Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Secondo la stampa israeliana
il drone yemenita piombato su Tel Aviv il 19 luglio scorso sarebbe stato “monitorato” dal sistema di difesa per sei minuti prima di colpire la città. Il motivo del mancato abbattimento del drone, secondo la versione ufficiale dell’autorità militare israeliana, sarebbe un “errore umano”; infatti pare che per quel giorno Dio abbia potuto esibire un alibi di ferro.
La locuzione “errore umano” è pleonastica, in quanto anche i dispositivi tecnici sono l’effetto di scelte umane, soprattutto per ciò che riguarda la decisione di investire denaro e risorse in una tecnologia invece che in un’altra.
Il sistema che avrebbe dovuto difendere i centri urbani in Israele è il cosiddetto “Iron Dome”, costruito dalla multinazionale israeliana Rafael, che è a capitale controllato dal ministero delle Finanze. In realtà il sistema “Iron Dome” è talmente costoso che Israele non può permettersi di sostenerlo da solo, quindi a pagare il conto sono gli Stati Uniti. Da bravo oste che dice che il vino è buono, il sistema “Iron Dome” vanta una percentuale di successi del 90%; la cifra però è da considerarsi controversa poiché il sistema non considera gli attacchi contro bersagli diversi dai centri urbani. L’ultimo fallimento è anche più clamoroso che nel caso dell’attacco iraniano dell’aprile scorso, dato che in questa ultima circostanza il drone ha colpito direttamente, senza neppure aver bisogno di una preventiva saturazione del sistema di difesa con bersagli di disturbo.
Non soltanto gli USA sono i principali finanziatori dei sistemi di difesa antimissile israeliani, ma c’è anche
uno stretto rapporto di collaborazione dell’israeliana Rafael con la sua omologa statunitense, la Raytheon; quella che produce l’antimissile “Patriot”, che ha in comune con “Iron Dome” l’efficacia incerta, con il rischio di perdere il controllo e di auto-bersagliarsi, ed i costi abissali.
Fortuna vuole che a garantire la qualità dei prodotti di Raytheon ci sia
il segretario alla Difesa in persona, Lloyd Austin, che proviene proprio dal consiglio di amministrazione di Raytheon. L’oste ed il cliente quindi sono la stessa persona che fa porta girevole tra i due ruoli e i due stipendi, perciò gli si può credere sulla parola quando dice che il vino è buono; oltretutto Austin e gli altri squadroni di portagirevolisti sono talmente onesti che non passano mai alle multinazionali informazioni riservate che permetterebbero di fare insider trading e manipolazione del mercato borsistico (o no?). La commistione e l’intreccio tra multinazionali e apparati pubblici consente alle lobby d’affari di acquisire posizioni di potere praticamente feudale e con un paravento legale. D’altra parte, proprio perché il capitalismo è una forma economica così composita e mistificata, occorre un surplus di trucchi retorici per sostenere la narrativa. Prima ci si dice che il capitalismo è “anarchico”, poi invece ci si racconta che il principio unificante e ordinatorio c’è, dato che il capitalismo sarebbe in grado di operare una “sussunzione”, cioè di assorbire in un quadro generale forme particolari e arcaiche di dominio e di rendita. Sennonché in questo marasma capitalistico l’unica costante, l’unico filo conduttore, è sempre l’assistenzialismo per ricchi.
Purtroppo per la Rafael e la Raytheon ci sono
osservatori neutrali, come i militari indiani, che rilevano il fatto che i vari sistemi antimissile israeliani sono stati aggirati nell’attacco iraniano del 13/14 aprile e che i bersagli designati dagli iraniani sono stati centrati. D’altra parte è meschina e provinciale questa pretesa di valutare un sistema antimissile in base alla protezione effettiva dagli attacchi. Sarebbe invece molto più “europeo” valutare in base agli enormi costi e quindi agli enormi profitti per le multinazionali del settore e per i loro lobbisti nella politica e negli apparati pubblici; infatti in ambito europeo il 13/14 aprile è stato salutato come un successo, dato che si è speso
un miliardo e mezzo di dollari in una sola notte. Di fronte a questo argomento così europeo, la multinazionale tedesca Rheinmetall ha deciso di copiare i sistemi israeliani e si propone come capocordata di un consorzio di affari europeo. Non sono neanche egoisti, c’è da mangiare per tutti.
Tra l’altro il CEO di Rheinmetall è un eroe a denominazione di origine controllata. La CNN ha riportato che, grazie all’intelligence americana (che stavolta non si è distratta come col North Stream ma ha tempestivamente avvertito le autorità tedesche), è stato sventato
un complotto di Putin per assassinare il CEO di Rheinmetall. Il CEO ha anche un nome eroico, infatti si chiama Armin, come il condottiero che guidò i germani alla vittoria contro i romani a Teutoburgo. Peccato che quel suo cognome cacofonico di origine svedese, Papperger, rovini tutto l’incanto.
Comunque la cosa importante è che l’entusiasmo di Papperger per i sistemi di difesa antimissile israeliani abbia trovato la sponda giusta, cioè la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Nell’aprile scorso la von der Leyen ha espresso pubblicamente
interesse e ammirazione per i sistemi di difesa antimissile israeliani, apprezzando la loro performance in occasione dell’attacco iraniano. In quanto esponente di spicco della cleptocrazia europea, la von der Leyen ha immediatamente riconosciuto che è più “performante” ciò che le consente di rubare di più; come col siero Pfizer: se avesse funzionato non ci sarebbe stato il pretesto per imporre la quarta e quinta dose. e quindi di raddoppiare i profitti.
Una delle maggiori barriere ideologiche a difesa dei sistemi di potere è rappresentata dalle finte critiche che in realtà sono apologie. Mentre i sistemi antimissile fanno cilecca spesso e volentieri, le finte critiche svolgono egregiamente il proprio lavoro di confondere le opposizioni. Quando
si descrive l’Unione Europea come una “tecnocrazia”< si crea un’apparenza di obiezione alludendo ad una mancanza di democrazia; mentre in effetti si sta celebrando e legittimando l’UE in nome di una sua presunta gerarchia della “competenza”, che sarebbe da auspicare “in tempi di crisi” (come a dire sempre). Va riconosciuto però che anche il saccheggio del denaro pubblico può essere considerato una competenza o una tecnica; perciò, una volta ascesa al vertice della società, è ovvio che la delinquenza comune percepisca se stessa come un’aristocrazia del merito.
Gli Stati Uniti sono certamente la più grande cleptocrazia della storia, un modello di riferimento per tutti gli altri paesi. Il sistema cleptocratico si è consolidato negli ultimi quarant’anni tramite i processi di deindustrializzazione e finanziarizzazione che hanno consentito alle oligarchie di sradicarsi da ogni contesto sociale e territoriale, diventando bolle autoreferenziali. Ciò ha reso superflua la mediazione politica, per cui i politici riescono a svolgere un ruolo soltanto se fanno parte di lobby d’affari, che sono trasversali al pubblico ed al privato, ed anche al legale e all’illegale. Le lobby d’affari comunicano con un registro imbonitorio e manipolatorio da televendita, quindi cercano di sfruttare simultaneamente tutte le pulsioni e le velleità del potenziale cliente. I popoli sono un po’ come degli schizofrenici dalle personalità multiple; cioè hanno propensioni culturali diverse che si sono succedute, dissociate e sovrapposte nel corso dei secoli. Il compito della politica dovrebbe essere quello di mediare, cercando di assecondare maggiormente quella personalità - quella tendenza culturale - che meglio corrisponda alle effettive possibilità di un dato momento. Le lobby d’affari invece non si pongono di questi problemi; anzi, dato che comunicano con una logica pubblicitaria, tendono ad attivare contemporaneamente tutte le pulsioni, anche le più contraddittorie. Per questo motivo oggi gli USA ci appaiono come un grande caso psichiatrico, nel quale le pulsioni imperiali, isolazioniste e palingenetiche (la “cancel culture”) si esprimono in una gigantesca cacofonia ed in una rissa permanente che spappola ogni mediazione politica.
Lo spettacolo sempre più squallido e cialtronesco offerto dagli Stati Uniti però può essere fuorviante, poiché rischia di sollecitare negli altri un illusorio senso di superiorità. Da certe schizofrenie invece nessuno è completamente immune. Vediamo oggi il Nord Italia affetto da
una febbre separatista e transalpina, all’inseguimento del sogno di aggregarsi ad una sorta di grande Baviera, cioè la macroregione dell’Eusalp (EU Strategy for Alpine region). Tutto ciò si è espresso nella legge sull’autonomia differenziata, che al di là della sua indeterminatezza di contenuti, ha il senso certo di santificare la disuguaglianza tra le regioni.
In Italia la gerarchia tra regioni settentrionali e regioni meridionali è sempre esistita, ma la retorica unitaria si incaricava di dissimulare questa gerarchizzazione interna poiché sarebbe andata a confliggere con la proiezione imperialistica esterna. Oggi invece vediamo la stessa Italietta che, mentre rimette in discussione l’unità del paese con gli stessi argomenti e pretesti di quelli che una volta venivano etichettati come “austriacanti”, poi va a recuperare strategie imperialistiche che sembrano ripescate dall’epoca di Francesco Crispi, come
il “mediterraneo allargato”. Il Mediterraneo diventa infatti un’opinione e può dilatarsi geograficamente fino all’Indo-Pacifico.
Non si tratta soltanto di elucubrazioni propagandistiche, dato che la Marina italiana sta partecipando con la sua portaerei “Cavour” ad un’esercitazione navale che coinvolge addirittura Australia e Giappone. Pare infatti che, a differenza della portaerei francese, la nostra funziona e sta persino a galla. Mentre dalla “De Gaulle” non decolla neanche un aeroplanino di carta,
dalla “Cavour” partono pure gli F-35. Come ciliegina sulla torta,
la “Amerigo Vespucci” ha organizzato il suo tour mondiale in modo da fare scalo alla fine di agosto a Tokyo, per combinare l’esercitazione navale con le pubbliche relazioni.
Alcuni spiegano questa nostra strana presenza nell’Indo-Pacifico col fatto che i soliti cattivissimi americani ce l’hanno imposto. Nei nostri ambienti politici e militari però non c’è rassegnazione, bensì euforia. Del resto gli americani sono quelli scappati da Saigon e Kabul aggrappati alle ali degli aerei, perciò spiegare tutto con un presunto timore nei loro confronti appare un po’ semplicistico. La NATO è certamente uno strumento della proiezione imperialistica degli USA; ma, almeno dagli anni ‘90 sotto il suo ombrello, si esprime tutta una serie di autonome velleità imperialistiche, o sub-imperialistiche, di altri paesi. Nel contesto dei vari revanscismi imperialistici non poteva mancare
l’Italietta pacioccona e patetica col faccione del nostro “ministrone” Crosetto, che usa la sponda della NATO per allargarsi il Mediterraneo ad libitum. Adesso vogliamo pure aprirci a colpi di navi e droni un bel corridoio marittimo verso il Mar Nero, anche se nessuno ci stava dando fastidio, quindi è un bullismo preventivo. La Guerra di Crimea cominciò nel 1853 e, ufficialmente, terminò nel 1856; ci partecipò anche il Piemonte risorgimentale. In realtà sembra che quella guerra non sia mai finita, ed anche l’Italietta vorrebbe disputare qualche altro round nel Mar Nero.
Visto quant’è largo il Mediterraneo (arriva almeno fino all’Isola di Pasqua) una sola portaerei non poteva bastarci. Prima o poi la portaerei “Garibaldi” dovrebbe essere pensionata, perciò ce n’è già
quasi pronta un’altra, la “Trieste”, per la quale si prevede la piena operatività entro la fine dell’estate. Stando così le cose, l’Italia alla fine dell’anno dovrebbe avere tre portaerei operative. Un po’ troppe per raccontarci che siamo le vittime dei protervi americani.
Non siamo solo noi a vivere di inesistenti glorie del passato, dato che l’attuale Polonia ha resuscitato un progetto del suo eroe nazionale, il generale Pilsudski; si tratta di quel polo imperiale alternativo alla Germania ed alla Russia detto
“Intermarium”. Anche altre tesi di Pilsudski vengono riciclate dagli attuali leader polacchi; come, ad esempio,
la “decolonizzazione” della Russia, accusata di soggiogare tuttora tanti popoli asiatici. Tutto vero, ma anche la Polonia di Pilsudski, emersa dalla prima guerra mondiale, inglobava al suo interno più di un terzo di popolazione non polacca. Ma, si sa, l’imperialismo è solo quello degli altri, mentre il nostro imperialismo lo chiamiamo “legittimi interessi”.
Attualmente la NATO ha il comportamento irresponsabile ed il linguaggio insolente di una baby gang; da alleanza pseudo-difensiva, la NATO negli anni ’90 era diventata sfacciatamente offensiva, per poi qualificarsi come una centrale di provocazione globale, per cui ora si è messa a molestare anche la Cina. L’incongruenza sta nel fatto che si incentiva costantemente il business delle armi, senza però più possedere il potenziale industriale per reggere un confronto militare con una vera potenza. La Svezia sta esprimendo appieno questa
sintesi tra cleptocrazia militare e baby-imperialismo ludico e velleitario. Ciò spiega la smania dell’oligarchia svedese di aderire ufficialmente alla NATO, con la quale peraltro si era già integrata da almeno trent’anni. La Svezia fu scacciata dalle sue colonie baltiche da Pietro il Grande e adesso ci sarebbe la possibilità di regolare i conti con lo zar in carica. Pare che sia in atto lo scongelamento dell’Artico e quindi bisogna metterci le mani prima che lo facciano i russi; o almeno questo è il pretesto, poiché per le lobby d’affari non è mai chiara la distinzione tra strategia e spot pubblicitario.