Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nei commenti giornalistici alla sconfitta referendaria di Chavez, la questione del petrolio venezuelano è un dettaglio venuto fuori solo incidentalmente. Sul "Corriere della sera", l'ex ambasciatore Sergio Romano scorge nel petrolio solo la causa del successo personale di Chavez, e concentra gli strali su di lui per il carattere vago e demagogico del suo "socialismo bolivariano" e per i suoi modi da caudillo.
Che il petrolio possa essere oltre che la causa del suo successo, anche il motivo dell'ostilità internazionale verso di lui, non è neppure accennato: Chavez viene condannato dai commentatori a causa dell'improponibilità del suo "modello", per la sua nota amicizia con Castro, e magari anche per la - del tutto presunta - connivenza ideologica con il "cattivo maestro" Toni Negri. Se un capo di Stato firma accordi commerciali con la Cina e con la Russia, invece che con la BP, viene automaticamente individuato come una minaccia per la democrazia e per la sicurezza planetaria, come un nemico dell'umanità, ecc.
Un trattamento del genere fu riservato dalla stampa americana ed europea anche al mite Mossadeq, il primo ministro iraniano che nel 1951 aveva cercato di nazionalizzare la Anglo-Iranian Oil Company, che, manco a dirlo, faceva parte della BP, o British Petroleum, o Beyond Petroleum, come si fa chiamare adesso, dato che gli affari della BP vanno oggi "oltre" il petrolio, e si rivolgono soprattutto al gas naturale, l'affare del futuro.
Se si considera che l'Iran, oltre ad essere un grande produttore di petrolio, possiede anche i maggiori giacimenti di gas naturale del mondo, forse ciò spiega la grande ostilità verso l'attuale presidente iraniano Ahmadinejad, anch'egli arruolato d'ufficio dalla propaganda occidentale nella folta schiera dei nuovi Hitler. La BP non può oggi mettere le mani sul petrolio del Venezuela, né sul gas della Russia o dell'Iran, e, non a caso, ai rispettivi capi di Stato di questi Paesi è stata confezionata un'inquietante immagine internazionale, cosa non difficile se si considera che fare il Capo di Stato comporta, per ciò stesso, altissime probabilità di essere anche un criminale.
Saddam Hussein aveva anche lui parecchio petrolio da farsi depredare e quindi una pessima immagine internazionale, ma visto che il pericolo delle sue "armi di distruzione di massa" e la necessità di esportare la democrazia in Iraq, non hanno convinto i più, ecco allora pronta un'altra spiegazione. Gli Stati Uniti si sarebbero fatti convincere ad impegnarsi in una guerra contraria ai loro interessi, a causa delle pressioni della "Israel Lobby", che condizionerebbe la politica estera statunitense in base alle esigenze dello Stato di Israele. In Italia, il libro best-seller di Mearsheimer e Walt che sostiene questa tesi è stato di recente pubblicato da Mondadori, una casa editrice che risulta da anni coinvolta in operazioni di disinformazione e intossicazione funzionali agli interessi statunitensi (ad esempio il best-seller "Gomorra", che è servito a coprire con il mito camorristico il traffico di derivati dell'oppio afgano compiuto dalla base NATO di Napoli).
Mitomani come tutti i provocatori e criminali, molti sionisti forse davvero pensano di essere loro a gestire la politica estera statunitense. Il libro sulla Israel Lobby espone poi una tale massa documentaria sulle presunte pressioni e manipolazioni subite da Bush e Cheney, che risulterebbe persino convincente, se non ci fosse il dettaglio del petrolio irakeno che oggi sparisce a ritmo accelerato dall'Iraq, e che viene depredato proprio dalle compagnie legate a Bush e Cheney.
13 Dicembre 2007
Sulla questione degli operai uccisi dalla multinazionale Thyssenkrupp, in questi giorni se ne sono dette tante, ma una parola è rimasta però quasi impronunciabile: colonialismo. C'è un antico mito - ripreso anche in una novella di Borges -, secondo il quale se si pronunciasse il vero nome di Dio, l'universo finirebbe. In un certo senso è così anche per il colonialismo, ma in questo caso la magia non c'entra nulla, si tratta semplicemente del fatto che il collaborazionismo, la complicità, la corruzione, gli intrecci affaristici hanno bisogno di coperture e di alibi.
Colonialismo è una di quelle parole che fanno da argine anti-cazzate, ed anche se ovviamente le cazzate qui o là comunque filtrano sempre, però non possono più dilagare e sommergere tutto. Se invece di colonialismo, si dice "capitalismo", "liberismo", "logica del profitto", "globalizzazione", tutto si sposta nell'atmosfera astratta, irreale e metafisica della modellistica sociale ed economica. Se per opporsi al capitalismo e al liberismo occorre prima elaborare un modello sociale ed economico alternativo, allora nell'attesa posso anche fare i miei affari.
Quando negli anni '80 arrivò da Bruxelles l'ordine di chiudere l'acciaieria Italsider di Bagnoli, se i sindacati avessero pronunciato la parola "colonialismo" avrebbero automaticamente responsabilizzato il governo e sputtanato tutte le puttanate che diceva il ministro dell'Industria dell'epoca, De Michelis. Al contrario, accettando il lessico ufficiale che parlava di esigenze del "Mercato", i vertici sindacali furono ammessi da De Michelis a partecipare, assieme con il Banco di Napoli, ad una gigantesca operazione di saccheggio del denaro pubblico: una finta ristrutturazione dello stabilimento di Bagnoli, in cui furono gettati anni e miliardi, per poi chiudere definitivamente, come Bruxelles o, per meglio dire, la Thyssenkrupp ordinava.
Il punto è che fare i conti con la realtà del colonialismo è un dato che responsabilizza: c'è un'aggressione e bisogna farla semplicemente cessare, non ci sono alternative sociali, economiche o politiche da costruire preventivamente. Se si dicesse che il sud d'Italia è una colonia di consumo dal 1860, e che dal 1943 è diventata anche una colonia militare e di commercio illegale degli Stati Uniti, allora non si potrebbero più coprire le complicità con il colonialismo e gli intrecci affaristici sul denaro pubblico con le cortine fumogene della "questione meridionale", del "problema del Mezzogiorno", dei "problemi di Napoli", ecc.
Certo, i termini di colonialismo e affarismo rappresentano delle sintesi e delle semplificazioni, ma la semplificazione è sempre preferibile alla mistificazione. Parlare, ad esempio, di Occidente e di valori occidentali è un modo di parlare d'altro.
Si dice spesso che il regime iraniano degli ayatollah violi i diritti umani molto di più di quanto non lo facesse il regime dello scià. A parte la pretestuosità di certi confronti, non c'è dubbio che molti Iraniani siano i primi a trovare insopportabile l'oppressione oscurantistica del clero sciita, ma devono confrontarsi col fatto che la legittimazione del regime clerico-islamico proviene dall'avere cacciato la tirannia coloniale della multinazionale BP (ex British Petroleum, ora Beyond Petroleum), di cui lo scià era solo il prestanome. Chi critichi il clero rischia di confondersi con i complici del colonialismo BP, e di questo il clero può farsi forte. Inoltre il clero sciita, invece di chiamarlo colonialismo della BP, lo chiama "corrotto Occidente", giustificando così il suo bigottismo. Faremmo quindi chiarezza e screditeremmo il presunto carattere antioccidentale dei bigottismi religiosi, se dicessimo che non esiste nessun "Occidente", né santo né corrotto, ma solo un colonialismo delle multinazionali.
20 dicembre 2007
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