Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
È probabile che il governo cinese non provi un particolare affetto per il regime nord-coreano. Sta di fatto però che la Cina non può permettersi che la “democrazia occidentale” (cioè i missili e i soldati USA) arrivino ai propri confini. I toni miti che la dirigenza cinese sta usando in questa ennesima crisi tra Stati Uniti e Corea del Nord non devono ingannare. Quando si tratta dell’integrità del proprio territorio i dirigenti cinesi sono inflessibili e possono diventare anche imprevedibili, dato che capiscono benissimo che il vero bersaglio dell’attivismo militare statunitense non è la Corea del Nord ma la Cina stessa. Che si tratti di intimidazione o di diretta minaccia al territorio, non è dato ancora capirlo; ma il confine tra l’intimidazione e la minaccia diretta è molto labile.
Dal 1972 sembrava che gli USA avessero compreso di non poter fronteggiare contemporaneamente Russia e Cina; anzi, l’alleanza commerciale con la Cina, inaugurata dal famoso viaggio di Nixon, era stata una delle chiavi della vittoria nella guerra fredda. Sembrava anche che la lobby commerciale che ha spinto CialTrump alla presidenza USA fosse intenzionata a riallacciare i rapporti con la Russia per concentrare il fuoco sulla concorrenza commerciale cinese; invece le ultime mosse dell’Amministrazione americana scompaginano questo quadro. Cos’è accaduto?
Una notizia del marzo scorso avrebbe potuto spiegare molte cose; una notizia che, sebbene anticipata dal “Financial Times”, è stata invece poco rilevata dai media. Il fatto riguarda l’arrivo negli USA di duecento miliardi di dollari di investimenti dall’Arabia Saudita; duecento miliardi nei prossimi quattro anni: guarda caso proprio il periodo del primo mandato presidenziale di CialTrump.
Si ha un bel dire che questi duecento miliardi saranno investiti nell’economia reale e rilanceranno produzione e consumi, ma sono belle chiacchiere e il dato vero è che, ancora una volta, la mobilità dei capitali ha sconfitto l’economia reale. Per re-industrializzare gli Stati Uniti occorrerebbero anzitutto sbocchi commerciali, sia interni che esterni, un obiettivo che si raggiungerebbe anzitutto ridimensionando la concorrenza cinese. Che allo scopo si ricorra ai dazi o ad una drastica svalutazione del dollaro, poco importa, ma l’una o l’altra soluzione disturberebbero la finanza globale, la quale non gradisce che si frappongano ostacoli alla circolazione delle merci, perché per ogni merce che si importa c’è come corrispettivo un capitale esportato; e la finanza globale tantomeno gradisce che i debiti si svalutino. Prima di tutti ovviamente la pensano così i grandi detentori del debito USA, come i Sauditi.
Uno sbocco commerciale all’industria statunitense comunque i Sauditi lo garantiscono: le armi, di cui la monarchia saudita è il principale cliente. La guerra anti-sciita condotta con crescente e genocida ferocia dall’Arabia Saudita nello Yemen (nel silenzio dei media) è una vera manna per il traffico di armi USA ed infatti gli stessi USA la sostengono con le incursioni aree a base di droni. Ma la guerra non va tanto bene: i primi a defilarsi dall’alleanza con l’Arabia Saudita sono stati gli Emirati Arabi Uniti, poi si è defilato l’Egitto. Se non fosse per l’appoggio di Stati Uniti e Regno Unito, le cose per la petro-monarchia saudita si metterebbero davvero male.
Qualche settimana fa i cultori della parodia del politicamente corretto sono andati in brodo di giuggiole per il fatto che il Primo Ministro britannico Theresa May sia andata in visita in Arabia Saudita senza il velo islamico, dimenticando che la petro-monarchia saudita costituisce storicamente una creatura dei servizi segreti britannici. La stessa setta islamica dei Wahabiti (peraltro di dottrina molto incerta) di cui la monarchia saudita è leader, rappresentava sin dal XVIII secolo uno strumento dell’imperialismo britannico, dapprima in funzione anti-turco ottomana, poi in funzione di destabilizzazione dei regimi arabi laici. Nonostante l’appoggio di USA e UK, l’Arabia Saudita in queste ultime settimane è diventata persino bersaglio dei missili dei guerriglieri sciiti; guerriglieri armati dall’Iran, anch’esso sciita, ma, soprattutto, maggiore avversario geopolitico dell’Arabia Saudita nell’area del Vicino Oriente.
Si comprende quindi che gli USA in Siria siano andati in soccorso della santa alleanza sunnita in funzione anti-sciita (cioè anti-iraniana), un’alleanza di cui il principale attore e finanziatore, nonostante il crescente protagonismo del Qatar, è ancora l’Arabia Saudita. Da decenni la petro-monarchia di Riad è il principale reclutatore e finanziatore di guerriglieri islamici, che la stessa petro-monarchia sparge per il mondo. Che il cosiddetto “fanatismo religioso” costituisca un prodotto della mobilità dei capitali dell’Arabia Saudita e del Qatar non deve risultare strano: il denaro è suggestivo e carismatico, spesso si ha l’illusione di seguire un’idea mentre in realtà si sta seguendo solo il denaro che la sostiene.
Al denaro saudita si deve anche la destabilizzazione della Jugoslavia. Oggi persino i quotidiani occidentalisti come “Il Foglio” ammettono che negli anni ‘90 in Bosnia agirono, e furono determinanti, i jihadisti stranieri pagati da Riad, quindi non si trattò di una semplice guerra civile, come ci era stato narrato. All’epoca invece la propaganda “occidentale” diede tutta la colpa ai Serbi ed al “nuovo Hitler” di turno, Milosevic.
A proposito di un dibattito su natura e progresso
Il cuore, quest’oscuro fiore celestiale,
sboccia misteriosamente.
Non si darebbe quell’ombra per tutta quanta la luce.
Victor Hugo, Les Misérables
La premessa di ogni dibattito che si desideri più inclusivo e più stimolante per chiunque
è intendersi sui concetti.
Può sembrare una banalità, ma dare per scontato che tutti e tutte siano d’accordo con
una “certa” definizione dell’oggetto di cui discutiamo è speculare a chi ogni giorno
vorrebbe convincerci che questo modo di vivere è l’unico esistente. Dunque imparare
almeno a nutrire qualche dubbio sulle certezze oggi circolanti può essere un buon punto
di partenza per ri-posizionare una discussione, e, in ogni caso, lo è per me.
Dunque muoverei qualche dubbio sulle certezze dei seguenti concetti: natura umana,
artificio, tecnica, tecnologia, progresso, scienza, natura. Perché niente di queste sicure
“cosalità” è al riparo dall’esercizio egemonico operato dai dominatori nel renderle così
come sono, e non come potrebbero o non potrebbero essere.
Rosa Luxemburg scriveva che – al netto delle differenze politiche – quando un pensiero
non si muove più ma si fissa, si immobilizza, allora si può ragionevolmente parlare di
pensiero reazionario. Così abbiamo anche in prestito una definizione particolarmente
azzeccata di reazionarismo: quanto mai opportuna, se pensiamo che i più grandi teorici
nazisti e fascisti, oltre a quelli alla destra del fascismo e del nazismo, e oltre ancora a
quelli della Nouvelle droite francese, parlano di nevrosi rivoluzionaria, definendo questa
smania pruriginosa (sessuale?!) dei rivoluzionari di cambiare il mondo. E di fatti, per
costoro l’unico movimento consentito è all’indietro, verso una rivoluzione conservatrice,
la cui essenza risiede nell’antimodernismo e nel rifiuto del progresso, partendo dal
presupposto che tutto ciò che muove in avanti crea una perdita, una mancanza. Dunque
i rivoluzionari sono dei nevrotici castrati: ricordare ogni tanto il motivo dell’odio aiuta a
posizionarsi con maggiore circospezione in terreni storicamente minati.
Uno dei problemi, oltre alla necessità di chiarirci tra noi il significato dei concetti di cui
parliamo, è infatti la difficoltà che sperimentiamo a condurre una nostra battaglia su temi
di grande complessità sui quali i più grandi rivoluzionari – marxisti, anarchici – si sono
confrontati e, talvolta ma non sempre, scontrati.
Sono almeno 150 anni che il movimento rivoluzionario si divide sull’importanza della
natura e il ruolo della scienza, basti pensare a quanto tale divisione attraversasse il
populismo e il nichilismo russi fin dal 1860.
Quindi a coloro che oggi si chiedono il motivo di tanto discutere intorno alle
biotecnologie, alla nostra “naturalità”, al progresso – come se tutto ciò non avesse a che
fare con la rivoluzione sociale – potremmo ricordare i numerosi interventi di Errico
Malatesta (ad esempio in “Pensiero e volontà”, per fare il primo esempio che mi viene in
mente), gli scritti filosofici di Michail Bakunin, i Quaderni dal carcere di Antonio
Gramsci e il primo libro del Capitale di Karl Marx. Potrebbero stupirsi di trovarvi
riflessioni assai ricche, e, soprattutto, tutti e tutte noi impareremmo quanto a lungo e
con quanti rimandi si è intervenuti per ridefinire, meglio situare, collocare, delimitare,
approfondire questi stessi concetti, oggi frequentemente stiracchiati e sciabordati, spesso
e volentieri (diciamoci la verità vera) a fini di posizionamento politico interno al
movimento. Sinceramente un po’ di malinconia e di tristezza non può che emergere, al
pensiero che Bakunin polemizzava con Auguste Comte e i positivisti, Malatesta discuteva
di evoluzionismo, Kropotkin lavorava ad una sua posizione autonoma nel dibattito
darwiniano dell’epoca, Gramsci criticava il pensiero dogmatico, Marx scopriva che la
naturalità dell’essere umano sconfina nella sua restituzione mediata dal lavoro (anche
questo è “Il Capitale”, oltre ad un testo determinista sulla fine del capitalismo).
Onestamente, di fronte agli immensi casini che l’inquinante, sfruttatore e putrescente
sistema di sviluppo capitalistico sta provocando a tutti gli esseri senzienti e non della
terra, forse sarebbe opportuno – per noi anarchici e anarchiche – comprendere quale
posta in gioco ci stiamo giocando e utilizzare la nostra intelligenza, curiosità, senso
critico, per muovere una radicale offensiva contro i padroni dello sfruttamento e del disastro, non per posizionarci tra di noi.
E di questo parliamo, poiché oggi il Politico è mero amministratore delle macerie che ha
contribuito a spargere dappertutto, con buona pace (nel senso tombale del termine) dei
riformisti o degli introvabili sinceri democratici.
C’è poi un’altra questione che mi pare niente affatto compresa e che invece ha molto a
che fare con il modo con il quale stiamo elaborando i nostri pensieri: tutta questa luce
bianca, tutta questa limpidezza, trasparenza che permea la superficie liscia e levigata
delle argomentazioni su questi nodi, serve a rassicurarsi o ad aver ragione una volta per
tutte? Questa smania di sistema, di conchiudere una riflessione come un fortino
assediato, di strangolare le ombre, certo, fa molto radicale, ma a ben vedere dimostra
anche la fragilità di alcuni Assoluti, che come insegnava Max Stirner, negano chi sei
nominando cosa sei.
Non si tratta di non avere una posizione, al contrario, si tratta di averne milioni differenti
le une dalle altre, come per fortuna solo gli anarchici e le anarchiche sanno fare, e mi
chiedo se qualcun’altro oltre a me, in questa giravolta di Assoluti da difendere o negare,
ha visto che fine ha fatto l’Unico che siamo.
Potremo discutere quanto vogliamo, su cosa siamo: le femministe ci spiegheranno che
cosa è la Donna, i preti cosa è l’Anima e il Corpo da essa scissa (come una pustola
fastidiosa), i razzisti e le differenzialiste cosa è la Differenza (sessuale, simbolica,
spirituale, culturale, fate voi), altri cosa è la Natura, il Progresso, la Scienza etc.
Agli anarchici e alle anarchiche interessa ancora come gli Unici si relazionano, negano,
rifiutano, sovvertono, negoziano il “cosa sono”?
Si è capito che libertà non è identità, e che identità non fa rima con individualità?
E se la libera individualità - irriducibile alle cose - fosse l’ombra maestosa e potente,
negata, espropriata, de-naturalizzata, dall’odierno luminoso sistema capitalistico?
Se fosse in quel nocciolo duro da ricercare la spinta per distruggere questo progresso
utile soltanto a mantenere questo sistema di sviluppo? Se la natura che ci sentiamo
sfuggire dalle mani non fosse altro che la dis-connessione tra noi e la nostra vita
sensibile, attaccata con armi di distruzione di massa linguistiche, tecnologiche,
mercificanti? Se, insomma, scoprissimo che la nostra “natura” non è che un irriducibile
niente magnificamente e individualmente trasformato da corpo e mente in una corsa
contro il tempo di rivoluzioni, cambiamenti, volontà, desideri, passione, amore?
Se fossimo noi stessi a mancarci, come ci manca il fiato in una gabbia, o il nostro amore
che non torna più? Se usassimo più poesia e meno tecnica per conoscerci, se saperci
umani, naturali, artificiali, donne, uomini, trans, gay, lesbiche, black, colored – alla fine -
non ci bastasse più?
E se fosse questa la guerra che ci è stata dichiarata dalla notte dei tempi, e avessimo –
ancora una volta – sbagliato strada?
Martina Guerrini
Livorno, aprile 2017
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