbe sortire una guerra regionale; ed allora davvero si avrebbe una crisi energetica globale.
Senza contare l’altro assurdo economico, cioè il fatto di andare ad esporre navi militari che costano miliardi al rischio di essere danneggiate da droni che costano poche migliaia di euro ciascuno. Per difendersi da questi droni “low cost”, la Marina italiana dovrebbe usare
i missili “Aster”, di produzione francese, che costano circa due milioni di euro l’uno, quindi cento volte più di un drone degli Houti. Questa riedizione dell’ottocentesca “politica delle cannoniere”, sembra ignorare che oggi non si ha più a che fare con primitivi armati di lance e scudi. Se Crosetto è fortunato, magari gli affondano la fregata, così può stanziare i soldi per costruirne un’altra più bella e più superba (ed anche più costosa) che pria.
D’altra parte la retorica economicista ed aziendalista è diventata un veicolante e uno spot pubblicitario, con i quali la cleptocrazia militare cerca di conquistare le giovani menti ed assuefarle all’inevitabilità della guerra. Grazie all’alternanza Scuola-lavoro
il militarismo è entrato a pieno titolo nell’istruzione, dato che l’Esercito, la Marina, la NATO in fondo sono “aziende”. Facendo stage, ovvero lavorando gratis per la lobby militare, i giovani si “formano”, cioè si abituano a confondere l’economia con la cleptocrazia. Anche le Università private professano l’affinità elettiva tra militarismo e cleptocrazia organizzando
stage alla NATO, la quale non si preoccupa affatto di mostrare il suo risvolto affaristico, anzi, lo ostenta.
Ringraziamo Mario C. “Passatempo"
Una cleptocrazia integrale può permettersi di ignorare non soltanto la strategia ma persino la logica più elementare, perciò non c’è da stupirsi se l’Unione Europea prende decisioni senza senso, poiché il vero senso va cercato altrove. Ma, come si dice, procediamo con ordine. Molti media hanno proclamato enfaticamente e senza mezzi termini che
l’UE avrebbe approvato l’adesione dell’Ucraina e della Moldavia, mentre in effetti la cosiddetta “vittoria di Zelensky” consisterebbe soltanto dell’avvio dei negoziati per l’adesione. Purtroppo, anche così ridimensionata, la notizia continua ad urtare il buonsenso.
Mentre l’Europa festeggia l’ennesimo dispetto fatto a Putin e la ritirata di Orban, il quotidiano statunitense
“Washington Post” sembra porre la questione in termini un po’ più concreti, ricordando che l’ingresso di un paese disastrato come l’Ucraina comporterebbe la ridiscussione di tutto l’impianto dell’Unione Europea. L’Ucraina è infatti un paese povero che rischia di prosciugare tutto il bilancio dell’UE, ed in più ha un’economia principalmente agricola, i cui interessi contrastano con quelli degli altri agricoltori europei, a cominciare dai polacchi, i quali non potrebbero più vendere il proprio grano ad un prezzo remunerativo.
Ma il realismo del “Washington Post” sfiora appena la superficie del problema, dato che in questo caso mancano i semplici presupposti anche soltanto per avviare qualsiasi negoziato di adesione. Allo stato attuale infatti non si sa quali saranno nel prossimo anno il territorio e la popolazione dell’Ucraina, dato che c’è una guerra in corso; tra l’altro la guerra è iniziata nel 2014, con il golpe di piazza Maidan, il cui movente dichiarato era proprio di forzare l’adesione dell’Ucraina all’UE. Più passa il tempo, più questa guerra mette in forse non solo i confini ma anche la stessa esistenza dell’Ucraina, dato che perdere le zone russofone vuol dire perdere lo sbocco al mare e, di conseguenza, perdere la possibilità di reggere economicamente. Persino la Moldavia, sebbene ufficialmente fuori dal conflitto, presenta anch’essa un territorio “conteso”, cioè già saldamente nelle mani della Russia. Stavolta Putin non c’entra, dato che
l’occupazione russa della Transnistria risale addirittura ai tempi di Boris Eltsin. Qualcuno non si spiega proprio perché, dopo il disastro ucraino, gli oligarchi moldavi sentano tanta voglia di mettere nei guai il proprio paese.
Un po’ di senso riappare nell’aria seguendo il filo dei soldi. La ritirata del presidente ungherese Orban era infatti limitata al tema di bandiera, cioè l’adesione dell’Ucraina all’UE, per cui il suo veto si è spostato sulla questione del pacchetto di aiuti da
cinquanta miliardi da inviare a Kiev. In cambio Orban chiederebbe lo sblocco di fondi per l’Ungheria. In futuro questo copione potrebbe ripetersi, dato che l’Ucraina è tenuta in vita artificialmente con queste continue trasfusioni di miliardi.
Il dettaglio più interessante sta però nella
strana “incoerenza” di Orban, il quale aveva motivato la sua iniziale opposizione all’ingresso di Kiev nell’UE affermando che l’Ucraina è uno dei paesi più corrotti del mondo. In realtà l’incoerenza potrebbe essere solo apparente, ed il motivo per cui l’Ucraina si dimostra davvero interessante potrebbe stare proprio nella sua “corruzione”, che fa appunto da sponda e necessario complemento alla corruzione dell’UE. La domanda ovvia riguarda infatti la sorte effettiva di questi cinquanta miliardi e degli altri pacchetti di aiuti; cioè quanti di questi soldi finiranno nelle tasche degli “oligarchi” ucraini, ma soprattutto quanti ne torneranno sottobanco ai burocrati europei che li hanno stanziati. Il morboso desiderio di inondare l’Ucraina di soldi appare infatti abbastanza sospetto, così come risultano strani tutti quei viaggi a Kiev dei nostri politici ed eurocrati. Sarebbe interessante scrutare nel loro bagaglio tutelato dal segreto diplomatico per accertare se ci sono valigie piene di denaro contante, ovvero della percentuale sul bottino. La difesa dell’Ucraina è un nobile alibi per poter spremere all’infinito il contribuente europeo.
I soldi sono un po’ come Lassie, trovano sempre il modo di ritornare a casa, almeno in parte. Ci sono degli indizi interessanti a riguardo anche per la cleptocrazia statunitense e per la sua appendice israeliana. Gli USA sono circondati da oceani e i paesi vicini sono deboli, perciò gli USA non hanno mai dovuto temere un’invasione, infatti la loro guerra più sanguinosa è stata quella civile tra unionisti e confederati. Questa felice condizione di isolamento ha consentito al racket statunitense i suoi eccessi di interventismo all’estero. Gli oligarchi statunitensi non hanno dovuto preoccuparsi della difesa del proprio territorio dalle cosche rivali e quindi hanno potuto evolversi in cleptocrazia compiuta, concentrandosi sugli affari oltre confine, inventandosi un "enemy business” in base alla fiaba che all’estero ci sarebbero nemici ovunque. Ciò ha consentito la formazione di un “capitalismo del Pentagono” e di un analogo capitalismo della CIA e della NSA. Si tratta di
un sistema di commistione tra pubblico e privato, tra agenzie governative e multinazionali; un sistema che manipola il mercato, saccheggia il denaro pubblico e si riproduce in funzione non del generico “profitto” ma degli arricchimenti personali.
La più originale di queste truffe al contribuente americano è stata il rapporto speciale con Israele, che ha determinato l’inedito storico di una superpotenza che antepone gli interessi di un paese straniero ai propri, e persino la sicurezza di un paese straniero alla propria. Come è noto,
la principale lobby pro-israeliana che opera a Washington è l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee). La sua principale attività consiste nel “convincere” i congressmen ed i senatori statunitensi a stanziare fondi pubblici per sostenere Israele.
L’AIPAC lavora talmente bene che mamma Washington dichiara sfacciatamente di essere più affezionata ai cittadini israeliani che ai propri figli, e trasforma il contribuente americano in una vacca da mungere per tenere in vita artificialmente un paese che altrimenti non ce la farebbe a sopravvivere autonomamente. Il cialtrone Trump, quello dello slogan “America first”, si era fatto eleggere con i voti degli evangelici (antisemiti ma ultra sionisti) che sostengono Israele e collaborano con l’AIPAC, perciò anche lui si atteneva allo
schema “Israel first”. Ciò a conferma del fatto che ogni cambiamento dello zimbello della Casa Bianca lascia il tempo che trova.
Che gli oligarchi di Washington se ne sbattano dei cittadini americani è assolutamente credibile, mentre invece lo è molto meno questa appassionata premura per le sorti di Israele; infatti ci sono vari indizi che fanno capire che non è amore disinteressato. La stessa AIPAC, con altre organizzazioni che le fanno da contorno, si incarica di organizzare e pagare, attraverso la raccolta di ”donazioni”, dei
viaggi “educativi” in Israele per i congressmen americani che hanno votato per stanziare i fondi. La motivazione ufficiale è che in tal modo i parlamentari potranno crescere moralmente ed intellettualmente grazie al contatto diretto col paradiso israeliano, per poi, come Marco Polo, illustrare nei loro discorsi le mirabilie che hanno visto e appreso in quei viaggi di istruzione. Qualcuno potrebbe chiedersi il motivo per cui è necessario ai congressmen disturbarsi ad andare fino in Israele o in Ucraina a riscuotere direttamente il cash, invece di farsi pagare con criptovalute, oppure col solito conto numerato in qualche banca di paradisi fiscali, come fanno da anni i trafficanti di droga. In questo caso però non si tratta di denaro “dark”, di provenienza illegale, che va ad un’altra destinazione illegale, per essere poi investito alla luce del sole dopo una serie di lavaggi. Qui si tratta di riciclare denaro pubblico e trasparente, contabilizzato in bilanci ufficiali, che deve essere illegalizzato e oscurato in modo da rimandarne clandestinamente una parte al legislatore che ha votato per stanziarlo, il quale si incarica lui di riciclare il cash. La transazione in contanti è ancora l’unico sistema per cancellare ogni traccia della fonte pubblica del denaro, per cui vedremo ancora tanti viaggi a Kiev ed Tel Aviv.