Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Quando la Corte Costituzionale ha confermato nella legge elettorale i capilista bloccati ed ha abbassato al 3% la soglia di sbarramento, ha anche indirettamente decretato l’avvio di una stagione di scissioni nei partiti, a cominciare dal PD. Il meccanismo dei capilista bloccati conferisce al segretario di partito un potere assoluto nella scelta dei parlamentari, perciò alle minoranze conviene andarsene, visto che il 3% non costituisce una soglia troppo rischiosa. Che le motivazioni della scissione bersaniana del PD siano di carattere elettorale, lo ha confermato lo stesso Bersani quando ha detto che non vuole fare una “cosa rossa” ma una “cosa che non sputi sul rosso”, cioè non si tratta di cambiare davvero politica, bensì di abbandonare il fallimentare tentativo renziano di sfondare nell’elettorato di destra adottando il suo linguaggio; un tentativo che ha avuto l’unico effetto di perdere gran parte dell’elettorato di sinistra. Per questo motivo Bersani non ha rinunciato ad una verniciatura ideologica un po’ più “radical” della propria scelta scissionista, annunciando ai suoi ex colleghi di partito che gli anni ‘90, con la loro retorica globalista, ormai sono lontani, dato che anche negli USA la musica sembra cambiata.
Dopo averci rotto le scatole per anni coi suoi racconti demenziali sulla superiorità, soprattutto economica, degli USA, persino il giornalista Alan Friedman si è svegliato d’un colpo e ha scritto un libro incendiario: “Questa non è l’America”; un libro che diventerà il manuale dei prossimi sovversivi americani, un libro che ci rivela finalmente “di che lacrime grondi e di che sangue” l’icona principe del “politically correct”, Barack Obama. Pare che Friedman, per capire i motivi del presunto sostegno popolare alla vittoria di CialTrump, abbia fatto un viaggio nella famosa “America profonda”, la famosa “pancia degli USA", ha indagato con rigore e ha scoperto che in America ci sono livelli di povertà simili, se non peggiori, a quelli dello Zimbabwe. Pare che i lavoratori siano pagati solo sette dollari l’ora ed anche meno e, tenendo conto che lì bisogna pagarsi interamente i servizi e che con millecinquecento dollari al mese si è al di sotto della soglia della povertà… Insomma, questa non è l’America di Friedman: un giornalista che ci ha messo solo trenta anni a scoprire che in America si muore di fame, è uno che sa il fatto suo. Ora Friedman tutti questi morti di fame li mette al sicuro sotto l’icona rampante del “politically incorrect”, CialTrump, avallando la vulgata mediatica che vuole che sia stato il voto popolare, e non le lobby, a spingerlo alla presidenza. Ecco come i media fabbricano leadership fittizie per fuorviare il malcontento sociale.
CialTrump ha messo fuori dalla porta due testate giornalistiche storiche: “New York Times” e CNN. Grande indignazione di tutta la stampa democratica che invoca la possibilità di “dire la verità” (sic!). Eppure Chomsky ricordava il ruolo decisivo svolto dal NYT nel coprire i peggiori crimini USA nel mondo, dall’Indonesia, al Vietnam, al Nicaragua. Quanto alla CNN ha dato più volte prova di fare attività di copertura ed intossicazione dell’informazione nell’attacco all’Iraq e nella guerra in Afghanistan. Ai veri o finti nostalgici di un’altra America, come il buon Friedman, sarebbe il caso di ricordare che le più imponenti vendite di armi al Medio Oriente le ha realizzate Obama. Vendite soprattutto all’Arabia Saudita, quindi al maggiore fornitore d’armi dell’ISIS.
Sette dollari in America, cioè più o meno sette euro da noi; è quello che molte amministrazioni comunali italiane pagano ai lavoratori schiavi con la tecnica del voucher. Le amministrazioni comunali si difendono dicendo che hanno creato lavoro e che la legge lo consente. Sono argomenti da aziende private o da lobbisti delle privatizzazioni. Sullo Stato e sugli enti pubblici vale la stessa constatazione che si deve fare per la sinistra: non esistono. Come la sinistra è solo uno spazio vacuo a disposizione per l’entrismo di un personale politico di destra, così i pubblici poteri costituiscono solo gusci vuoti riempiti dal lobbismo privato.
Intanto il governo ed i media suoi paladini fanno un uso interessante del termine “furbetto”. Il termine era inizialmente stato usato per gli affaristi dediti alle truffe bancarie. Oggi invece il termine identifica gli assenteisti del pubblico impiego. La campagna a tutto campo per attaccare i lavoratori del pubblico impiego è stata posta sotto l’angelica icona “politically correct” della ministra Madia e viene sostanziata dalla caccia al “furbetto”. Il termine indica da un lato lo squallore del rubagalline, dall’altro il danno alla “comunità”. I media lanciano spot - chiaramente confezionati ad hoc e privi di attendibilità - per proporre l’immagine del dipendente pubblico assenteista e, nel contempo, mettono le mani avanti dicendo che però la maggioranza dei pubblici dipendenti lavora. Intanto però si vuole rendere tutto il pubblico impiego più povero e più licenziabile. Per i pubblici dipendenti è rimasto l’articolo18 ed allora la “giusta causa” per il licenziamento occorre inventarsela. L’immagine, anche quando si tratta di un fake, è più potente della parola e, nonostante le ipocrite distinzioni, passa ugualmente il messaggio di odio di categoria e di appello alla guerra civile.
Almeno su queste tecniche di propaganda la ministra Marianna Madia può vantare qualche competenza, vista la sua provenienza dal giornalismo. Circa l’effettiva collocazione della ministra, basti considerare che da ragazza ha frequentato il Liceo Francese di Roma, tratto distintivo di appartenenza ad una famiglia massonica, e delle logge che contano.
Quelli dei voucher, quelli delle evasioni fiscali miliardarie, quelli dei derivati, quelli delle delocalizzazioni, quelli dei finanziamenti pubblici alle imprese con profitto privato, quelli che criminalizzano i pubblici dipendenti per fare lobbying a favore delle privatizzazioni dei servizi pubblici, quelli non sono furbetti, sono tutt’altro. Sono al di là del bene e del male, sono i privilegiati dalla nascita.
Questo pezzo è stato scritto da un pensionato Enel nostalgico dell'ente nazionale per l'energia elettrica ed è contro la privatizzazione. Dimostra come l'Autorità per l'Energia, che dovrebbe tutelare i consumatori, in realtà tutela gli interessi delle aziende elettriche e delle industrie energivore, scaricando i costi sui piccoli consumatori.
“Al tempo dell’azienda pubblica, bastava che qualcuno insoddisfatto inviasse una letterina di protesta ad un giornale e questo si metteva a sparare cazzate contro il monopolio. Se oggi qualcuno di noi, scontento della bolletta che ha ricevuto, inviasse una protesta argomentata ad un giornale, difficilmente la sua lettera verrebbe pubblicata. Il perché è dimostrato da queste tre foto (foto non allegate). Si riferiscono ad una fornitura per usi domestici non residente da 3 kW. Nella prima, risalente al 1998 la tariffa è binomia, cioè c’era la quota fissa rapportata alla potenza impegnata e il prezzo per l’energia consumata.
Nelle altre la tariffa è trinomia cioè la quota cliente, la quota potenza e il prezzo dell’energia, che voi non vedete perché, con la scusa che la bolletta era incomprensibile, dal primo gennaio 2016 hanno pensato di non farci capire niente, mentre ci raccontavano che lo facevano per semplificarci la lettura. Prima della liberalizzazione, nel prezzo energia erano compresi tutti i costi sostenuti dalle aziende (Enel, Municipalizzate), quindi anche i costi di ricerca, della riserva (calda e fredda) per far fronte alle variazioni della richiesta, nonché per tener conto dei prezzi agevolati per le forniture per usi domestici residenti, per le ferrovie dello stato, per le aziende energivore. Il prezzo dell’energia, almeno per gli usi domestici residenti era progressivo. Questo significa che, stabiliti certi scaglioni, il prezzo unitario dello scaglione successivo era maggiore del prezzo unitario dello scaglione precedente, facendo così gravare sui grandi consumatori i costi di cui sopra.
Con la liberalizzazione, quelli che erano i costi di ricerca e dei prezzi agevolati per usi domestici residenti (oggi bonus elettrico solo per chi si trova in situazioni economiche particolari), per le ferrovie, le imprese energivore, ai quali si aggiungono gli incentivi per le rinnovabili e lo smantellamento degli impianti nucleari, vengono definiti oneri di sistema. Questi oneri, che fino al 31/12/2016 erano inclusi nel prezzo del kWh, dal primo gennaio 2017, per le forniture usi domestici non residenti sono stati suddivisi in due parti. Una come quota fissa di euro 11,25 cliente/mese e una quota variabile caricata sul prezzo del kWh. Insomma, gli scienziati dell’autorità hanno pensato bene di scaricare sui non residenti non solo parte dei costi fissi delle imprese, ma anche gli oneri di sistema. Cosi facendo hanno trasferito la maggior parte degli oneri di sistema dai grandi consumatori ai piccoli, come sono, generalmente, gli usi domestici non residenti.
Insomma, confrontando le tre bollette noterete che nel 1998 la quota fissa era pari a euro 13,118 bimestrale, nel 2016 era di euro 20,90 e nel 2017 è di euro 21,06. Purtroppo, ci fottono gli euro con gli oneri di sistema. E vedrete che fra poco gli eventuali sconti concessi con la tutela simile li caricheranno sugli oneri di sistema.
In ultimo mi domando dove sono nascosti i costi per sostenere una pletora di enti e società, quali AEEGSI, Il GSE, il GME, l’Acquirente unico e chissà quanti altri campano sulle spalle dei consumatori, create per far funzionare un mercato che non esiste e che ci vogliono imporre abolendo il servizio di maggior tutela.“
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