Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
In molti hanno notato che il “99%” è un topos pubblicitario dei prodotti antibatterici, i quali dichiarano appunto di poter eliminare il 99% dei batteri. Per la verità ci sono anche
antibatterici più bravi dell’Iron Dome e dell’Arrow israeliani, infatti riescono ad eliminare addirittura il 99,99% dei batteri. Magari è sufficiente quello 0, 01 a fregarti, ma bisogna sapersi accontentare.
Mentre lo spot pubblicitario reclamizzava trionfalmente i successi del sistema di difesa israeliano e l’abbattimento del 99% dei missili e droni iraniani, contestualmente ci si faceva sapere che così non era. Secondo
fonti dei militari statunitensi, almeno settanta droni li avrebbero abbattuti loro. A difendere il suolo israeliano contro la preannunciata rappresaglia dell’Iran c’erano anche navi e aerei britannici e francesi; ma il dettaglio sorprendente è che ci fosse
persino la Giordania, la quale, pur di difendere Israele, non ha esitato a mettere a rischio la propria popolazione, in quanto ci sarebbero tre morti giordani a causa dei detriti dei droni abbattuti. In più la Giordania si è presa anche le minacce dell’Iran, che ha avvertito che, in caso di ulteriore coinvolgimento della contraerea giordana (peraltro fornita da Macron), questa sarà considerata a sua volta un bersaglio. Dopo aver fatto tutti questi sforzi e sacrifici, e dopo essersi buscato il disprezzo dei suoi connazionali, il povero re giordano Abdullah non si è meritato neanche una pacca sulla spalla dai nostri media ingrati: ma si sa che Israele è il pupo viziato, il figlio prediletto che si prende tutti i meriti a scapito dei fratelli negletti; in questo caso neppure fratelli, dato che i giordani sono arabi e quindi di razza inferiore.
La più frequente accusa che viene rivolta agli antimilitaristi è quella di essere degli utopisti, dato che il mondo reale è aggressivo e bisogna pur sempre essere in grado di difendersi. In realtà i veri utopisti sono i militaristi, i quali si immaginano dei militari ideali che non esistono se non nei loro sogni.
Il generale Luigi Chiapperini afferma infatti che il lancio di droni e missili da parte dell’Iran sarebbe stato un fallimento, ciò a causa del solito mantra del 99% di abbattimenti, come se non fossero state colpite due basi aeree ed una di intelligence. La propaganda dovrebbe essere uno strumento della strategia, ma questa non è più propaganda, qui c’è uno spot pubblicitario che si mangia la strategia e la sostituisce. Se questo è il livello dei nostri militari, tanto vale che ci arrendiamo subito. In realtà chiunque guardi la carta geografica si rende conto del fatto che tra Iran ed Israele ci sono oltre mille chilometri di distanza, quindi è questo il tragitto per il quale sono riusciti a viaggiare missili e droni. Anche se l’Iran non raggiungesse la capacità nucleare, basterebbero le misere testate chimiche a costituire una ritorsione contro la celebrata potenza nucleare israeliana. Il feticismo dell’atomica è una suggestione dovuta al suo altissimo costo, ovvero al feticismo del denaro, che fa dimenticare che l’umanità può essere sterminata persino da un banale antipidocchi come il Sarin. Il potere si misura effettivamente in capacità di spesa, ma si tratta di potere di manipolazione sociale, non di potenza militare.
Appellandosi
all’articolo 51 della Carta dell’ONU, che prevede il diritto di difesa, l’Iran era tenuto ad avvisare il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ed a rimettersi alle sue decisioni, quindi rinunciava all’effetto sorpresa dichiarando tempi e bersagli. La disinformazione ufficiale su questo dettaglio ha creato le condizioni per l’equivoco e per la fake news di un attacco concordato tra Iran e USA. Una volta tanto invece era tutto trasparente. Va aggiunto che per mettere l’Iran in condizioni di illegittimità sarebbe bastato che il Consiglio di Sicurezza emettesse una risoluzione prima dell’annunciata rappresaglia, cosa che il Consiglio non ha fatto perché avrebbe dovuto sortirne una condanna del comportamento israeliano per l’attacco ad un edificio annesso ad un’ambasciata. Siamo quindi di fronte ad un attacco annunciato con largo preavviso, per la cui difesa si è mobilitato quasi tutto il Sacro Occidente; eppure i missili iraniani hanno ugualmente colpito le basi aeree e di intelligence israeliane. In altri termini, contro gli attacchi missilistici non esiste difesa, poiché anche il più sofisticato dei sistemi antiaerei può essere saturato e aggirato con vari espedienti a basso costo.
Già il 7 ottobre Hamas aveva messo in crisi il sistema antimissile israeliano con piogge di razzetti artigianali, ma
la vulnerabilità di Israele agli attacchi missilistici è un’acquisizione ancora più datata, infatti, durante la prima guerra del Golfo del 1991, Tel Aviv e Haifa furono bersaglio di missili iracheni di fabbricazione sovietica, classificati con il nome di “Scud” in ambito NATO, e che invece gli iracheni chiamavano “Al Husayn”. Si trattava di ultraeconomiche repliche delle V2 di von Braun nella seconda guerra mondiale. Nel 1991 il costoso sistema antimissile Patriot dimostrò di non essere affidabile, e lo stesso vale per gli attuali sistemi Iron Dome e Arrow, visto che anche se ci fosse davvero solo un 1% di sforamenti, sarebbe più che sufficiente in caso di attacco chimico. Ne consegue che, ad onta dello spot pubblicitario che lo afferma, Israele non è davvero minacciato da nessuno dei suoi vicini, dato che, se realmente lo fosse, le cose si sarebbero messe molto male da tempo.
Questa considerazione realistica fu esattamente quella che spinse il primo ministro israeliano Rabin a cercare un accordo ed a far finta di essere pacifici per un po’, almeno finché Israele non avesse acquisito di nuovo un decisivo vantaggio tecnologico. Ma Rabin fu fatto fuori dai suoi concittadini poiché la cessazione delle ostilità, pur essendo strategicamente ragionevole, avrebbe disturbato gli affari delle armi. Dagli anni ’80 Israele è finanziato dagli USA per sviluppare sistemi di difesa antimissile. C’era stata un’ulteriore iniezione di liquidità, cioè
un miliardo di dollari stanziati dal Congresso USA nel 2021. Meno male che dopo il 7 ottobre sono arrivati altri quattordici miliardi americani (ed ora altri ne arriveranno), dato che per abbattere uno sciame di pezzentissimi droni suicidi e antidiluviani missili subsonici, Israele avrebbe speso appunto
un miliardo e trecento milioni di dollari in una notte, quindi almeno dieci volte in più rispetto a ciò che ha speso l’Iran. Questa non si chiama difesa ma cleptocrazia militare.
Molti si illudono che avallare le fake news sulla “vittoria” delle difese israeliane possa servire almeno a rabbonire Netanyahu e dissuaderlo da una contro-rappresaglia. L’effetto invece è l’opposto, e il problema non riguarda la personalità di Netanyahu, il fatto che sia psicopatico, fanatico e corrotto. Insistere sul mito fallace della supremazia militare di Israele, o di chicchessia, consente allo spot delle armi di continuare a dettare i comportamenti. Sul “Jerusalem Post” del 14 aprile c’è
una delirante intervista al capo della difesa antimissilistica israeliana, Moshe Patel, che celebra il fiume di denaro investito negli ultimi quarant'anni dagli USA nei sistemi antimissile israeliani. Sin dai tempi delle "Star Wars” del presidente Reagan, Israele è diventato il principale destinatario di quei colossali investimenti. Di fronte ad un fallimento così evidente e di fronte ad un rapporto di spesa così sfavorevole, Patel deve perpetuare l’illusione, perché è solo un pupazzo animato dal movimento dei soldi, che parlano e pensano al posto suo.
Il fallimento della cleptocrazia militare israeliana nell’ambito operativo sul campo è stato evidente a Gaza, dove
l’Israeli Defence Force ha riportato perdite gravissime. Aver dichiarato ufficialmente duecentosessanta caduti è già moltissimo, se si considera che il computo dei morti non considera i feriti deceduti a distanza di tempo. Vanno nel conto anche altri trucchi, come spacchettare le perdite in due capitoli, cioè la risposta all’incursione del 7 ottobre e l’attacco a Gaza. Ed è questa incapacità militare il dato scandaloso che gli spot pubblicitari di questi giorni stanno mettendo in ombra. A nessun governo frega nulla del genocidio a Gaza e neppure di Israele in quanto tale, ma sarebbe una minaccia esistenziale per il giro di affari e porte girevoli legato alle armi se si prendesse atto che sono una frode non soltanto i sistemi antimissile ma anche ogni altra promessa di supremazia militare.
Le parole dovrebbero essere annoverate nell’elenco delle droghe pesanti, e purtroppo a chiunque può capitare di farsi ogni tanto una “pera” eccessiva.
Il quotidiano neocon “il Foglio” si è approfittato del “trip” di uno dei padri costituenti, Umberto Terracini, per fargli fare una figuraccia postuma mettendo in evidenza alcune sue frasi poco felici in sostegno di Israele. Dopo averci ammonito sul fatto che anche Terracini considerava l’antisionismo una forma di antisemitismo, ci viene proposta una citazione nella quale il vecchio comunista contestava ai governi dei paesi arabi “il rifiuto testardo al riconoscimento di Israele, vero oppio per quelle masse immiserite e incolte”. Ma, con tutta la buona volontà, riconoscere cosa? Le masse arabe saranno anche “immiserite e incolte”, però si sono accorte del fatto che Israele non ha mai chiarito quali siano i suoi confini territoriali, cioè dove intende fermarsi e neppure se intende fermarsi.
Le diatribe pretestuose su antisionismo ed antisemitismo sono a loro volta nuvole di una fumeria d’oppio, mentre la domanda concreta su quelli che Israele considera i propri confini definitivi non se la fanno soltanto i palestinesi, ma soprattutto i libanesi e i siriani, visto che sono in gioco le loro fonti idriche. Il contenzioso riguarda infatti
il controllo dei fiumi, quindi non soltanto la terra ma anche l’acqua. La questione palestinese è l‘aspetto più grave, plateale e sanguinoso del conflitto arabo-israeliano, ma non è l’unico.
L’oppio delle masse arabe sarebbe il testardo rifiuto di riconoscere Israele, mentre invece
la cocaina nostrana è la “democrazia liberale”. Secondo la vulgata occorre difendere Israele perché è un’isola di democrazia liberale in quel mare di paesi retrogradi e autoritari che è il mondo arabo-islamico. La “democrazia” è quindi uno status antropologico (ovvero una condizione di superiorità razziale), un rango internazionale così elevato da consentire di trattare gli altri paesi da inferiori. Si tratta ovviamente di propaganda, ma le gerarchie antropologiche hanno comunque un effetto pratico molto preciso, cioè che una parte si riserva il diritto di mantenere illimitate le proprie pretese e di non attenersi alle regole che valgono per gli altri. Potrebbe darsi però che il termine “democrazia” sia solo uno pseudonimo di qualcos’altro.
Le coppie semantiche sono infatti molto “freudiane” e rivelatorie del pensiero profondo, per cui accostare la parola “immiserito” alla parola “incolto” è un modo di evocare inconsciamente il primato antropologico della ricchezza nei confronti della massa degradata dei poveri. Sebbene si faccia chiamare in altro modo ed interpreti vari personaggi, spesso il vero attore protagonista è il denaro, per cui anche alla cerimonia degli Oscar non si sa mai se si sta premiando il film considerato migliore, oppure quello che ha avuto il budget più alto. Secondo un articolo del 2013 del quotidiano israeliano “Haaretz”, in sessanta anni gli Stati Uniti avevano già versato ad Israele
aiuti finanziari per 234 (duecentotrentaquattro) miliardi di dollari al netto dell’inflazione. Sempre secondo “Haaretz” tali finanziamenti non erano dovuti a pressioni lobbistiche, bensì ad una profonda affinità strategica e politica; cioè una corrispondenza d’amorosi sensi tra due “democrazie”, come a dire nozze tra aristocratici. Ma al di là delle nobili motivazioni e dei gossip, le centinaia di miliardi di dollari possono vantare una “vita propria”, creano una bolla finanziaria e una “massa d’urto” in grado di orientare e condizionare gli eventi. Se parole come “sionismo”, “antisemitismo”, “democrazia” eccetera, possono drogare la comunicazione, tanto più gli avvenimenti possono essere drogati e gonfiati da iniezioni finanziarie di quella portata. Il denaro ha carisma, crea euforia, suggestioni, narrazioni, aspettative e, soprattutto, dipendenza, quindi ci sarà bisogno di dosi crescenti, tanto da mettere in conto genocidi e guerre mondiali pur di scongiurare le crisi d’astinenza.
Prima di diventare il figlio viziato, tossicodipendente e scapestrato degli USA (una specie di Hunter Biden collettivo), l’Israele del 1948 aveva trovato
il suo mallevadore e fornitore di armi nell’Unione Sovietica di Stalin. Ma trent’anni prima, nel novembre del 1917, il riconoscimento del movimento sionista e la legittimazione di una patria ebraica in Palestina avvennero tramite una letterina privata del conte di Balfour, all’epoca ministro degli Esteri inglese, al barone Rothschild, il noto super-banchiere; quindi il massimo della “democrazia”. A dare retta a quello che riporta l’archivio web della famiglia Rothschild, la vicenda della Dichiarazione Balfour ha dei risvolti persino più inquietanti. Pare infatti che il “do ut des” sottostante alla Dichiarazione Balfour fosse stato l’impegno che Rothschild e soci avevano profuso (distribuendo mazzette?) per far entrare gli Stati Uniti in guerra contro la Germania, cosa che era avvenuta nell’aprile precedente. Nella
ricostruzione degli eventi legati alla Dichiarazione Balfour viene sottolineato il ruolo svolto dal sionismo cristiano, che era molto diffuso nell’aristocrazia inglese; circostanza che conferma che nel sionismo reale il fattore etnico ebraico appare piuttosto labile. Si può speculare sull’ipotesi se vi sia stato dolo, ma secondo la loro stessa autobiografia familiare i Rothschild hanno oggettivamente presentato gli ebrei come una minaccia esistenziale per il popolo tedesco, mettendo quindi a rischio l’incolumità delle comunità ebraiche in Germania e nell’Europa dell’est. Intenzionalmente o meno, ciò ha di fatto favorito il sionismo.
Non si può attribuire il successo del sionismo al suo presunto potenziale identitario, in quanto durante la prima guerra mondiale l’identificazione degli ebrei askenaziti con la nazione tedesca fu assoluta; infatti “askenazita” significa “tedesco” e la lingua Yiddish è un dialetto germanico. L’esercito tedesco della guerra del 1914-1918 era notoriamente
pieno di ufficiali ebrei; meno noto è che la presenza ebraica fu rilevante anche nella Wehrmacht e nelle Waffen SS della seconda guerra mondiale, il che indica la persistenza di un sentimento nazionale tedesco negli ebrei, oltre che un notevole opportunismo dei nazisti allorché si trattava di preservare le capacità belliche.
Nel corso della prima guerra mondiale era stato enorme l’impegno bellico degli scienziati ebrei, come dimostra il caso di
Fritz Haber, insignito del premio Nobel per la chimica e, grazie al quale, l’esercito del kaiser fu il primo a dotarsi di armi chimiche. Il denaro aveva però drogato gli eventi e li aveva ri-narrati; perciò, nonostante il suo nazionalismo tedesco e i suoi “meriti” patriottici, Haber non sfuggì alla persecuzione nazista, ma per sua fortuna era abbastanza ricco e ammanigliato da riuscire a riparare in Svizzera.