Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La notizia di lunedì scorso è stata il calo di consensi a Salvini nei sondaggi. Per quello che possono valere i sondaggi, non ci sarebbe nulla di strano nella notizia, vista la goffaggine con cui Salvini ha provocato e gestito la crisi di governo.
Mentre l’esito della crisi di governo appartiene al regno dell’irrilevante, invece lo stabilire i motivi dell’apertura della crisi è di qualche interesse. Commentatori di solito incisivi hanno inquadrato la crisi di governo in una direttiva partita da Washington, in cui si intimava al vertice della Lega di disfarsi dei 5 Stelle a causa dei loro ardori filocinesi. Tutto può essere, ma anche i dati psicologici rappresentano indizi da non trascurare. Se Salvini stesse eseguendo istruzioni statunitensi, non si dimostrerebbe così insicuro e impacciato nei movimenti. Anzi, con una superpotenza a reggergli il posteriore, il suo ego avrebbe dovuto arrivare ad altezze siderali, come quello di uno studente quando sa che il preside lo protegge. Oltretutto Salvini non avrebbe avuto alcuna difficoltà a rinfacciare apertamente a Conte e Di Maio i loro eccessi filocinesi.
I segnali più significativi indicano che la crisi è partita da contrasti interni alla Lega. Purtroppo quei segnali non sono mai stati al centro della comunicazione ufficiale, che ha puntato acriticamente a presentare l’immagine di una Lega sovranista.
Prima di consegnarsi al grigiore ed all’inutilità della presidenza della RAI, Marcello Foa è stato un acuto studioso dei meccanismi della comunicazione e della disinformazione. Una delle sue teorie più interessanti sulla comunicazione mainstream è quella del “frame”, la cornice. Se una notizia non rientra in determinate coordinate, viene omessa o marginalizzata dai media, senza bisogno di censure, ma per semplici meccanismi di rassicurazione e di conformismo. È ciò che è accaduto in questi anni a tutte le notizie che potessero mettere in dubbio l’autenticità della svolta sovranista della Lega. I soggetti del frame della comunicazione dovevano essere europeismo/liberismo da una parte e sovranismo/populismo dall’altra. È così rimasto ai margini della comunicazione il fatto che in realtà la Lega Nord non è mai scomparsa e che, pur nella confusione, rimangono un tesseramento per la Lega Nord ed un altro per la Lega/Salvini-premier.
Ai margini della comunicazione ufficiale sono rimasti tutti quei pronunciamenti pubblici del vertice puro e duro della Lega Nord che riconfermavano la fede europeista dei vecchi dirigenti, come Maroni. Da un giornale locale i Varesotti hanno potuto sapere che Maroni ritiene indispensabile avviarsi verso la costruzione degli Stati Uniti d’Europa per annullare le nazionalità. Una posizione perfettamente coerente quella di Maroni, poiché solo sotto l’ombrello UE potrebbero esercitarsi il separatismo strisciante e l’integrazione tra regioni di Stati diversi, come il matrimonio tra la “Padania” e la Baviera.
Nel frattempo per il resto d’Italia i media spacciavano come linea della Lega l’antieuropeismo di Borghi, presentato come il responsabile economico del partito. È perfettamente comprensibile che la minoranza antieuropeista della Lega avalli l’equivoco, visto che sarebbe controproducente far sapere alla pubblica opinione di non contare nulla proprio nel momento in cui si cerca di coinvolgerla su obbiettivi decisivi, come il rifiuto dei vincoli dell’euro e la lotta al terrificante Fondo Monetario Europeo.
Anche l’antisalvinismo delle “sinistre” aveva trovato un comodo contenitore nell’antifascismo, nel quale convogliare temi ricchi di pathos come la lotta alla xenofobia ed al pericolo autoritario. Il dato rimasto oscurato è che l’europeismo del vertice tradizionale della Lega contiene i germi del separatismo strisciante, in vista dell’integrazione della “Padania” con la Baviera. Per Luca Zaia la Baviera non è solo una meta geografica, ma un modello ideologico, tanto che indica la Lombardia e il Veneto come la “Baviera d’Italia”. Siamo addirittura al dichiararsi orgogliosi di poter diventare una colonia della Baviera. Prendendo a pretesto la questione delle Olimpiadi Invernali, Zaia invitava i 5 Stelle “a non mettersi di traverso”. Un invito che non sembrava episodico ma programmatico, forse ritenendo che ormai ci fossero le condizioni per un governo monocolore della Lega.
L’ordine di disfarsi dei 5 Stelle è arrivato quindi a Salvini dal suo stesso partito. Se fosse stato per lui, probabilmente avrebbe deciso altrimenti. Oggi Salvini rischia di fare la figura dello sprovveduto ma, almeno sul piano della propaganda, non lo era mai stato. Mentre concedeva strumentalmente spazio mediatico alla minoranza antieuropeista, da lui stesso creata, Salvini aveva in mente il modo per salvare capra e cavoli, cioè la politica separatista e la retorica sovranista. Allo scopo Salvini aveva adottato come riferimento ideologico quel modello di pseudo-sovranismo che è l’Ungheria di Orban, quindi fiumi di retorica identitaria a vuoto, accompagnati da provvedimenti auto-coloniali come la riduzione delle tasse per attirare capitali esteri. Se l’euro si fosse liquefatto per tempo, il gioco forse gli sarebbe riuscito. O forse anche un modello pseudo-sovranista era ritenuto dal vecchio gruppo dirigente della Lega come un disturbo per la prospettiva della Macroregione Alpina insieme con la Baviera.
Per inquadrare storicamente il problema, occorre considerare che il separatismo strisciante non è solo un dato della patologia individuale dei dirigenti della Lega, bensì ha una sua oggettività.
L’unificazione italiana non è stata attuata per riunire popoli fratelli, visto che il disprezzo per le genti meridionali era connaturato alla gran parte dei più accesi unitari. Basterebbe leggere certe pagine del garibaldino veneto Ippolito Nievo per rendersene conto. Il punto è che l’indipendenza nazionale era intrinsecamente connessa alla potenza nazionale. Il controllo dei mari che circondano l’Italia, in particolare l’Adriatico, sarebbe stato impossibile senza annettere il Sud. Ma era chiaro che si sarebbe trattato di un Sud ridotto a colonia interna. Il destino del Sud Italia è segnato dal fatto di essere geograficamente isolato sul piano economico, ma geograficamente strategico sul piano militare.
Un’Italia sconfitta e irrimediabilmente ridimensionata nelle sue ambizioni di potenza, non poteva che far riemergere le tendenze separatiste. Dalla vicenda storica si potrebbe comunque trarre una lezione, ammesso che si voglia farlo. L’alternativa alla frammentazione-balcanizzazione-colonizzazione dell’Italia non sta nel ritorno al nazionalismo, visto che proprio il nazionalismo si è rivelato non solo incapace di superare il modello coloniale, ma lo ha addirittura adottato all’interno.
La minoranza antieuropeista della Lega ha cercato di presentare come principale causa della caduta del governo Conte il dissidio che sarebbe sorto tra i partner di governo durante le trattative per la costituzione di un Fondo Monetario Europeo. La posizione dei 5 Stelle si sarebbe troppo appiattita sull’atteggiamento remissivo del ministro dell’Economia Tria.
Si tratterebbe allora di capire perché mai Salvini non lo abbia detto immediatamente e chiaramente, dato che la prospettiva di un Fondo Monetario Europeo, una volta spiegato cosa sia, spaventerebbe a morte la maggioranza degli Italiani e quindi avrebbe garantito a Salvini quella popolarità che invece sta perdendo. Al contrario, Salvini ha condotto la crisi di governo dimostrando ad ogni passo il massimo di confusione mentale, scegliendo la tattica dell’attacco personale al Presidente del Consiglio ed esponendosi troppo scoperto ai suoi contrattacchi.
È comprensibile poi che Conte sia particolarmente invelenito, visto che aveva ceduto alle pressioni della banda del buco in Val di Susa nella speranza che ciò potesse far sopravvivere il suo governo. La scelta di Salvini dello scontro personale con Conte ha avuto anche altri effetti poco favorevoli alla Lega: attenuare i contrasti che c’erano stati tra il Presidente del Consiglio ed i 5 Stelle, e predisporre la base degli stessi 5 Stelle ad accettare un accordo col PD.
È chiaro perciò che la versione messa in giro dalla sparuta, per quanto visibilissima, pattuglia antieuropeista della Lega, è solo una balla. Il presidente del Consiglio Conte nel giugno scorso aveva espresso il proprio dissenso contro il Fondo Monetario Europeo, denunciandone il carattere di comitato di controllo da parte di Germania e Francia sulle economie di tutta l’area UE. Se la priorità della Lega fosse stata davvero di bloccare il Fondo Monetario Europeo, quella esternazione di Conte sarebbe stata l’occasione per metterlo di fronte alle sue responsabilità e indurlo a liberarsi di Tria.
Il vero terreno su cui si è consumata la rottura, è stato invece l’autonomia differenziata, cioè l’aspirazione del gruppo dirigente leghista ad integrare la sedicente “Padania” in quella sorta di svizzerona per riccastri che è la Macroregione Alpina, a trazione bavarese e sotto la tutela della UE. Per l’obbiettivo dell’autonomia differenziata il gruppo dirigente leghista ha sacrificato non solo il governo ma anche lo stesso Salvini; e si è trattato per di più di un sacrificio alla cieca, operato su ordine dei propri referenti esteri, senza neppure avere ben chiare le prospettive. Ammesso che per la Lega il percorso della crisi vada tutto liscio, con una vittoria alle elezioni anticipate, potrebbero sorgere problemi persino con i nuovi partner di Fratelli d’Italia. Per quanto sia furbacchiona e opportunista la Meloni, sarebbe molto difficile per lei far digerire l’autonomia differenziata al proprio elettorato. Per capire come Salvini abbia potuto cacciarsi in questo ginepraio, occorre considerare che attualmente la presidenza di turno della Macroregione è della Lombardia e quindi si può immaginare che grado di euforia (e di conseguente perdita di lucidità), stia vivendo il vertice leghista.
È altrettanto chiaro che gli antieuropeisti della Lega non percepiscano la loro narrazione sulla crisi di governo come una menzogna, bensì la considerino, pirandellianamente, come un “aiutino alla verità”. Il Fondo Monetario Europeo rappresenta davvero la maggiore minaccia che oggi pesa sul destino dell’Italia. Mentre la Macroregione Alpina, per quanto destabilizzante nel suo percorso, rientra ancora nell’ambito dei “day dream”, il Fondo Monetario Europeo rappresenta invece uno di quegli incubi da cui si rischia di non svegliarsi più.
Il Fondo Monetario Europeo dovrebbe sostituire l’attuale Meccanismo Europeo di Stabilità e, nelle intenzioni della Germania, dovrebbe spazzare via quegli “azzardi morali” causati dal “quantitative easing” della BCE. Con l’istituzione del Fondo, ogni aiuto agli Stati dovrebbe essere condizionato al controllo dei conti e soprattutto al varo di “riforme strutturali”. Gli “azzardi morali” sarebbero riservati alla sola Germania che, con i soldi del Fondo, potrà salvarsi Deutsche Bank, scaricandone in gran parte l’onere sugli altri Stati europei.
Se per l’Italia l’istituzione del Fondo Monetario Europeo rappresenta una prospettiva così tragica, perché allora non si è cercato di fermare Tria, visto che Conte e i 5 Stelle non erano d’accordo con la sua sudditanza al progetto?
Questa è la classica “bella domanda” che ci rimanda alla condizione coloniale dell’Italia. Si tratta di decisioni già prese altrove, che non riguardano né il governo, né il parlamento. Magari i rapporti di forza, nella loro accezione più materiale, non sono neppure così stringenti, forse ci sarebbero i margini di un’opposizione. Purtroppo anche la potenza ideologica rientra nel rapporto di forza.
Si potrebbe persino accreditare Giovanni Tria della buona intenzione di non tradire il proprio Paese, ma Tria, come tutti gli uomini pubblici, è un “dossierato”, un ricattabile. I rapporti ambigui e gli scambi di favori di Tria con una sua consulente, sono già di dominio pubblico e gli stessi 5 Stelle hanno espresso a riguardo le loro preoccupazioni. Quegli scambi di favori di Tria potrebbero essere la punta di un iceberg da cui rischia di sortire un domani un’inchiesta giudiziaria da parte di una magistratura opportunamente imbeccata. Un’eventualità certa nel caso che il comportamento del ministro dell’Economia non fosse consono alle aspettative franco-tedesche.
Se la selezione del personale politico avviene in base al grado di ricattabilità, una politica anticoloniale non può permettersi di attendere i tempi lunghi e gli esiti incerti di un ricambio. Cacciare via Tria non ti garantirebbe che il sostituto sarebbe meno ricattabile. Si tratta invece di stabilire delle priorità. Una politica anticoloniale dovrebbe essere in grado di uscire dalla gabbia ideologica del moralismo e di garantire al Tria di turno la necessaria protezione nel caso fosse disposto a non svendere il proprio Paese. Il cerchio della ricattabilità non è un dato strettamente materiale, bensì si sostiene in base al vincolo ideologico della questione morale. Nulla di strano quindi che a condurre la campagna allarmistica sull’emergenza-corruzione sia un organo coloniale come la Banca Mondiale, che è diventata anche il referente ideologico della nostra magistratura.
La Lega non può diventare una forza anticoloniale a causa del separatismo strisciante del suo nocciolo duro, un separatismo troppo desideroso di protezioni e relazioni estere. Neanche i 5 Stelle però possono diventare una forza anticoloniale, a causa del loro moralismo e del loro feticismo giudiziario. In Italia l’anticolonialismo è ancora all’anno zero.
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