Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
I discorsi astratti sulla “sovranità” fanno perdere di vista il fatto che il potere si costituisce sulle emergenze e si riproduce per emergenze. Ciò senza bisogno di alcuna cospirazione ma per riflesso condizionato: allo stesso modo in cui i poveri cani di Pavlov salivavano al suono della campanella che annunciava il cibo, così al potere viene l’acquolina in bocca non appena intravede la possibilità di cavalcare un’emergenza.
L’emergenza Corona Virus ha rappresentato per le Regioni separatiste del Nord una ghiotta occasione, da cogliere al volo, per mettere in atto una sorta di colpo di Stato, scavalcando il governo e mettendolo di fronte al fatto compiuto. Alla fine di gennaio, prima che il Governo avesse assunto una linea riguardo alla questione del virus, la Regione Lombardia aveva già allestito
una “task force” per fronteggiare un ‘emergenza che non c’era, di cui anzi si negava l’esistenza.
Lo stile comunicativo della Regione Lombardia ha continuato a rivendicare questa “primazia”, tanto che nei
comunicati ufficiali la dizione è diventata “La Regione Lombardia e il Governo”. L’istituzione governativa è stata posposta a quella regionale, rovesciando le gerarchie istituzionali.
Che non si trattasse di mero stile comunicativo, è diventato chiaro quando il Governo, stanco di essere scavalcato e di trovarsi sempre messo di fronte al fatto compiuto, ha minacciato le Regioni di varare un provvedimento per irreggimentarle ad
un unico protocollo. Il Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha colto ancora una volta al volo l’occasione per rivendicare la propria autonomia d’azione, definendo “irricevibile” l’ammonimento del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
L’insolenza di Fontana non è velleitaria, poiché può approfittare del fatto che sulla questione dell’autonomia differenziata per le Regioni del Nord, il Governo ha la coda di paglia, ha il polpo nella manica, insomma ha la coscienza sporca. È stato infatti proprio il Governo Conte bis a concedere alla Lega tutto il concedibile in termini di autonomia differenziata, anche perché si trovava incalzato dagli autonomisti dello stesso PD, come il Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Per tacitare le Regioni del Sud, da sempre psicologicamente prone, al ministro piddino Francesco Boccia è bastato cavarsela con
qualche vaga promessa di garanzie.
Nella giornata di ieri il Governo, messo ormai con le spalle al muro, ha dovuto decidersi ad avallare pienamente l’emergenza virus ed a farsene carico in prima persona, decidendo di sospendere le lezioni scolastiche in tutta Italia, in modo da evitare che provvedimenti del genere venissero presi autonomamente dalle Regioni. Per mostrare di contare ancora qualcosa, il Governo ha dovuto far propria la linea della Regione Lombardia, cioè del nucleo puro e duro del gruppo dirigente della Lega.
Nei decenni i media hanno costruito attorno alla Lega una sorta di mitologia leninista, come se si trattasse di una specie di partito bolscevico dei ceti medi del Nord. In realtà l’organizzazione è troppo spesso il paravento, l’apparato illusionistico, di qualcosa di più cogente e invadente: il denaro. Ciò che appare all’esterno come disciplina di partito è in effetti un flusso di finanziamento che si rivolge sempre ai soggetti da preservare come capi. Il modo in cui a suo tempo Umberto Bossi liquidò il gruppo dirigente di quello che appariva il gruppo più forte e strutturato della aggregazione leghista, la Liga Veneta, può rappresentare un esempio paradigmatico. L’autonomismo veneto e l’autonomismo lombardo non sono complementari ma concorrenziali. Se il conflitto latente non è esploso, è perché i finanziatori hanno fatto sinora scelte univoche.
La sicumera del gruppo dirigente della Lega (il gruppo dirigente vero, non Matteo Salvini) ha quindi il suo fondamento nella certezza di storici e
saldi agganci internazionali. Si tratta di rapporti con l’autonomismo bavarese ma anche con le destre autonomiste austriache, come quella della Carinzia.
Il dato curioso è che le notizie a riguardo sono soprattutto di diretta fonte leghista, dato che i media continuano a perpetuare la finzione salviniana della Lega partito “nazionale”. Un esempio per tutti, la celebrazione leghista dello scomparso leader austriaco Joerg Haider, ovviamente
grande “amico della Padania”.
Sia Haider che la Lega hanno però avuto a disposizione un benefattore comune, l’Intereg di Monaco di Baviera. È da questo “centro studi” internazionale sulle autonomie regionali che partono i finanziamenti per le formazioni politiche autonomiste di tutta Europa. Stranamente, pur da posizioni radicalmente (o apparentemente?) opposte a quelle della Open Society Foundation di George Soros,
l’Intereg di Monaco di Baviera rappresenta un modello del tutto analogo di manipolazione e destabilizzazione interna ai vari Stati.
Ringraziamo “Cassandre” per la collaborazione e le segnalazioni.
La diffusione del virus in Italia porta conferme e novità in politica, economia e lavoro: uno storico passo lungo verso il futuro. Aspetti curiosi e paradossali e un grande cambiamento epocale.
In politica
In Toscana per solidarietà ai cinesi il governatore-presidente Enrico Rossi compie eroico e dovuto atto di solidarietà con la comunità cinese per un principio di non-discriminazione, tacciando
fascioleghista chi lo critica.
D’altra parte la Lega vanta di amministrare le regioni con la miglior sanità d’Italia, come la Lombardia. Davvero
brutta notizia al Policlinico di Milano dove uno dei contagiati è proprio un dottore, e neanche l’ultimo novizio bensì uno che coordina degli specializzandi.
Passa qualche giorno e mentre il governo litigarella con le regioni per prendere in mano la sanità, si ammala una persona che collabora col governatore lombardo Attilio Fontana il quale si autoisola e mette la mascherina facendo un self-video che è come dire “guardate noi lumbard siamo coscienziosi, attivi e reattivi di fronte all’emergenza, mica quei cialtroni che stanno al governo”: peccato che il tono della comunicazione qualifichi
cialtrone pure lui.
La realtà la intuisce chiunque, per scoprirla avevamo bisogno del
contributo di un esimio professore:
1. dall’estero sono ritornati in Italia tante persone, qualcuna ha portato il virus
2. al nord c'è più movimento, gira più gente, c'è più probabilità di diffusione che al sud
3. gli ospedali, ovunque siano, sono il luogo dove se entra un virus allora è un disastro si diffonde al massimo
In parole povere: meno movimento, tutti a casa, meglio è.
D’altra parte la situazione è veramente mal decifrabile. Le notizie sono contrastanti e le azioni del governo sembra seguano l’umore della giornata.
• Prima “non cediamo all’allarmismo” e si fanno blandi controlli su coloro che rientrano.
• Poi “scoppia il focolaio” e nel lodigiano ti trovi
35 posti di blocco con i militari dell’esercito e nessuno può uscire
• Quindi tutta una serie di provvedimenti casual tipo chiusura scuole, partite sospese, lavoro da casa, con sempre e comunque strascico di polemiche che fanno gastrite.
• Poi la mortalità percentuale è comunque bassa quindi torniamo alla normalità.
• Nel mentre non ci mancano le cose ganze: il neologismo “infodemia” cioè l’epidemia che si diffonde con l’informazione; e
flash mob in varie città per “combattere” il coronavirus
La questione vera è: questo maledetto virus è così grave oppure no?
• A vedere le scene tv dalla Cina, sì.
• A vedere la risposta italiana: un giorno sì e un giorno no.
Del resto è sempre facile criticare, ma che cosa avrebbe fatto ciascuno di noi se fosse stato al potere? Fermare il paese come in Cina oppure andare avanti in qualche modo accettando sconosciute conseguenze e sperando bene?
Assumendo la buona fede di chi ci governa (ma anche ragionevolmente assumendo una certa dose di viltà collegata al ruolo istituzionale) si può desumere:
• che questo virus non è così terribile
• che da noi non è come in altre parti del mondo, per davvero
• che le conoscenze scientifiche acquisite giorno dopo giorno ridimensionano il problema
Insomma, un declassamento d’ufficio del problema: da uragano tropicale a vento forte.
In economia
Il fatto è che il virus porta conseguenze economiche. Sarebbe devastante fermare il paese già in recessione tecnica. Da considerare che le prime stime di impatto della crisi sono dell’ordine di mezzo punto percentuale in meno sul PIL, una decina di miliardi volati via come niente.
Queste stime sono da verificare sui singoli settori:
• settori esposti come viaggi e turismo, disastro
• la gran parte dei settori economici, un po’ male
• settore sanitario, bene assai
• il più cinicamente goloso risvolto del virus è lo sviluppo del vaccino: farà miliardi
la prima biotech che lo mette sul mercato
• in generale, comunque,
nella settimana 21-28 febbraio le principali borse registrano perdite per oltre il dieci per cento
Ci sarebbe da dire: ma come, le borse crollano per una epidemia … declassata a forte influenza? Quel che appare è: i due fenomeni sono solo incidentalmente collegati. Le quotazioni borsistiche da anni sono eccessivamente alte per causa del “flood money” delle banche centrali, da tempo si attendeva lo scoppio della bolla. Che questo avvenga adesso, lo scopriremo nei prossimi giorni. Riserviamo l’esatta previsione ad analisti più competenti e documentati, ma l’impressione di chi scrive è che ci sarà un riallineamento dei valori di borsa un poco sotto i livelli precedenti.
Al lavoro (nel terziario-servizi specialmente)
Se il contagio si trasmette per contatto tra persone, eliminare il contatto significa eliminare il contagio. Ecco dunque che il mondo del lavoro non si ferma grazie allo smart working applicato specialmente presso grandi aziende del settore servizi-terziario: ecco che cosa
accade lunedì 24 febbraio primo giorno dell’emergenza in Italia.
• Prima del coronavirus ne usufruivano
circa mezzo milione di lavoratori
• Guardando al futuro, in ottica di estensione le stime sono
tra cinque e dieci milioni di lavoratori
“Smart” significa “intelligence, furbo, sveglio”. “Working” significa lavorare. Per la normativa italiana in materia, non si sa come
la legge 81/2017 agli articoli da 18 a 24 ha tradotto il termine in “ lavoro agile”
Ci sarebbe da questionare sul significato di questa scelta, “agile” forse è più adatta agli sportivi professionisti, ma tralasciamo e andiamo al sodo. La legge norma la possibilità di condurre il lavoro in modalità innovative rispetto al passato: “
articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato". Ecco una
breve guida alle previsioni normative.
Nella pratica concreta il lavoro agile era finora la possibilità di lavorare da casa un giorno ogni tanto (es. un giorno al mese, ma anche un giorno alla settimana) connettendosi in rete e usando strumenti aziendali come il notebook.
Alcune note:
• sebbene lavoro agile e lavoro da casa siano in pratica sinonimi, il lavoro agile si può fare anche in qualsiasialtro luogo
• è l’azienda che propone al lavoratore il lavoro da casa come gentil concessione, il lavoratore può anche rifiutare
• il lavoratore ha dritto alla disconnessione cioè nell’ambito di un accordo di organizzazione del lavoro può in determinate modalità disconnettersi dal computer/cellulare (un diritto palesemente difficile da garantire, per ovvie ragioni)
• il lavoro agile è differente dal telelavoro, quest’ultimo caratterizzato come lavoro sempre a distanza ed eccezionalmente in modalità diretta
• Il lavoro agile necessita di un accordo tra datore di lavoro e lavoratori, generalmente previsto nei contratti di lavoro nazionali.
• Con riferimento al punto precedente, al fine di risolvere la situazione di blocco del nord Italia, il governo il giorno 25 febbraio ha fatto (bene) un decreto che estende la possibilità d lavoro agile anche dove non c'è l’accordo, provvisoriamente fino a 15 marzo per tutto il Nord Italia
La combinazione del coronavirus con il decreto di urgenza del 25 febbraio ha determinato una realtà lavorativa incredibile.
Molti giorni a casa a lavorare e molti lavoratori rispetto al totale addetti (anche oltre 50%)
Per tre settimane la parte più popolata e produttiva del paese sperimenta in modo massiccio e diffuso il lavoro agile / da casa.
Questa sperimentazione forzata determinerà sicuramente un cambio di passo nella percezione e nella applicazione del lavoro agile.
• il lavoro da casa è immediatamente un vantaggio per il lavoratore perché permette di non viaggiare risparmiando soldi, tempo, disagi; permette anche il c.d. work life balance cioè stare dietro a esigenze proprie-familiari
• il lavoro da casa sarà sempre più ben visto e accettato da parte delle aziende, non è difficile immaginare un futuro ribaltato cioè 4 giorni a casa e 1 in sede, con buona pace della definizione di telelavoro
• ci si rende conto che non serve aggregare tanta gente a lavorare in sedi aziendali, anzi per l’azienda è complessivamente più economico far lavorare propri dipendenti da casa
• ci si rende ulteriormente conto che tanta parte del lavoro attuale, specialmente nel terziario, produce poco o niente e, se lo elimini, lo scostamento sulla produzione complessiva è poca cosa
• si stima che lavorare da casa permetta
+15% produttività: in che modo azienda e lavoratore suddivideranno la maggior produzione?
• il diritto alla disconnessione appare subito per quel che é: per ovvie ragioni di contesto è poco realizzabile
• separare i dipendenti dalla sede fisica di lavoro significa di fatto estraniare le persone da un luogo simbolico di appartenenza
• come non cogliere al balzo l’idea di rimodulare il contratto di lavoro magari statuendo che chi lavora da casa è in qualche modo di serie B mentre i pochi che lavoreranno in sede saranno in serie A
Questi ed altri cambiamenti a mio avviso configurano un “passo lungo” della storia del lavoro.