Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Per narrare l’attuale
euforia al rialzo delle Borse, i media mainstream hanno fatto ricorso ad un risvolto “umano”. La notizia della scoperta di vaccini per il Covid starebbe illudendo gli operatori finanziari su una prospettiva di ritorno a quella normalità che costituirebbe il desiderio di ognuno. Le Borse sarebbero quindi più ottimiste del dovuto.
In realtà la marcia indietro della multinazionale farmaceutica anglo-svedese Astrazeneca a proposito dei suoi test sui vaccini, semmai allontana la possibilità di un rapido ritorno alla normalità. Potrebbe darsi perciò che a “gasare” le Borse sia, al contrario, la prospettiva di una prosecuzione dell’emergenza a tempo indeterminato. Se i PIL crollano e gli indici di Borsa schizzano alle stelle, ciò indica che la speculazione finanziaria e l’economia hanno ormai poco a che vedere l’una con l’altra. Ma questo è ancora niente: i governi limitano la libertà di circolazione dei cittadini ma non la libertà di circolazione dei capitali, perciò i mitici “mercati” (cioè le multinazionali finanziarie) sono autorizzati a gonfiare bolle speculative, il cui scoppio avrebbe effetti ancora più devastanti per l’economia. Il moralismo punitivo dettato dall’emergenza sbarra le discoteche ma si arresta intimidito davanti alle Borse.
L’emergenzialismo è uno schema comportamentale caratteristico di ogni potere in ogni epoca. L’emergenza è un “doping” del potere, poiché spiazza ogni opposizione ed ogni punto di vista ideologico in nome di una presunta incombente “oggettività”, che è in effetti una super-ideologia in grado di sottomettere tutte le altre. Se negli ultimi cinquanta anni l’emergenza è diventata sempre più ricorrente, e addirittura cronica, ed il potere si è drogato di emergenza, ciò è dovuto all’intreccio del potere con i mezzi di comunicazione di massa, che sono in grado di fabbricare realtà virtuali. Ogni emergenza, per quanto pretestuosa, tende poi ad autorealizzarsi, in quanto la gestione emergenziale crea effettivamente caos.
L’emergenzialismo non congeda soltanto le altre ideologie ma soprattutto la logica, per cui il potere può autoassolversi dalle sue magagne passate ed, anzi, trarne nuova linfa per rafforzarsi. L’emergenza Covid è stata giustamente paragonata a quella dell’11 settembre 2001, infatti oggi come allora un potere può rivolgersi ai suoi sudditi con questo “sillogismo”: io mi sono dimostrato incapace di proteggere la tua incolumità, quindi fidati ciecamente di me e riconoscimi poteri assoluti. Oggi come allora la dietrologia delle ipotesi cospirative viene evocata per distrarre dall’evidenza plateale dei paradossi veicolati dall’emergenza.
L’emergenzialismo è uno schema comportamentale, perciò non ha alcun bisogno di essere concertato o adottato consapevolmente: basta che qualcuno dia il via ed i vari gruppi di potere e di affari si allineano in cordata. Qualunque segnalazione della pretestuosità di un’emergenza verrà comunque etichettata come “teoria della cospirazione”. In generale vale il criterio secondo il quale “teorie della cospirazione” sono sempre quelle degli altri e mai le proprie.
Già il termine “teoria” è in questo caso abbastanza discutibile, poiché si ha a che fare più con la tecnica comunicativa, cioè con la propaganda.
Le narrazioni cospirative nascono infatti all’interno dei vari poteri, per essere applicate ai nemici di turno, i “poteri cattivi”. La narrazione cospirativa serve quindi ad accreditare indirettamente l’esistenza di un “potere buono” che ci difende. Negli anni ’50 e ’60 la propaganda USA attribuiva il traffico di droga all’URSS ed alla Cina. Negli anni ’70 e ’80 Mosca era presentata come l’ispiratrice e la finanziatrice del terrorismo: la giornalista americana Claire Sterling ci scrisse su vari libri, tanto da far avviare un processo in Italia contro i servizi segreti bulgari per l’attentato a papa Wojtila. Ovviamente non si trovò nessuna prova, ma quello comunque non fu mai considerato “complottismo”, dato che era rivolto contro i nemici, i “cattivi”.
Oggi ci si racconta che la Russia ha i suoi hacker e i suoi “troll” con cui infetta la comunicazione occidentale. Putin avvelena anche i suoi oppositori interni, soprattutto se cercano scampo all’estero. Se si raccontasse semplicemente che Putin ammazza i suoi oppositori con incidenti d’auto o buttandoli dalle scale, la cosa non farebbe tanto effetto, dato che, in un modo o nell’altro, lo fanno tutti. Se invece ci si racconta che li ammazza col polonio radioattivo o col gas nervino, la narrazione diventa più avvincente e suscita più orrore. Gli USA devono giustamente narrarci dei complotti russi, così non facciamo caso a ciò che invece gli stessi USA commettono platealmente, alla luce del sole e sotto le telecamere: gli ambasciatori statunitensi che hanno capeggiato la rivolta in Siria nel 2011 ed ora lo fanno in Libano; il senatore John McCain buonanima, che nel 2013 andava a guidare il colpo di Stato in Ucraina; per non parlare poi del sito del Dipartimento di Stato USA, che ci dà conto sfacciatamente di tutti
i finanziamenti che elargisce alle sue ONG che vanno in giro ad intossicare il pianeta.
Dall’avvento negli anni ‘80 dei cosiddetti Neocon, le narrazioni sui complotti russi e islamici hanno assunto un tono sempre più iperbolico e “trash”; la lotta tra il bene e il male si trasferisce anche all’interno del Sacro Occidente, diviso tra governanti inetti, pavidi e “pacifisti” da un lato e governanti decisi e dotati di spirito guerriero dall’altro lato. In Italia è il quotidiano “Il Foglio” a rilanciare
la narrazione “dopata” dei Neocon.
Tra i “pacifisti” additati al pubblico ludibrio dai Neocon ci sono guerrafondai del calibro di Clinton e Obama, ed ora persino Trump. In risposta alla propaganda Neocon è nata una narrazione cospirativa alternativa, ancora più trash, quella di QAnon, una fonte anonima che ci racconta la lotta del potere “buono”, cioè Trump, contro le trame dello Stato profondo e di altri poteri occulti, dediti a pratiche nefande. Trump vorrebbe fare chissà che cosa per il nostro bene, purtroppo ci sono quei cattivoni a legargli le mani ed a remare contro.
Per comprendere
le narrazioni cospirative dei Neocon o di QAnon, occorre affrontarle non come tentativi, per quanto rozzi e fanatici, di ricostruire gli eventi, bensì come una tecnica di propaganda: la narrazione cospirativa è un veicolante, un acceleratore, ed anche un moltiplicatore, dell’effetto comunicativo.
Se dico che la Terra è piatta, nessuno mi dà retta; ma se dico che c’è un complotto per far credere che la Terra è sferica, allora tutto diventa più “intriguing” e sollecita attenzione, o addirittura preoccupazione. Il terrapiattismo potrebbe addirittura infettare i giovani. I media accreditano ormai l’esistenza di una vera e propria “emergenza terrapiattismo”, spacciando per una teoria folle quella che è in realtà una sperimentazione comunicativa.
Trump non corrisponde per niente al personaggio eroico della narrazione di QAnon, poiché le sue retoriche proteste anti-Covid hanno preso a bersaglio un soggetto debole come l’OMS, che è certamente una lobby dei vaccini ma non aveva alcuna voglia di arrivare a certi estremi come il lockdown.
Il vero sponsor del lockdown è stato invece il Fondo Monetario Internazionale, e quello lì non si può toccare.
Quando il 20 ottobre del 2019, il presidente uscente della Bolivia, vinceva con il 47.08 % dei voti contro il 36.51% del suo antagonista Carlos Mesa,
l’Organizzazione degli Stati americani (OSA), braccio armato degli USA nella regione - e
che Morales considerava come il “Ministero delle colonie” - , esprimeva preoccupazione perché alcune “irregolarità” avrebbero dimostrato che il governo aveva orchestrato dei brogli elettorali su vasta scala. In realtà, nei conteggi preliminari il rapporto era del 45,07% per Morales contro il 37,8% di Mesa, candidato della destra; un risultato che avrebbe portato, secondo la legge elettorale boliviana, al secondo turno. Ma l’avanzata di Morales nei risultati finali non ha niente di straordinario, visto l’arrivo in ritardo delle schede provenienti dall’Altiplano, e diversi studi dimostravano che non c’erano state irregolarità. Eppure l’OSA [un’organizzazione che dietro il consueto paravento della difesa dei diritti umani, svolge una costante opera di destabilizzazione in Sudamerica] continuava a denunciare brogli, e a quel punto la stampa e i media internazionali si sono impegnati a sostenere quella tesi. La copertura mediatica offerta dai mezzi di informazione di obbedienza occidentalista è stata impressionante per uniformità comunicativa, soprattutto perché l’ordine implicito di Washington è stato accettato supinamente, nonostante l’evidenza clamorosa della vittoria di Morales.
France Inter ironizza : “La rielezione dell’apprendista caudillo Morales è un miracolo (23 ottobre);
Charlie Hebdo: “E’ evidente che il governo boliviano ha scelto di truccare i risultati” (30 ottobre);
Washington Post : “Il presidente boliviano ha deciso di falsificare i risultati(…) per ottenere una vittoria al primo turno” (11 nov.);
New York Times : Morales “… aveva fatto ricorso a menzogne, manipolazioni e falsificazioni per assicurarsi la vittoria” in delle elezioni “fraudolente”. (5 dic.)
Le Monde: partendo dalla convinzione che Morales stava avendo una deriva autoritaria e che i leader autoritari controllano le elezioni, la frase “Morales ha vinto le elezioni presidenziali” diventa “Morales si è autoproclamato presidente”. (14 nov.)
• Dietro la pressione delle provocazioni e della propaganda dell’OSA, scoppiano disordini e sollevazioni nel paese. Persino la principale confederazione sindacale boliviana (Cob) abbandona il presidente.
• I generali dell’esercito, con un imprevisto voltafaccia, si allineano intimando al presidente di fare un passo indietro.
• Jeanine Añez, senatrice di secondo piano, ed esponente della destra Pro-life si autoproclama presidente, senza quorum in parlamento.
• Morales lascia il paese…….
La narrazione mediatica francese è piuttosto omogenea. Da Le Monde a Mediapart, da France Info a Le Figaro la linea è la stessa: Morales si è dimesso dopo tre settimane di contestazioni, sotto la pressione della piazza e a causa di una insurrezione popolare; il rovesciamento del presidente è stato accolto nelle strade di La Paz da scene di giubilo, canti, lacrime di gioia…”
Si profila quindi un colpo di Stato o l’ennesima “ rivoluzione colorata”. Eppure qualcosa non torna, nel racconto della crisi in Bolivia: in realtà il paese andino viveva un piccolo “miracolo economico” con una aspettativa di vita passata in un ventennio da 56 a 71 anni, la povertà assoluta più che dimezzata (dal 35% al 15 %), una disoccupazione al 4% e una crescita del PIL al 4,1% (il migliore del Sudamerica) Molto è frutto di sussidi, creazione di reti idriche, elettriche, e l’adozione di un programma di assicurazione sanitaria universale.
Nella stampa internazionale, tutti concordano sul fatto che non si è trattato di un colpo di Stato, e allora che cos’era? E se Morales era un leader estremamente popolare, come spiegare questa deriva e i presunti brogli?
Observer (settimanale britannico di sinistra): “L’ex presidente è stato vittima del suo rifiuto di cedere le redini del potere (…) e il suo regno ha mostrato segni di un culto della personalità sgradevole, addirittura castrista.(17 nov.)
New York Times: “A far cadere Morales non è stata la sua ideologia o qualche tipo di interferenza estera, come ha sostenuto, ma la sua arroganza, caratteristica comune a ogni populismo (…) la pretesa di essere l’arbitro ultimo della volontà del popolo e di poter schiacciare qualsiasi istituzione voglia mettersi sul suo cammino” [11nov.)
Quando Morales annuncia dal suo esilio di volersi ricandidare alle successive elezioni presidenziali, Le Monde lo mette in guardia: “Sarebbe un altro errore. Se ha davvero a cuore l’interesse dei suoi concittadini, Morales farebbe meglio a ritirarsi, in modo tale che in Bolivia la violenza possa cessare e si possa seguire una via costituzionale. [11.nov.]
Intanto il nuovo governo boliviano decide di perseguire Morales per “terrorismo e sedizione”, un capo d’accusa perseguibile con 30 anni di reclusione e che impedisce la candidatura.
Il nuovo governo boliviano continua a ricevere riconoscimenti e, curiosamente, anche Putin si affretta a farlo. Per la maggior parte dei commentatori internazionali, la denuncia di Morales, di essere stato vittima di un golpe, appare inconsistente. Se un presidente che ha vinto con un importante scarto di voti sul suo avversario, viene poi costretto a lasciare dall’esercito, non sembrano esserci gli elementi di un colpo di Stato …
Il sociologo Hugo Suarez, intervistato, alla domanda: “Jeanine Añez è legittima?”[1] risponde “Sì, sì, sì” E l’esercito? “E’evidente che si tratta di un esercito costituzionale”
Anche l’estrema sinistra altermondialista sbanda tra chi sostiene la tesi del golpe, chi si trincera dietro un “il problema è più complesso”, e chi avversa apertamente quella tesi. La rivista altermondialista ATTAC pubblica una Lettera aperta al movimento altermondialista, redatta da Pablo Solon, ex ambasciatore boliviano all’ONU: “Il presidente Evo Morales ha dichiarato (…) che in Bolivia è in atto un colpo di Stato. Mi dispiace molto dovervi dire che quest’affermazione di Evo Morales è completamente falsa.”
Per avere un’idea, anche solo approssimativa, di cosa potrebbe significare un avvento permanente di un governo che rispetti i diritti umani delle multinazionali, basti ricordare che in meno di un anno al potere, il governo di Jeanine Añez , tra l’altro, ha
favorito apertamente gli interessi dell’agrobusiness, liberalizzando le importazioni/esportazioni di prodotti agroindustriali a partire dal 2020 // incoraggiato la deforestazione // autorizzato l’ingresso degli organismi transgenici nel paese //autorizzato l’aumento dei tassi di interesse bancari // ridotto l’aliquota fiscale per le grandi imprese // a causa della pandemia, ha offerto nuovi terreni al settore agro esportatore // ha raccolto 600 milioni di dollari da fondi pubblici per pagare i debiti della grandi aziende private // La campagna di privatizzazioni delle imprese pubbliche (compagnie telefoniche ed elettriche) ha incontrato resistenze importanti // In compenso, nel giro di pochi mesi, la spesa statale boliviana per le importazioni di armi per equipaggiare la polizia è aumentata di 18 volte rispetto al 2019.
Inversione di rotta
A giugno 2020, cambia tutto. Il 7 giugno, il NYT svela le conclusioni di un nuovo studio che demistifica i risultati del rapporto OSA. Rivedendo i calcoli statistici dell’organizzazione, i ricercatori hanno riscontrato diversi “problemi ed errori metodologici.” L’OSA “avrebbe utilizzato un metodo statistico inadatto che ha dato l’illusione di una rottura del trend dei voti” . Il New York Times è costretto ad ammettere che il rapporto OSA era “sbagliato”. In altre parole, la Bolivia ha subito un’interruzione dell’ordine costituzionale appoggiata dall’esercito: un colpo di Stato.
Ma Le Monde insiste: il NYT non fa che “rilanciare il dibattito sui presunti brogli”. Libération giudica l’analisi dei nuovi studi troppo complessa, mentre aveva condiviso le conclusioni del rapporto OSA senza troppe difficoltà.
Le Figaro, Libération e Le Monde utilizzano lo stesso tipo di argomentazione : “Non si è trattato di un colpo di Stato, ma di un vuoto costituzionale”.
Le informazioni e le notizie di queste note sono tratte da un articolo di Le Monde diplomatique , ottobre 2020. L’articolo prende in esame la stampa francese e anglosassone, ma non sarebbe difficile trovare gli stessi orientamenti nei media degli altri paesi. Il titolo dell’articolo è “Bolivia, cronaca di un fiasco mediatico – la sconfitta di Evo Morales, una “fake news” su grande scala”. In realtà, oltre al fiasco mediatico, è molto probabile che si sia trattato di un fiasco politico militare per gli Stati Uniti e l’OSA.
Il 18 ottobre 2020, le elezioni con voto elettronico cancellano il colpo di Stato di novembre. Janine Añez, che si era autoproclamata Presidentessa provvisoria con il tacito consenso delle Forze Armate, ha messo da parte le sospette ma inevitabili lentezze della verifica ufficiale e manuale, riconoscendo pubblicamente la vittoria con il 53% dei suffragi, del candidato del Movimento per il Socialismo (MAS), Luis Arce, ex ministro dell’Economia del presidente costretto all’esilio, Evo Morales, vincitore simbolico della consultazione e destinato quanto prima a tornare un protagonista della politica nel paese andino.
E’ evidente che qualcosa non ha funzionato nella strategia dei golpisti. Non ha senso cacciare Morales dalla finestra per poi farlo rientrare dalla porta. Quel che è certo è che il blocco popolare formato dal MAS e da Morales si è rivelato molto più solido di quanto si credesse. Così come è chiaro che gli equilibri interni alle Forze Armate, non hanno consentito che si spingesse la situazione verso la guerra civile. Ma è evidente che qualcosa si è inceppato anche nella logica dei grandi interessi minerari della Bolivia, così come all’esterno, a Washington, tra l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) e il Dipartimento di Stato.
Brogli in USA
Se, nelle recenti elezioni americane, le accuse di brogli rivolte dal cialtrone Trump ai democratici sono state ritenute inconsistenti per la scarsa credibilità del personaggio, non bisogna dimenticare che in USA i brogli elettorali sono la regola. Il sistema elettorale, particolarmente farraginoso, dei grandi elettori e, più recentemente, il voto postale, rendono i brogli facilmente praticabili. Sia i democratici che i repubblicani hanno una lunga e consolidata tradizione di brogli elettorali. I casi più famosi e riconosciuti furono quelli di Lyndon Johnson e di Bush jr., ma anche le primarie che diedero il vantaggio a Hillary Clinton su Sanders rivelarono dei brogli clamorosi.
In realtà, la sostanziale inamovibilità del sistema gerarchico è confermata anche dagli schemi ricorrenti con cui vengono presentati e “creati” gli eventi elettorali.
Ecco cosa scrive la rivista statunitense Politico, in un articolo sugli “Ultimi pericolosi giorni di Donald Trump”:
Mentre le sue probabilità di vincere le presidenziali negli Stati Uniti si riducono, il candidato repubblicano accusa i democratici di preparare brogli e avvelena il clima politico. Nessuno sa come gestire la situazione che potrebbe crearsi dopo le elezioni presidenziali dell’8 novembre negli SU. Donald Trump sembra destinato a perdere e sembra intenzionato a non ammettere la sconfitta, e questo potrebbe scatenare una crisi di fiducia senza precedenti dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Ora sia i repubblicani sia i democratici temono che dopo il voto le ferite causate dalla campagna elettorale possano diventare più profonde e durature. (…) temono che le sue parole [di Trump] possano far presa sui suoi sostenitori più fanatici, e che questo porti a comportamenti violenti contro i musulmani, i latinoamericani e altre minoranze che Trump ha attaccato in campagna elettorale.(…)
“Ci sarà una rivolta, sì. Siamo tutti stanchi del sistema” dicono i sostenitori di Trump nel New Jersey … dando per scontato che le elezioni saranno truccate. Il rifiuto di Trump di ammettere la sconfitta “rientra perfettamente nella sua strategia di sfruttare lo storico calo di fiducia degli elettori verso le istituzioni.
L’aspetto interessante di questo articolo, è la data. L’articolo è stato scritto nell’ottobre 2016, e riproduce non soltanto gli schemi e le linee comunicative di quanto abbiamo letto in occasione delle elezioni americane del 2020, ma persino le stesse frasi, gli stessi allarmi, le stesse espressioni di stupore, le stesse parole. Già i Padri Fondatori degli Stati Uniti, si erano premurati di creare un sistema elettorale che proteggesse l’oligarchia dominante da qualsiasi eventuale messa in discussione tramite elezioni. A questo si sono aggiunti nel tempo una serie di schermi burocratici ed escludenti tali da rendere il sistema praticamente inattaccabile per via elettorale. Parlare con sorpresa o indignazione di brogli in questo contesto è quasi surreale.