Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Paolo Finzi è stato un'anima viva dell'arcipelago anarchico italiano.
La più "rispettabile" perché rispettosa dell'etica liberale che contrassegna l'umanitarismo borghese.
Non è un giudizio critico, ma una constatazione storica.
In questa veste si è prodigato nel diffondere il pensiero anarchico e libertario, trovando ampio spazio – soprattutto grazie alle sue capacità empatiche e comunicative – in ambiti e ambienti limitrofi al movimento.
Sicuramente Paolo Finzi, dalla strage di Piazza Fontana, alla morte di Pino Pinelli , ai tanti eventi e appuntamenti che hanno visto coinvolti e protagonisti gli anarchici dal ’68 all’ora attuale, non si è mai risparmiato, generoso nel vivere la sua anarchia e di trasmetterla con la forza dell’esempio.
Come molti di noi, ho incontrato e frequentato Paolo alla redazione di “A rivista anarchica” – una fra le tante sue creature – dal mio primo articolo pubblicato alla fine degli anni ’70, all’ultimo articolo rifiutato qualche anno fa.
Il buffo è che entrambi avevano come tema l’erotismo.
E allora, Paolo, per l’AMORE GAGLIOFFO che ci ha combattuto, lasciati abbracciare ancora una volta.
JOE (Gianfranco Marelli)
Continua l’offensiva euro-mediatica per indurre il governo italiano ad accedere ai prestiti del Meccanismo Europeo di Stabilità. Stavolta è sceso in campo il segretario generale del MES, l’italiano Nicola Giammarioli, che ha ripetuto l’ormai
consueta litania: nessuna condizionalità, “tranne” che i fondi siano destinati a spese sanitarie per l’emergenza Covid; e poi tassi di interesse che “sarebbero” inferiori al tasso di mercato. Dato che il MES a sua volta dovrebbe rastrellare sul mercato i fondi per l’Italia, la rassicurazione è che, in base alle “analisi” dell’istituto, il costo aggiuntivo per lo stesso MES, e quindi per l’Italia, “dovrebbe” essere pari a zero. In definitiva, anche volendo rimanere strettamente nel campo delle rassicurazioni ufficiali, una condizionalità (e pure pesante: la destinazione sanitaria) comunque c’è; e poi ci sono anche vari verbi condizionali.
Da mesi i media presentano i 5 Stelle come l’ultimo ostacolo da superare per accedere ai “benefici” del MES. Molte delle argomentazioni sanno di
coercizione morale e persino di psicologia della truffa, come nel caso del povero Pinocchio al Campo dei Miracoli, cioè la tipica tecnica per persuadere la vittima del raggiro che sarebbe da scemi non approfittare di tanta fortuna.
In realtà l’accesso ai prestiti del MES potrebbe essere un’opzione da rifiutare anche nell’eventualità (irrealisticamente ottimistica) che le rassicuranti valutazioni tecnico-contabili che vengono offerte, fossero autentiche. La politica non dovrebbe ridursi alla sola presa d’atto di valutazioni tecnico-contabili. Si potrebbe infatti adottare una valutazione esclusivamente politica sui rischi di contenzioso col MES che il vincolo sanitario rischia di aprire. In fondo, cos’è spesa sanitaria e cosa non lo è? Il ministro della Salute, Roberto Speranza, afferma di avere già un bellissimo piano per spendere quei fondi; ma i problemi sanitari, per definizione, lasciano un larghissimo margine all’imprevisto. Con tanti fronti di negoziato aperti, può non essere conveniente esporsi anche ad accuse, più o meno pretestuose, di star facendo i furbi nella gestione dei fondi MES.
Persino la preoccupazione di una parte dei 5 Stelle di non calarsi del tutto le brache davanti al “più-europeismo” ed ai suoi rituali di sottomissione, non dovrebbe essere di per sé ritenuta illegittima o “populista”, poiché nei rapporti internazionali non sono da trascurare le considerazioni di prudenza e di decoro. Che le considerazioni di prudenza e decoro non impressionino una lobbista psicopatica come Emma Bonino è del tutto normale, ma è strano che uno che passa da persona di buonsenso, come Nicola Zingaretti, non si faccia di questi scrupoli. Se il prezzo per accedere al MES, è l’umiliazione di un alleato di governo, ciò comporterebbe un’umiliazione di tutto il governo italiano nei confronti degli altri governi europei. Possibile che Zingaretti non ci arrivi?
Si potrebbe infatti accettare l’europeismo come un contesto obbligato dei rapporti internazionali dell’Italia ma, al tempo stesso, preoccuparsi di non avallarne gli squilibri e gli eccessi gerarchici. Non ci si accontenta però che i 5 Stelle abbiano aderito in toto all’europeismo, si pretende da loro un entusiasmo incondizionato e plaudente. Una formazione politica che ha come massima aspirazione nella vita una misura tecnico-contabile come il dimezzamento del numero dei parlamentari, non è certo in grado di reggere ad un simile lavaggio del cervello, ma non sta nelle sorti dei 5 Stelle, o del governo Conte, il vero problema.
Il quadro è infatti questo: la tecnocrazia (o sedicente tale) detta le scelte, mentre alla politica spetta solo di suscitare e organizzare l’entusiasmo popolare attorno a quelle scelte. Scacciata dal regno delle decisioni che contano, la politica trova la sua unica ragion d’essere nella propaganda, in una “pedagogia” sociale che ha tutti i crismi dell’infantilizzazione, del rincretinimento delle masse per indurle all’abbandono fiducioso nelle braccia della divinità europea.
Si ricorderà quella risoluzione del parlamento europeo dello scorso anno sull’
equiparazione tra nazifascismo e comunismo. Ci sono state molte polemiche sul contenuto della risoluzione ma, stranamente, nessuna obiezione sulla sua legittimità. Che c’entra infatti un voto parlamentare con una questione di carattere storico? È infatti tipicamente totalitaria la pretesa di formulare una dogmatica ufficiale rispetto a interpretazioni storiografiche e filosofiche.
Si potrebbe giustamente osservare che risulta abbastanza ovvio che un parlamento privo di poteri effettivi come quello di Strasburgo, finisca per occuparsi a tempo pieno di propaganda; ma il problema è che il parlamento europeo rappresenta appunto il modello e il destino della politica in quanto tale. Compito della politica è diventato infatti quello di educare le masse all’orrore nei confronti delle ideologie brutte e cattive, per affidarsi invece alla “scienza” ed alla “tecnica”, o sedicenti tali.
Alcuni commentatori hanno sarcasticamente rilevato l’incoerenza di un’Unione Europea che condanna il nazismo e poi si alleva i nazisti ucraini; ma, a ben guardare, c’è di peggio. Sembra infatti che l’esito storico del liberalismo trionfante sia quello di un totalitarismo delle tecnocrazie; o meglio, delle lobby affaristiche che si ammantano di quest’etichetta. Sul piano dottrinario liberalismo e liberismo sarebbero cose molto diverse, eppure sono stati i regimi liberali ad esautorare lo Stato della funzione monetaria e ad affidarla a lobby private del credito.
Il liberalismo ideale di Locke e di Montesquieu consisteva in una separazione ed in un bilanciamento dei tre poteri politici (esecutivo, legislativo e giudiziario), non in una cessione del potere a lobby private. Il liberalismo reale si è rivelato tutt’altro rispetto all’ideale astratto, cioè si è ridotto ad una tecnica di preventiva autoassoluzione delle oligarchie occidentali, le quali avrebbero il monopolio delle competenze (dei “saperi”, direbbe Michel Foucault); per cui il torto starebbe sempre dalla parte dei popoli inferiori e delle classi inferiori. Si tratta quindi di razzismo mascherato da tecnocrazia; ma il liberalismo reale, il liberalismo storico, si è concretizzato appunto in un razzismo così subdolo, pervasivo e onnipresente da diventare impercettibile e scontato come l’aria che si respira.
I genocidi di Hitler e Stalin sono da condannare quotidianamente, mentre i genocidi operati dal colonialismo britannico, francese e belga sono dettagli di cui ci si ricorda ogni tanto e quindi sono ignoti ai più. Nel “Mein Kampf” Hitler ci spiegava che i suoi modelli erano il colonialismo britannico e la segregazione razziale statunitense, compresa l’eugenetica statunitense. In quel periodo il razzismo e l’eugenetica erano la “scienza”, la scienza ufficiale della “civiltà occidentale”, mentre oggi ci vengono spacciati come mere perversioni ideologiche di Hitler.
Se non fosse stato per le esigenze propagandistiche della guerra fredda contro il vituperato comunismo, la segregazione razziale negli USA non sarebbe mai stata abolita. Dalla rivolta di Ferguson del 2014 gli USA sono nuovamente attraversati da tensioni razziali, che non sono genericamente originate solo da un “disagio” sociale o dalle violenze poliziesche, ma si inseriscono nel contesto di un sistema penale che gestisce il lavoro schiavistico, da parte di aziende private, di oltre due milioni di detenuti, in maggioranza neri e ispanici.
Episodi di rivolta e di sciopero hanno infatti attraversato negli ultimi anni anche le carceri.
La segregazione razziale è stata quindi reintrodotta negli USA con altri metodi. Il sistema dello sfruttamento del lavoro dei detenuti è stato rilanciato in grande stile negli anni ’80, ma negli anni ‘20 e ’30 dello scorso secolo quel sistema concentrazionario di lavoro coatto era già in funzione (infatti è stato descritto nel famoso film del 1932 “I am a fugitive from a chain gang”) e quindi non ci vuole molto a comprendere dove Hitler, ed anche Stalin, abbiano trovato certi modelli da imitare.
La contiguità tra il nazifascismo e le pratiche coloniali e razziali dei regimi liberali è dal punto di vista storiografico la classica scoperta dell’acqua calda; rimane però ai margini del dibattito a causa della capacità dei regimi liberali di autoassolversi e di occupare stabilmente lo scranno del giudice che inquisisce i misfatti altrui. Di qui anche l’attrattiva che il regime liberale esercita su tutti quelli che intendono garantirsi preventivamente lo status di innocenza.