Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il cosiddetto “ombrello europeo” ha dato un’altra bella prova di sé la settimana scorsa, allorché la Banca Centrale Europea ha lasciato trapelare la notizia, ancora “ufficiosa”, del rifiuto di accordare al Monte dei Paschi di Siena venti giorni in più per la ricapitalizzazione dell’istituto bancario. La fuga di notizie ha determinato un crollo in Borsa del titolo MPS. La BCE, con somma ipocrisia, ha aperto un’inchiesta interna per stabilire chi abbia fatto uscire la notizia con una settimana di anticipo rispetto ai tempi ufficialmente prefissati. L’inchiesta BCE configura l’ipotesi di aggiotaggio, come se non fosse stato aggiotaggio tutto il comportamento dei vertici della stessa BCE, i quali hanno tenuto per mesi sulla graticola della speculazione il sistema bancario italiano; in ostaggio dell’aggiotaggio, appunto.
L’aggiotaggio è sì un reato grave in base ai codici penali vigenti, ma costituisce pur sempre il pane quotidiano di un sistema costruito sull’illegalità qual è il cosiddetto capitalismo. Il “capitalismo” di per sé non sarebbe altro che il principio giuridico per il quale il potere aziendale si stabilisce in base alle quote di capitale, cioè di denaro investito; quindi si tratterebbe di “plutocrazia”, di dominio del denaro. Sennonché il denaro non esercita il suo potere reale in base a norme legali, bensì in base ai reati che commette e di cui ottiene la legalizzazione a posteriori attraverso la potenza corruttiva di cui dispone. Quindi plutocrazia più cleptocrazia. Il mondo che il “capitalismo” costruisce attorno a sé non può che essere composto di inganni e trabocchetti, di vincoli soffocanti per il più debole, che sta al più forte invece aggirare a proprio vantaggio. Sembra proprio il ritratto dell’Unione Europea, uno dei maggiori templi che il capitale sia riuscito a costruirsi nella sua storia.
La cosiddetta crisi bancaria italiana restituisce appieno il senso di questa rete di inganni, che consiste nel drammatizzare artificiosamente questioni che in sé avrebbero il connotato della normalità. “Banca” e “bancarotta” sono infatti termini pressoché sinonimi già dai tempi di San Callisto, papa degli inizi del III secolo, famoso banchiere e bancarottiere, linciato dai suoi creditori e per questo elevato alla gloria degli altari come santo martire. Il caso MPS avrebbe avuto infatti da sempre il suo sbocco naturale nella nazionalizzazione, una scelta pretestuosamente rimandata solo per consentire speculazioni sul titolo azionario. Il bello è che Renzi aveva imposto anche alle Banche Popolari di riconvertirsi in SPA, come a prefigurarne una crisi cronica sotto gli attacchi della speculazione. Per il momento il Consiglio di Stato ha bloccato il provvedimento renziano ma, visti i precedenti, c’è poco da essere fiduciosi.
Caduto Renzi, il presidente Mattarella ha imposto una soluzione- lampo della crisi di governo con un esecutivo che ripropone gli stessi conflitti di interessi del precedente, dal caso di Voucher-Man Poletti al caso della familista amorale Boschi. A fare da capro espiatorio è stata invece chiamata la ministra dell’Istruzione Giannini, forse nella speranza da parte del PD di recuperare almeno il voto degli insegnanti, che in fondo sono rimasti gli ultimi europeisti ed hanno vissuto come un dramma personale la Brexit.
Nel governo Gentiloni manca anche la componente dell’impresentabile Verdini, come se in fatto di impresentabilità l’attuale governo dovesse farsi insegnare qualcosa da qualcuno.
L’unica “nota positiva” della compagine Gentiloni consiste nella sua debolezza politica e parlamentare che lascerebbe sperare nell’impossibilità di attuare altre disastrose “riforme” imposte dal Super-Buffone di Francoforte, in arte Mario Draghi. Laddove manchino le maggioranze parlamentari possono però supplire i soliti colpi di mano giustificati da finte emergenze.
Le opposizioni chiedevano un pronto rinvio alle urne, ma ciò rientrava nel gioco delle parti, poiché di per sé non farebbe scandalo che una maggioranza parlamentare ancora vigente prosegua la sua strada. L’aspetto patetico e ridicolo riguarda le motivazioni addotte da Mattarella per giustificare la sua scelta; motivazioni talmente inconsistenti che è risultato stonato vederci piazzata in mezzo anche l’unica questione vera: il terremoto.
La legge elettorale non era mai stato un problema finché non la si è caricata di pretestuose pretese di “governabilità”, del tipo che bisognerebbe sapere già la sera dopo le lezioni chi governerà. Come se non lo si sapesse già dalla mattina prima che comunque governerà Draghi.
Tutta da ridere poi la presunta “urgenza delle scadenze internazionali” del Consiglio Europeo e del G7. Vista la totale irrilevanza dei governi italiani in tali consessi, tanto valeva spedirvi, piuttosto che un nuovo governo, la traccia di qualche governo passato, magari un ritratto di Quintino Sella o di Bettino Ricasoli.
Ma in Italia tutto ciò che è internazionale deve assumere i contorni del sacro e del salvifico. La modernità è solo un’illusione ed il sacro è ancora dappertutto. Prendiamo tanto per i fondelli i poveri mussulmani per i loro pellegrinaggi alla Mecca e poi spediamo i nostri ragazzi in pellegrinaggio per la Sacra Europa per farli sentire “europei” con l’Erasmus; e le scuole italiane organizzano pure visite al parlamento europeo, manco fosse la grotta di Lourdes.
Alla caduta di Mussolini il filosofo e storico Benedetto Croce profetizzò che in un futuro non troppo lontano alcuni suoi colleghi storici si sarebbero dedicati, pur contro ogni evidenza fattuale, ad una “rivalutazione” (una “rettung” come dicono i Tedeschi) della figura del Duce. Si può altrettanto facilmente prevedere che un’analoga “rettung” verrà tentata a proposito di Matteo Renzi, eroe solitario di una “indipendenza nazionale possibile” contro le eurocrazie esterne ed i passatismi interni, un eroe caduto sul sentiero dell’onore, pugnalato alla schiena dal settimanale “The Economist”, come era già accaduto ad un altro eroe italico, il Buffone di Arcore, peraltro riciclatosi recentemente proprio in funzione anti-renziana. Non mancheranno commentatori pronti a commuoversi sulla misera sorte del povero Renzi, costretto dalla umana ingratitudine del popolo dei voucher (tanto da lui beneficato) a ritirarsi a vita privata, cioè ad accontentarsi di far carriera in qualche multinazionale (Apple? Philip Morris?) o in fondazioni annesse.
Intanto la stampa estera presenta il successo del no come una vittoria del “populismo”, un dato dimostrato inequivocabilmente dalla presenza nello stesso fronte del no di personaggi come D’Alema, Bersani e Monti. Persino la Borsa ha festeggiato la caduta di Renzi, probabilmente nella speranza che ciò significhi fine del “bail-in” e apertura al finanziamento pubblico delle banche. Ma è inevitabile che il dibattito politico sia destinato ad avvolgersi di fiabe e leggende, perciò ogni tanto occorre sforzarsi di riportare l’attenzione sui veri oggetti del contendere.
Nelle settimane precedenti il voto referendario, una notizia dalla Grecia ci avvertiva che il governo greco era stato costretto ad operare una drastica privatizzazione dei servizi locali di fornitura idrica e di gas, tutto ciò sotto il consueto ricatto della Troika che tiene in pugno il Paese con l’arma dei prestiti. Mentre costringeva il governo Tsipras a questa ulteriore sottomissione (cosa non difficile, poiché Tsipras era stato selezionato proprio per le sue doti di invertebrato), il Fondo Monetario Internazionale non faceva a meno di notare, con finta preoccupazione, che il rapporto debito-PIL della Grecia è giunto a livelli stratosferici. E non poteva essere altrimenti, visto che le misure recessive a cui lo stesso FMI costringe la Grecia hanno fatto crollare i redditi e quindi le entrate fiscali.
Anche l’Italia è sotto il ricatto del debito pubblico in euro ed è quindi costretta dal nostro compatriota Mario Draghi a fare le “riforme”, cioè le privatizzazioni. In questa vicenda della revisione costituzionale, Renzi è stato mandato allo sbaraglio con disinvolta cialtroneria dal Super-Buffone Mario Draghi, il quale aveva imposto la modifica del Titolo V della Costituzione per avocare allo Stato competenze dei Comuni e delle Regioni, ciò per consentire una più celere privatizzazione dei servizi pubblici locali, come acqua, gas, ma anche sanità.
Un fan di Renzi come Flavio Briatore aveva smaccatamente richiamato nelle sue goffe dichiarazioni di voto per il sì tale legame tra la revisione costituzionale e le privatizzazioni, dimostrando anche lui un eccesso di zelo e di entusiasmo che non ha portato bene al suo idolo.
La cialtroneria delle oligarchie trans-nazionali le ha consegnate ad una figuraccia, ma il momento della caduta del tiranno è anche quello della massima vulnerabilità dell’opinione pubblica. Per rimanere nei paragoni mussoliniani, al 25 luglio seguì l’8 settembre, cioè il cedimento del territorio ad occupanti stranieri. Anche il Buffone di Arcore nel 2011 fu impallinato dal risultato delle elezioni amministrative e del referendum sull’acqua pubblica, ma, qualche mese dopo, il colpo di mano di Napolitano fece apparire la caduta del Buffone come un successo dei “mercati”, dello “spread” e delle eurocrazie. La memoria è labile e la propaganda ufficiale può rimescolare le carte, anzi sostituire il mazzo, perciò chi oggi si aspetta Grillo e Salvini, tra qualche settimana potrebbe ritrovarsi davanti la Troika.
La questione privatizzazioni rimane quindi più aperta che mai, viste anche le contraddizioni e le ambiguità di gran parte del fronte del no in questo campo. In effetti neanche la modifica costituzionale avrebbe consentito automaticamente tali privatizzazioni, perciò sarebbe stato comunque necessario un passaggio per la legislazione ordinaria, cosa che avrebbe rivelato le vere intenzioni del governo. Un tale passaggio legislativo rimane inoltre possibilissimo a tutt’oggi, pur a revisione costituzionale bocciata dalle urne, dato che non mancano altri escamotage giuridici per attuare ugualmente le privatizzazioni.
L’aspetto giuridico non è neppure prioritario, se si considera che la strada maestra delle privatizzazioni è l’aggiotaggio sociale, cioè la svalutazione di un bene prodotto con denaro pubblico attraverso il suo boicottaggio ed il suo avvilimento mediatico. L’aggiotaggio è un reato, e infatti non è possibile privatizzare senza ricorrere a mezzi illegali e fraudolenti. Nel migliore dei casi i beni pubblici svalutati con questi mezzi illeciti vengono svenduti, ma più spesso è ancora una volta la spesa pubblica a doversi fare carico delle privatizzazioni, o con sgravi fiscali o direttamente con finanziamenti. Le privatizzazioni sono un crimine che viene legalizzato a posteriori, ma come ci ricorda Briatore, occorre che l’opinione pubblica si abitui alla coppia semantica “gestione pubblica-spreco” e che quindi il crimine venga recepito come un risanamento o addirittura un salvataggio. Ed occorre anche ricordarsi che le lobby delle privatizzazioni - vere e proprie associazioni a delinquere - non sono soltanto esterne alle amministrazioni pubbliche, ma operano anche dentro di esse in funzione dirigenziale.
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