Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Si è detto che i fatti di Capitol Hill avrebbero messo in crisi il “soft power” statunitense. Può darsi. In compenso agli USA rimane l’hard power, e non c’è potere più “hard” di quello di creare emergenze. Adesso infatti ci sarebbe una nuova emergenza: il “trumpismo”, che non è finito con il tramonto della presidenza del cialtrone Trump. Anzi, saremmo solo all’inizio dell’emergenza “trumpismo”. Minacciosamente ci si ricorda che Trump ha un seguito di settantaquattro milioni di elettori, ovviamente tutti armati, compresi i vecchietti. Lo scorso anno
un “futurologo” americano, George Friedman, aveva già previsto che gli USA sarebbero precipitati in una sorta di nuova guerra civile, da cui però l’America risorgerà, per citare Petrolini, “più bella e più superba che pria”.
La nuova emergenza americana ha immediatamente contagiato (o suggestionato?) l’Europa, che sarebbe piena anch’essa di “trumpiani”, i “sovranisti”. Come anche altri “opinion leader”, Massimo Giannini lancia l’allarme ed individua
un primo pericolo in Giorgia Meloni, troppo tiepida nel prendere le distanze dall’assalto al Congresso USA. La Meloni è fascista e bulletta, e in più ha lo sguardo cupo, tipico di chi vuole assaltare i parlamenti, perciò è facile da incastrare. Ben pochi però potranno essere considerati immuni dal sospetto di contagio: faranno i tamponi e, se ti troveranno positivo al “trumpismo”, saranno cavoli.
Tutto questo viene spacciato per antifascismo, mentre in realtà è apologia di fascismo (che in Italia sarebbe pure un reato), poiché si accredita l’idea che un movimento di estrema destra possa affermarsi contro l’establishment, per pura spinta dal basso, esclusivamente in base alla relazione del popolo con un leader carismatico. In tal modo non solo si mitizza il fascismo, ma soprattutto si dà un'assoluzione a tutte quelle oligarchie che hanno appoggiato e foraggiato la nascita del fascismo e del nazismo e gli hanno permesso di costituirsi in regimi. In realtà dal basso possono nascere solo rivendicazioni salariali e spinte alla redistribuzione del reddito: esattamente ciò che le oligarchie vogliono evitare; ed è questo uno dei principali motivi per cui si sta sempre in emergenza. Non è affatto vero che le lotte salariali affosserebbero l’economia, ma è invece verissimo che scardinano le gerarchie sociali; ed è questo il motivo per cui nel 1969 si rispose alle rivendicazioni salariali con le bombe e le stragi, cioè con l’emergenzialismo.
Il livello di redistribuzione del reddito (la quota salari) è l’indicatore, la lancetta, del grado di gerarchizzazione di una società. Ma le vere gerarchie non sono quelle istituzionali e statuali, bensì quelle antropologiche: la super-razza eletta di “quelli che contano”. Il razzismo non è una semplice questione di bianchi e di neri.
Il presunto aspirante autocrate Donald Trump si è fatto umiliare e isolare per mesi da Twitter, e nessuno si è chiesto che senso avesse per un presidente in carica andarsi a calare le brache davanti ai social network, invece di comunicare esclusivamente attraverso canali istituzionali, come ad esempio i siti web governativi. In tal modo il cialtrone Trump ha fatto la figura dello sfigato e, con ciò, ha riscosso la simpatia di altri sfigati, a cui però non ha offerto un messaggio di liberazione, semmai di ulteriore frustrazione. Questa massa frustrata, imbevuta di mitologia americana, è andata ad esprimere la sua rabbia impotente di fronte ad un’altra istituzione che non conta più niente, il Congresso; riscuotendo così il disprezzo inorridito delle “sinistre” politicorrette e, soprattutto, facendosi spacciare come una minaccia per la “democrazia”; ed eccoti pronta una nuova “emergenza” ad uso dei media.
In un sistema ormai drogato di emergenza basta il suono del campanello per far salivare tutti gli affaristi, i politici e i giornalisti all’unisono, come i cani di Pavlov; con una compattezza tale che nessuna cospirazione potrebbe mai assicurare. Tutto diventa emergenza, anche e soprattutto i presunti rimedi all’emergenza. La campagna di vaccinazione di massa sta già diventando una nuova emergenza.
Come era prevedibilissimo, la Pfizer non rispetta le consegne ed ora c’è il rischio che non ci siano le dosi per fare il richiamo ai primi vaccinati, sottoponendoli quindi ad una grave condizione di stress e di ansia. In più c’è chi propone che
il vaccino sia distribuito prioritariamente alle Regioni più produttive, perciò c’è chi reagisce indignato, protestando che il vaccino debba essere distribuito senza discriminare i poveri. Ci si accapiglia come se in Italia non ci fossero milioni di persone dispostissime a cedere ad altri il privilegio di vaccinarsi per primi: e non perché si tratti di no-vax, ma semplicemente perché va contro il buonsenso fidarsi di un vaccino prodotto a miliardi di dosi. Se Pfizer non è in grado nemmeno di garantire la regolarità delle consegne, perché dovrebbe essere capace di assicurare uno standard qualitativo nella produzione? Quindi il vero messaggio che risulta da tutta questa storia è che vaccinarsi non è una misura sanitaria, bensì un rituale di sottomissione ad un potere bizzoso che ci sovrasta.
Lo stesso Recovery Fund, quello che avrebbe dovuto “salvarci”, è diventato anch’esso un’emergenza, innescando addirittura una crisi di governo. Ci avevano raccontato che sarebbe arrivata dall’Europa una massa di soldi incredibile, come non l’abbiamo mai vista. Il bengodi si è invece trasformato in caos: non ci sono i “progetti”, e fate presto a fare i “progetti”, e così via. Fioccano assurdi paragoni tra il Recovery Fund ed il Piano Marshall. Ci si dimentica che nel dopoguerra l’Italia aveva un apparato produttivo semidistrutto, mentre ora è integro e solo sottoutilizzato. L’unica analogia è che oggi, come nel dopoguerra, si vorrebbe utilizzare la parte non a debito dei fondi per metterli in attivo di bilancio, in modo da ridurre il debito pubblico. Nel dopoguerra il ministro del Tesoro di allora, Luigi Einaudi, fu costretto dagli USA a spendere i fondi, perché c’era il pericolo comunista. Oggi che questo pericolo non c’è, l’italica avarizia dovrebbe trionfare.
In realtà l’Italia non avrebbe bisogno né del Recovery Fund, né del MES. L’uno e l’altro sono comunque nuovi debiti, perciò per affrontare la situazione sarebbe sufficiente il normale debito pubblico, che, peraltro, è richiestissimo. In Asia sia la Cina, sia il Giappone, sono
compratori di debito pubblico italiano, poiché è noto che l’Italia è ancora una potenza industriale e i debiti potrà ripagarli.
Il meccanismo emergenziale però non si fa scalfire dall’evidenza. L’allarmismo deve trionfare, poiché l’allarmismo genera business e, soprattutto, l’allarmismo rafforza le gerarchie sociali ed internazionali. Ciò significa ulteriore compressione dei salari ed ulteriori spinte autocoloniali, invocando la tutela della Germania, chiamata a far da garante contro le possibili pretese delle classi subalterne.
Altre emergenze si stanno preparando. L’Interpol ci fa sapere che il crimine organizzato sta già partecipando al banchetto dell’emergenza Covid. Milioni di attività imprenditoriali e commerciali stanno passando sotto il controllo delle varie mafie.
Secondo l’Interpol ci sarebbe persino il rischio che dosi di vaccino vengano sottratte dalle organizzazioni malavitose. Per farne che? Non importa. L’importante è non fare nulla adesso per impedire che migliaia di attività falliscano, anzi, far di tutto perché siano fagocitate dal circuito delle mafie. Al di là dell’ipocrisia delle denunce e delle condanne ufficiali, il crimine organizzato ha pur sempre un suo ruolo nella “gerarchia reale” della società, in quanto rappresenta un collettore che immette le microimprese nel circuito globale della finanza.
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Ringraziamo Claudio Mazzolani e Mario C. “Passatempo” per la collaborazione.
Prima di essere congedato, il cialtrone Trump ha reso un ultimo servigio alla causa del politicamente corretto, di cui è sempre stato un involontario strumento, regalando l’ennesima “vittoria” alla democrazia americana. Alcuni commentatori hanno finto di domandarsi quale possa essere il danno per l’immagine degli USA in seguito all’invasione delle aule del Congresso da parte dei supporter di Trump.
In realtà chi è al vertice della gerarchia internazionale può permettersi il lusso di sbracare senza problemi di sorta, poiché ci sarà sempre un esercito di aedi pronti a rivoltare la narrazione dei fatti ed a trasformare le figuracce in trionfi. Sorte opposta spetta invece a chi sta al fondo della gerarchia, poiché, se anche tenesse un comportamento irreprensibile, non sfuggirebbe in ogni caso alle critiche ed alle condanne; anzi la sua stessa irreprensibilità verrebbe ritenuta un comportamento sospetto, tipico di chi abbia qualcosa di losco da nascondere. Mentre i fattacci di Washington erano ancora in corso e non si sapeva ancora con precisione cosa stesse accadendo (in effetti non lo si sa neppure adesso), già il
coro mediatico degli irriducibili cantori della democrazia americana si era messo all’opera.
Si è anche finto di discutere per stabilire se l’invasione del Campidoglio USA debba considerarsi un tentativo di colpo di Stato o un’insurrezione, come se non ci fosse stato lo strano comportamento della polizia a trasformare una manifestazione, per quanto scomposta, in un happening eversivo. Si è detto che la scarsa protezione assicurata al Congresso fosse una conseguenza della sacralità di quel luogo-simbolo, per cui le anime belle non si attendevano la profanazione del tempio della democrazia. In realtà i “templi della democrazia” rappresentano l’estrema periferia del potere, perciò si può anche consentire alle folle inferocite di prenderli a bersaglio. In questa circostanza, peraltro, anche le folle inferocite hanno adottato simboli sacri della “democrazia” USA; infatti uno dei manifestanti era travestito da indiano, come i rivoltosi del Tea Party di Boston del 1773, l’episodio che, secondo la narrazione ufficiale, diede avvio alla guerra d’indipendenza americana.
La marginalità dei parlamenti è dovuta al fatto che da molti decenni queste istituzioni non tengono più realmente in mano i cordoni della borsa. Nell’ultimo decennio questa marginalizzazione delle istituzioni politiche si è ulteriormente accentuata. In epoca di “quantitative easing” le banche centrali creano denaro dal nulla e indirizzano enormi flussi di capitale direttamente verso la finanza. Inoltre agenzie governative come il Pentagono o la NSA possono letteralmente “creare” il valore azionario delle aziende, non solo attraverso gli appalti pubblici, ma anche commercializzando le tecnologie inventate in ambito militare, oppure utilizzando informazioni riservate. Il trattamento brutalmente repressivo inflitto ai manifestanti di un movimento come
Occupy Wall Street, che, pur con tutti i suoi limiti, andava comunque ad infastidire un centro nevralgico del potere, dimostra invece quale sia la vera reazione allorché l’establishment si senta effettivamente minacciato.
Sino a dieci anni fa l’astio dell’opinione pubblica americana era orientato contro i “banksters”, i criminali legalizzati della finanza. Tramite il clima di suggestione collettiva innescato dal “mostro” Trump, il pathos si è invece nuovamente spostato verso la contrapposizione fittizia tra democratici e repubblicani. L’oggetto del contendere in questi quattro anni è diventato così la questione della salvezza personale del Cialtrone contro le trame dei suoi avversari, perciò la gratificazione dei “trumpiani” è consistita nel fare dispetto alla “sinistra” facendo il tifo per il loro idolo. In Italia avremmo dovuto immediatamente riconoscere il copione già sperimentato all’epoca del Buffone di Arcore. Nel finale del film di Nanni Moretti
“Il Caimano” i supporter del Buffone, istigati dal Buffone stesso, scatenavano addirittura una rivolta violenta contro i giudici che volevano rimuoverlo; un fatto che in Italia non è mai avvenuto. Gli Americani però sanno apprezzare le buone trovate di sceneggiatura ed hanno plagiato l’idea della rivolta a Nanni Moretti, che dovrebbe almeno farsi pagare il copyright. Ma tutta la vicenda della presidenza Trump è un remake; persino l’accusa di brogli fu una trovata del Buffone di Arcore, che se ne servì per giustificare la sua sconfitta elettorale contro Prodi nel 2006.
Si è detto che l’elezione di Trump abbia dimostrato l’impotenza dei media nell’orientare l’opinione pubblica. La realtà è l’esatto contrario: è stata la demonizzazione sistematica da parte dei media politicorretti a creare il mito del “mostro” Trump e ad alimentare la suggestione collettiva, anche a scapito di ogni evidenza contraria. Spacciato dai media come il “populista” avversario dell’establishment, Trump ha concretizzato questa sua presunta “ostilità” abbassando le tasse alle corporation (quindi anche a se stesso); ciò in cambio di vaghe promesse di tornare a casa. Si può immaginare come si siano mortificati i ricchi per l’insulto di questa ulteriore elemosina che gli è stata elargita.
La democrazia e i suoi simboli rientrano nei parametri del falso movimento, e configurano un apparato di pubbliche relazioni nel quale consentire alle masse di sfogarsi girando a vuoto, salvo poi riportarle all’ovile. Omero nell’Iliade ci aveva già spiegato a cosa serva la “democrazia”, cioè a ribadire le gerarchie sociali attraverso ingannevoli rituali. Agamennone interpella le truppe degli Achei per conoscere la loro opinione sul rimanere o meno a proseguire l’assedio di Troia, allora Tersite esorta tutti a correre alle navi per andarsene e, a quel punto, Ulisse lo riempie di botte. La democrazia è farti una domanda per poi non ascoltarne la tua risposta. Si finge momentaneamente di darti importanza solo per farti ripiombare bruscamente nella tua condizione di inferiorità. Del resto, anche nelle consuete relazioni umane, questo è uno schema comportamentale molto frequente per “mettere sotto” gli altri. Quando il manipolatore è un improvvisato, gli si può sempre dire: fatti una domanda, datti una risposta e non rompere. Quando invece i manipolatori hanno a disposizione i media, occorre misurarsi con tutti i meccanismi di suggestione ed autosuggestione che si mettono in moto. Purtroppo il potere non è un corpo estraneo o un “mostro alieno” come i Rettiliani di David Icke, bensì una di quelle attitudini manipolatorie “troppo umane”, da cui bisogna imparare a difendersi.
Una volta si diceva “panem et circenses”. Oggi di “panem” se ne distribuisce sempre di meno, mentre nell’arena dei “circenses” gli spettatori vengono indotti ad esibirsi direttamente nello spettacolo, facendo anche la parte dei gladiatori. Per le oligarchie attuali, sempre più avare, significa un doppio risparmio.
Lo psicodramma messo in scena a Washington ha aumentato lo stato confusionale dell’opinione pubblica, che ora viene indotta a credere che l’anti-establishment si identifichi con la destra. Chi è di sinistra, per opporsi alla destra, si sente in dovere di schierarsi con l’establishment, che però è di destra. In tal modo la destra occupa sia l’establishment, sia l’anti-establishment. La sinistra viene così irreggimentata ed annichilita e, a fare tutte le parti in commedia, è sempre la destra.