Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Lo scorso anno l’ENI ha scoperto nelle acque territoriali egiziane il maggior giacimento di petrolio e di gas del Mediterraneo. Sicuramente è una pura coincidenza il fatto che l’omicidio Regeni abbia causato una crisi dei rapporti tra Italia ed Egitto che mette a rischio questo affare. Come pure è una mera coincidenza la circostanza che l’omicidio Regeni vada a vantaggio di quelle stesse multinazionali che nel 2011 si erano avvantaggiate a scapito dell’ENI per l’attacco al regime libico di Gheddafi. In particolare ne trae giovamento la britannica BP, che in Egitto è il secondo operatore internazionale, dopo l’ENI che è il primo; così che la BP è spesso costretta ad operare in joint venture con lo stesso ENI. Casualmente Regeni era in Egitto per conto di un’università inglese, Cambridge. Si potrebbe dire che la fortuna aiuta i voraci.
Non è la prima volta che gli omicidi vanno fortunosamente a sostegno degli interessi di alcuni gruppi affaristici. Nel 2002 l’assassinio del giuslavorista Marco Biagi, autore di un “libro bianco” su una possibile riforma del mercato del lavoro, consentì l’anno dopo al governo di allora di varare un provvedimento di precarizzazione del lavoro (la Legge 30/2003), ponendolo sotto l’icona inviolabile del giuslavorista vittima del terrorismo, tanto che i media adottarono la formula di “Legge Biagi”.
In effetti vi sono parecchi e fondati dubbi che Biagi possa essere considerato effettivamente l’autore di quei provvedimenti. Nello stesso periodo in Germania un dirigente della Volkswagen, Peter Hartz, era a capo di una commissione che elaborò un piano di riforme del lavoro ispirato agli stessi criteri di precarizzazione. Il risultato di quel nuovo quadro di relazioni industriali era non solo l’abbattimento del costo del lavoro e del potere contrattuale dei lavoratori, ma anche l’apertura di immensi spazi per la finanziarizzazione dei rapporti sociali, con il salario sempre più sostituito dall’indebitamento degli stessi lavoratori per poter accedere ai consumi. C’è da aggiungere inoltre che la precarizzazione ha consentito l’esplosione del business dell’intermediazione parassitaria sul lavoro, con le agenzie di lavoro interinale.
Il piano Hartz fu approvato dal parlamento tedesco nel 2003 e perfezionato negli anni successivi. Lo stesso Hartz, qualche anno dopo, fu coinvolto in uno scandalo che riguardava i metodi con cui la Volkswagen era riuscita ad ottenere il consenso sindacale ai propri piani produttivi: circa due milioni e mezzo di euro elargiti in viaggi e favori sessuali ai dirigenti sindacali. Ovvio che i sindacalisti italiani ammirassero tanto il modello di relazioni industriali della Volkswagen. Hartz ammise le sue responsabilità in tribunale per ottenere uno sconto di pena, anche se in Germania si diffuse il sospetto che non solo le questioni interne alla Volkswagen, ma l’intero piano Hartz di relazioni industriali, fosse stato fatto passare con analoghi metodi di corruzione del sindacato e del partito socialdemocratico allora al governo. Del resto il fatto che un governo socialdemocratico affidasse una riforma del lavoro ad un dirigente industriale, costituiva già di per sé uno scandalo.
Se in Germania l’acquiescenza sindacale era stata ottenuta facendo appello all’etica luterana, in Italia invece fu il sospetto, anzi l’accusa, di connivenza con il terrorismo a paralizzare il sindacato. Il segretario della CGIL di allora, Sergio Cofferati, fu addirittura indicato come il mandante morale dell’omicidio Biagi, ciò per aver definito “limaccioso” il libro bianco di Biagi e, si dice, per non averlo salutato in un’occasione. Un po’ pochino per parlare di responsabilità morale in un omicidio, ma dal 1978 Rossana Rossanda ha fornito alla repressione ed alla provocazione antioperaia la dottrina del cosiddetto “album di famiglia”, in base alla quale non servono più i fatti per accusare, ma è sufficiente la metafisica della colpa. Non c’è da sorprendersi se oggi il segretario della FIOM, Maurizio Landini, abbia di molto attenuato i suoi giudizi sul super-manager della FIAT-Chrysler, Sergio Marchionne. Basterebbe infatti a Marchionne spedirsi una lettera con una pallottola dentro, per consentire ai media di mettere alla gogna Landini come sospetto terrorista.
Da sinistra molti difesero Cofferati sottolineando le responsabilità del ministro degli Interni di allora, Claudio Scajola, il quale non aveva posto Biagi sotto scorta. In effetti Scajola potrebbe accampare un ottimo alibi per non aver dato eccessivo peso al ruolo di Biagi, dato che la cosiddetta “Legge Biagi” era già contenuta nel rapporto, e nei relativi suggerimenti, che l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) aveva elaborato a proposito dell’Italia. L’OCSE è un’emanazione del Fondo Monetario Internazionale, ed è addetta ufficialmente alla diffusione delle quattro virtù cardinali del vangelo fondomonetarista: precarizzazione, privatizzazione, finanziarizzazione, deflazione.
I rapporti OCSE, con qualche piccola variazione, sono pressoché identici per tutti i Paesi, quindi né Biagi, né Hartz, possono essere ritenuti davvero gli autori delle riforme che hanno preso il loro nome, che vanno invece ascritte al colonialismo delle organizzazioni sovranazionali.
Vi è una posizione di classismo purodurista che afferma che non vi è differenza per il lavoratore se viene sfruttato da multinazionali straniere o da padroncini locali, e che ogni rivendicazione anticolonialista potrebbe esse tacciata di nazionalismo o “sovranismo”. In realtà il grado che occupa un Paese nella gerarchia coloniale incide gravemente sul grado di sfruttamento del lavoro. In una colonia di seria A come la Germania la riforma del lavoro fu ottenuta con metodi di corruzione e supportata con ammortizzatori sociali finanziati con il deficit del bilancio dello Stato, in spregio ai mitici parametri di Maastricht. In una colonia di serie B (o serie C?) come l’Italia invece si fece, e si fa, ricorso soprattutto al terrorismo dell’antiterrorismo. L’ingerenza di un potere sovranazionale squilibra i rapporti di forza interni tra le classi ed alimenta nei ceti dirigenti un collaborazionismo sempre più zelante, arrogante e sicuro della propria impunità. Quanto maggiore è la pressione coloniale su un Paese, tanto più il collaborazionismo interno assume aspetti feroci e sbrigativi.
Malato del complesso del redentore, Renzi presenta invariabilmente se stesso come il messia che dovrebbe salvare l’Italia da secoli di immobilismo e inefficienza. Come tutti i denigratori di mestiere, Renzi ed i suoi supporter sulla stampa accusano continuamente gli altri di disfattismo.
In questi giorni il crimine imperdonabile sta nel non aderire al culto della trivella. Se l’Italia ha davvero dei giacimenti interessanti, sarebbe bene che se li tenesse da parte per i tempi difficili, e non li sprecasse adesso solo per permettere a qualche multinazionale di riscuotere fondi europei per lo sviluppo regionale; tanto più che in questo periodo il prezzo del petrolio e del gas tende al ribasso.
Il fatto che questo buonsenso non attecchisca nel governo, sembra aver trovato una spiegazione concreta con il caso giudiziario della ministra Guidi e del suo convivente. Ora pare anche che il governo Renzi sia finito nel mirino della magistratura, ed anche delle polemiche sia esterne che interne al PD. Piovono le accuse di lobbismo e Renzi reagisce con le solite battute di infimo ordine, che però nascondono un retro-significato. Se il Presidente del Consiglio dichiara che queste accuse lo fanno “schiattare dalle risate”, è forse perché sono troppo al di sotto della realtà, ed il governo in quanto a lobbismo, ha in serbo ben altre magagne che il familismo amorale della Guidi o della Boschi. Il problema è che il lobbismo non è un’accusa, semmai un’ovvia constatazione, dato che tutti i governi sono composti da lobbisti; basti pensare a quello che ha combinato la Merkel con Deutsche Bank e con BMW. La vera questione riguarda il costo del lobbismo di un governo in termini di colonizzazione del proprio territorio da parte delle multinazionali straniere.
Un altro segnale è stato la leccata che Renzi ha riservato a Sergio Marchionne nel corso di una sua lezioncina politica ai quadri del PD. Si è trattato di un vero e proprio appello a quello che i media considerano il maggior “protettore” di Renzi. In realtà sia Renzi che Marchionne sono mezze figure di esaltati, messe lì da potentati ben più rilevanti, ed uno è certamente la Philip Morris.
Come è noto, Marchionne fa parte dell’official board della multinazionale del tabacco, ed ha delocalizzato gran parte delle produzioni della ex-FIAT in Serbia, ridotta appunto ad un feudo della stessa Philip Morris. Quindi non ha senso dire che Marchionne è cattivo perché non ha adottato il modello di relazioni industriali “democratico” della Volkswagen, dato che nelle sue fabbriche la Volkswagen ha fatto le stesse cose, salvo rifarsi una verginità imbarcando qualche sindacalista nel Consiglio di Amministrazione. Il punto è che Marchionne è stato lo strumento per sottrarre l’industria automobilistica italiana al controllo italiano.
La multinazionale Philip Morris non si limita a controllare la FIAT-Chrysler tramite Marchionne, ma gestisce anche le attività più legate all’immagine del gruppo. Philip Morris è presente da anni non solo nella Ferrari, ma è entrata anche nell’altra vetrina del gruppo della famiglia Elkann, cioè la Juventus, con un proprio uomo nel Consiglio di Amministrazione.
Da poco nominato Presidente del Consiglio, Renzi corse a Bologna ad inaugurare il nuovo stabilimento della Philip Morris. Con immensa faccia tosta fu proprio lo staff di Palazzo Chigi ad incaricarsi di lanciare la registrazione dell’evento su YouTube.
Tra le operazioni di lobbying del governo c’è uno sgravio fiscale a favore della Philip Morris per un tipo di sigaretta senza combustione ritenuta meno nociva alla salute. Ciò, ovviamente, in base ai dati forniti esclusivamente dalla stessa multinazionale.
La propaganda ufficiale presenta l’arrivo delle multinazionali come un toccasana, in quanto gli “investimenti esteri” darebbero ossigeno alla bilancia dei pagamenti e creerebbero nuovi posti di lavoro. Poi ogni volta si scopre che la spesa è quasi tutta a carico dello Stato ospitante, o per sgravi fiscali, o addirittura per incentivi diretti.
La Philip Morris è famosa anche per il suo diretto coinvolgimento nel contrabbando di sigarette; un coinvolgimento largamente documentato negli atti parlamentari e contestato alla multinazionale dalla stessa Unione Europea, che, peraltro, si è accontentata di qualche spicciolo di risarcimento. Ebbene, Renzi a chi ha pensato di affidare il controllo di tracciabilità dei tabacchi, cioè la vigilanza sul contrabbando? Lo ha affidato, con un apposito decreto, alla stessa Philip Morris, che così farà da controllato e controllore.
Appellarsi all’uomo di Philip Morris ha chiaramente, da parte di Renzi, il valore di un avviso minaccioso alle Procure: badate con chi vi andate a mettere. La “certezza del diritto”, ammesso che esista, va certamente a farsi benedire quando un giudice se la deve vedere con un potere in grado di rovinargli la vita, come ha dimostrato nel 1997 la vicenda degli ispettori fiscali Del Gizzo e Casaccia, i quali, dopo aver scoperto una mega-evasione della Philip Morris, vennero trasformati da inquirenti in imputati.
La ministra Boschi ha dichiarato che in questo momento il governo e sotto il tiro dei “poteri forti”, forse qualche centro sociale o qualche setta di precari. Per fortuna i “poteri deboli” come Philip Morris sono dalla sua parte.
Ma anche se le multinazionali che controllano Renzi decidessero a un certo punto di farlo fuori, non vorrebbe dire che questi non ha fatto i loro interessi, ma semplicemente che si sono intravisti altri spazi di colonizzazione. Un domani anche l’attuale euforia renziana potrà essere rinfacciata al popolo italiano come un’ulteriore colpa da espiare con nuovi “esami” e sacrifici.
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