Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
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Da anni le autorità statunitensi e messicane portano avanti una guerra ostinata contro i trafficanti di droga.
La droga proviene soprattutto dalla Colombia dove si trovano la maggior parte delle piantagioni per le droghe illegali. Una guerra che non sembra aver dato grandi risultati e che non ha fermato neppure gli scontri fra i famosi cartelli per il controllo dei traffici. I conflitti fra le bande armate in Messico e Colombia sono diventati endemici e persino tema ricorrente per l’industria cinematografica. Davvero sfortunati gli USA che, pur essendo i principali consumatori di droga al mondo, hanno perso anche questa guerra al narcotraffico.
Proprio come in Afghanistan, quando la produzione di oppio crebbe in maniera esponenziale sotto l’occupazione USA rispetto al periodo talebano. E’ evidente che insinuare che le multinazionali USA possano avere degli interessi nel traffico della droga sarebbe meschino.
Ma la droga prodotta nell’America Centromeridionale non è diretta solo negli USA. I punti di arrivo più importanti sono Anversa e Rotterdam. La polizia belga e quella olandese svolgono un’intensa attività di contrasto al traffico di stupefacenti. Ma, a parte qualche buon risultato,
il fiume di droga che arriva attraverso i container sembra inarrestabile. Ci si può chiedere come mai paesi ben organizzati come il Belgio e l’Olanda non riescano a scalfire questo traffico. Questi paesi vengono spesso definiti dai giornalisti italiani come “frugali” o “rigoristi”, quindi paesi che non dovrebbero offrire nessuna connivenza al traffico criminale, come invece può succedere in Colombia o in Messico. La questione rimane inspiegabile. A meno che non si voglia insinuare che i potentati economici dei rigoristi, oltre a racimolare un po’ di miliardi con la loro “fiscalità accogliente” a danno dei meno “frugali”, vogliano arrotondare il conto con il traffico di stupefacenti.
Forse il periodico olandese Parool ci offre una spiegazione. Pare che il successo di Rotterdam come
hub internazionale della droga sia dovuto, oltre che alla presenza di organizzazioni criminali, al forte senso imprenditoriale degli olandesi.
Quindi quella che in Colombia o in Messico si chiama «connivenza criminale» in Olanda o in Belgio si traduce con «forte senso imprenditoriale». Basta intendersi.
2-
Le proteste dell’UE contro le violenze della polizia russa in occasione delle manifestazioni pro-Navalny avevano assunto un tono talmente improbabile, da essere state prese poco sul serio dalla Russia. Quando l’alto rappresentante degli affari esteri dell’UE, Borrell, ha fatto le sue rimostranze in una sua visita a Mosca, il ministro degli esteri russo
Lavrov, ha avuto buon gioco a ridicolizzarlo: “gli europei non son affidabili perché non rispettano i diritti umani”, “è la polizia italiana a usare gli idranti contro i manifestanti e non noi”.
In effetti, proprio mentre a Mosca venivano arrestati 4000 manifestanti pro-Navalny, in Belgio la polizia arrestava 500 manifestanti contro le restrizioni anti-covid. Ma gli organi di stampa occidentali si indignavano solo per gli arresti di Mosca.
D’altro canto, i mass media occidentali che sostengono apertamente il dissidente russo, sembrano insensibili alla feroce persecuzione che dura ormai da anni contro Julian Assange, il cui capo d’accusa sarebbe quello di aver divulgato informazioni, la cui veridicità peraltro nessuno contesta.
Una delle scadenze più significative della società “occidentale” è il cosiddetto “dibattito”, a cui ognuno a modo suo sente di dover partecipare; finché forse un giorno non gli si svela l'orribile segreto, e cioè che di quello che dice, o non dice, non gliene frega niente a nessuno. Il “dibattito” è infatti un rituale che ha una sua viziosa circolarità: sembra partire da determinate premesse, procedere e acquisire nuove posizioni, salvo poi ritrovarsi puntualmente di nuovo al punto di partenza. In “democrazia” il finto ascolto e la fittizia apertura alle critiche sono cerimoniali che servono a ribadire le gerarchie comunicative tra i “superiori” e gli “inferiori”. Attraverso un contorto sentiero dialettico, si arriva persino a denunciare le malefatte dei ricchi e dei potenti, per poi alla fine concludere che è sempre colpa dei poveri e dei deboli. Questo inesorabile paradigma comunicativo può essere verificato anche tutte le volte che si parla di Africa.
L'assassinio dell'ambasciatore italiano, del suo carabiniere di scorta e del suo autista nella Repubblica Democratica del Congo ha riportato all’evidenza il paradosso dell’ex Congo belga, uno dei Paesi più ricchi di materie prime al mondo, ma anche uno di quelli economicamente più poveri. Sulla
rivista online dell’Aspen Institute italiano, fondata da Giuliano Amato, si trova un articolo che, in alcuni punti, risulta sorprendente, se si considera che l’Aspen è una filiazione del Dipartimento di Stato USA. Si delinea il percorso del saccheggio delle risorse minerarie del Congo Kinshasa, constatando le responsabilità di compagnie come Volkswagen, Apple, Microsoft e Huawei. Non si risparmiano i dettagli crudi, specialmente per ciò che riguarda l'estrazione della materia prima fondamentale per la tecnologia degli ultimi decenni: il cobalto. L'elenco dei crimini comprende lo sfruttamento della manodopera minorile, i numerosi incidenti sul lavoro e le morti bianche.
Nell'articolo si osserva anche che il saccheggio è stato favorito dal Fondo Monetario Internazionale, il quale ha imposto per decenni al governo congolese di applicare una tassa di solo il 2% sul minerale estratto, una quota troppo piccola per favorire una redistribuzione del reddito alla popolazione. Ma ora che l’aliquota della tassa è stata portata al 10%, la mancata redistribuzione andrebbe addebitata alla corruzione locale. Quindi, se le cose continuano ad andare male, è dovuto al fatto che i Congolesi sono corrotti.
Che i Congolesi siano corrotti è indicato anche dal fatto che pare siano riusciti a corrompere persino l’integerrimo FMI. Per rientrare nelle grazie del FMI, il governo di Kinshasa ha dovuto infatti accordare
un ricco contratto alla Baker McKenzie, la società privata di consulenza finanziaria in cui lavorava (guarda la combinazione) Christine Lagarde prima di andare a dirigere il FMI, ed ora la BCE. L’intreccio della gestione pubblica con gli affari privati se riguarda i poveri si chiama corruzione, ma se riguarda i ricchi si chiama “competenza”. Uno degli elementi ideologici più importanti delle attuali gerarchie imperialistiche è proprio l’etichetta di “corrotto” riservata ai Paesi inferiori. La superiorità in termini di potenza materiale si mistifica come gerarchia morale e antropologica: la super-razza dei “competenti” e la sotto-razza dei “corrotti".
Ora è diventato frequente mettere in dubbio l'idea che i fallimenti economici dell'Africa siano colpa del colonialismo. Già l'uso della parola “colpa” risulta abbastanza subdolo, dato che spostando la questione sul piano morale, si può dimostrare qualsiasi cosa. La domanda seria sarebbe invece chiedersi se il colonialismo ci sia ancora. In effetti vige tuttora in Africa un dominio coloniale, mediato però da istituzioni sovranazionali ufficialmente “imparziali”. Non c’è solo il FMI, che è già di per sé un’agenzia ONU, ma anche la stessa ONU in prima persona, impegnata in operazioni di “peace keeping”, cioè di occupazione militare del territorio congolese. In questa opera di “pace”, le truppe ONU si servono di
aerei droni “Falco”, prodotti dalla ex Finmeccanica, che ora si fa chiamare Leonardo.
Il quotidiano “La Stampa” nel 2015 diede anche
una rappresentazione entusiasticamente truculenta sull’uso di questi droni italiani in Congo, narrando di guerriglieri che, pur ammoniti, non si erano lasciati intimidire dalla sorveglianza h24 da parte dei droni “Falco”, pagando così un duro prezzo di sangue. In Congo quindi l'Italia non è solo presente con operazioni umanitarie, ma anche come fornitrice di armi per la repressione interna.
Finmeccanica è organica ai servizi segreti italiani, e la commistione è evidenziata da un sistema di porta girevole, che ha visto avvicendarsi al vertice dell’azienda prima Gianni de Gennaro e poi l’ex direttore dell’AISE,
Luciano Carta, tuttora in carica. Persino l’ex ministro Marco Minniti, anche lui proveniente dai servizi, è andato ad occupare una poltrona dirigenziale in una società del gruppo Finmeccanica.
La porta girevole non è corruzione, è “competenza”. Non si tratta di un comportamento esclusivamente italiano, poiché la osmosi tra aziende produttrici di armi (e non solo di armi) con i servizi segreti e con gli alti gradi militari, riguarda tutto il sistema internazionale.
Ora, possibile che Finmeccanica ed i servizi non si siano resi conto del pericolo a cui esponevano l’ambasciatore italiano? In effetti era logico pensare che il ruolo dell’Italia nella vendita di armi all’ONU, rendesse Luca Attanasio un bersaglio per ritorsioni, sia da parte della guerriglia, sia da parte di eventuali concorrenti nel business degli armamenti.
In questa vicenda le responsabilità di Finmeccanica e dei servizi segreti nostrani sono abbastanza evidenti. I media però preferiscono non toccare gli interessi del grande business e mettono invece sotto accusa il ministero degli Esteri ed il suo attuale occupante, lo zimbello di professione Luigi Di Maio, messo lì apposta per fare da parafulmine in situazioni del genere.