Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Secondo lo stracitato aforisma di Carl von Clausewitz, la guerra sarebbe la continuazione della politica con altri mezzi. Grazie all’intervento di Ursula von der Leyen del 28 febbraio scorso, quella concezione un po’ naif del vecchio generale prussiano è stata finalmente superata e aggiornata. Secondo la presidente della Commissione Europea la guerra infatti non è altro che continuare a derubare i contribuenti con tutti i mezzi. Non sono stati i soliti complottisti, ma la von der Leyen in persona a richiamare l’affinità con quanto accaduto con i vaccini. La cleptocrate blasonata ha invocato anche per le armi l’attuazione di
appalti congiunti, così come era già accaduto per i vaccini e per il gas. Lo sfruttamento non avviene soltanto attraverso il lavoro ma anche con la leva fiscale ai danni dei più poveri, con aumenti di accise e tariffe energetiche, ed anche dirottando la spesa dai servizi pubblici agli oligopoli dei farmaci e delle armi, feticizzando le loro inutili e costosissime merci con immaginari contenuti salvifici.
Il crescente trasferimento di reddito dalle classi subalterne alle oligarchie necessita di un’opera di distrazione, che non esiti a far leva anche su sentimenti sacrosanti come il timore della guerra mondiale o come l’orrore per il genocidio. Gli atteggiamenti da “miles gloriosus” di Macron, oppure i piagnistei di Fiamma Nirenstein sui poveri soldati israeliani costretti a sparare sulla folla inerme (visto che rimediano figure di merda non appena si scontrano con persone armate), rappresentano solo diversivi. L’attenzione viene deviata da quelle macchine da furto del pubblico denaro che sono le lobby d’affari dietro i “brand” della NATO, dell’UE e di Israele. La confusione mediatica fa anche perdere di vista il fatto che il maggiore gettito fiscale non è quello che deriva dalle imposte sul reddito, bensì quello che proviene dalle imposte sui consumi; perciò il vero (anzi, unico) contribuente è quello povero, quello che non ha possibilità di scaricare su altri le maggiori spese. Le destre (come dimostra
il caso della Thatcher) fanno retorica contro le tasse, ma di fatto finanziano gli sgravi fiscali sulle persone fisiche e sulle società aumentando le imposte indirette come IVA e accise. Il rapporto sottostante al bellicismo (più o meno velleitario) verso l’esterno è sempre la guerra di classe all’interno.
La blasonata cleptocrate di Bruxelles ha superato non soltanto Carl von Clausewitz ma anche un altro suo noto conterraneo, Carl Schmitt; cioè quell’altro sprovveduto che diceva che la politica internazionale sarebbe basata sul principio secondo cui il nemico del mio nemico è mio amico. Il nuovo verbo strategico illustrato dalla von der Leyen nel suo storico discorso ha spazzato via quelle ubbie del vetusto giurista tedesco e dettato la nuova linea: se il tuo nemico ha un nemico, rendiglielo amico, in modo che potrai avere tantissimi nemici per giustificare crescenti spese militari. Russia e Iran erano storici rivali ma ora collaborano tra loro moltiplicando la minaccia nei confronti del Sacro Occidente. Persino la Corea del Nord ora può scavalcare migliaia e migliaia di chilometri e, con un magico balzo, ci minaccia come se fosse a ridosso dei nostri confini.
Inflazionare la minaccia fa ovviamente gonfiare i titoli di Borsa delle multinazionali delle armi. Anche Mussolini è stato così riveduto e corretto: dal “molti nemici, molto onore” al “molti nemici, molti soldi” . In realtà pare che la frase non fosse del Duce ma del condottiero tedesco Georg von Frundsberg, che sarebbe quindi il terzo “von” di questa storia.
La concezione tradizionale dell’imperialismo lo inquadrava come un espansionismo militare, territoriale e mercantile delle grandi potenze. Oltre un secolo fa il socialista austriaco Rudolf Hilferding (in parte ripreso da Lenin), definì l’imperialismo come una internazionalizzazione della finanza in conseguenza dell’evoluzione monopolistica ed oligopolistica del capitalismo. Un altro aspetto dell’imperialismo consiste però nel ruolo “creativo” delle cleptocrazie dei paesi cosiddetti “satelliti”; un ruolo che si rivela decisivo nello strutturare la gerarchia internazionale e nel fornirle narrazione ed alibi. La funzione servile delle cleptocrazie europee infatti mitizza ed enfatizza la potenza americana, attribuendole una missione di guardiano e tutore del mondo. In realtà gli USA non sono mai stati abbastanza forti militarmente da poter svolgere in modo effettivo quel “tutoraggio”; in compenso hanno capacità sufficiente per destabilizzare varie aree del pianeta. Il mito imperiale del tutore copre la spinta imperialistica alla destabilizzazione ed ai conseguenti business delle armi o dei sovrapprezzi sull’energia. Il riferimento principale degli oligopoli dei farmaci e delle armi non è più il mitico “mercato”, bensì la committenza dei governi, cioè la spesa pubblica. Persino gli incrementi dei valori di Borsa sono bolle fittizie, che devono essere riempite con il denaro pubblico. Il “Financial Times” ci fa sapere che ultimamente le grandi multinazionali statunitensi delle armi non hanno registrato incrementi dei valori azionari paragonabili a quelli delle multinazionali europee; ciò
a causa del caos della politica di Washington, che non ha ancora approvato lo stanziamento della spesa per gli “aiuti a Kiev”. La dipendenza del capitalismo oligopolistico dal denaro pubblico non poteva essere esposta in modo più chiaro; al punto che parlare di “capitalismo” si risolve nell’inseguire una inutile astrazione giuridica, perciò tanto vale chiamarlo direttamente assistenzialismo per ricchi.
La locuzione “ha stato Putin” è diventata popolare, addirittura proverbiale, e indica il vezzo occidentalista di ritrovarsi un colpevole già pronto per l’uso, in modo da coprire le proprie responsabilità. Sarà difficile però spiegare la quasi unanime adesione del parlamento italiano alla missione navale “Aspides” nel Mar Rosso con un “ha stato Biden”, cioè nascondendosi dietro la consueta denuncia della servile fedeltà italica all’alleato americano. Una linea politica può non essere nelle condizioni di prevalere, ma deve comunque reggere sul piano comunicativo, cioè non smentirsi da sola. Se dico che sono contro ogni imperialismo compreso il nostro, e quindi anche contro le velleità dei nostri oligarchi di ritagliarsi uno spazio sub-imperialista all’ombra della potenza dominante, allora c’è un senso. Se invece faccio appello all’interesse nazionale, mi riferisco ad un’astrazione fumosa che viene screditata dal fatto stesso che gli oligarchi di un paese ritengono di avere altri interessi da seguire.
Se la critica non ha una logica, poi te la dovrai rimangiare nella pratica. Nel dicembre scorso Giuseppe Conte aveva accusato il governo Meloni di “turbo-atlantismo” per la decisione di inviare
una fregata nel Mar Rosso, ed infatti ora i 5 Stelle si allineano al mantra ufficiale della “missione difensiva”. In realtà prima di infilarci da soli in questo conflitto, non solo non ci minacciava o filava nessuno, ma c’era anche la possibilità di accampare ogni genere di pretesto o intoppo “tecnico” per sottrarsi all’escalation militare. Il problema sta nell’eterno costume dell’oligarchia dell’Italietta: si cercano sponde estere e “vincoli esterni” da utilizzare come alibi; in tal modo la propria avarizia e le proprie vendette sociali le si possono spacciare come “europeismo”, mentre le proprie pulsioni colonialiste e sub-imperialiste le si possono nobilitare come “atlantismo”; invece è tutto “cosa nostra”.
La nostrana cleptocrazia militare ha il suo interesse all’escalation e quindi nessuna intenzione di sottrarsi. Il ministro della Difesa, e lobbista di Leonardo Finmeccanica, Guido Crosetto, ci ha raccontato che mandare la nave “Caio Duilio” a combattere i cartaginesi nel Mar Rosso gli dà doppia soddisfazione, perché è come far guerra anche a Cina e Russia. Il ministro arriva poi al sodo dicendo che
la missione “Aspides” richiede “fondi aggiuntivi”. Nessuno ne aveva dubitato. Pare che siano in arrivo anche fondi europei, visto che la missione ha il crisma dell’UE, perciò l’affare promette bene. Peccato che il governo Meloni si sia dimenticato di distribuire una fettina della torta agli umili, cioè un’indennità di rischio ai marinai impegnati nella missione, come era invece avvenuto in analoghi casi precedenti. Ci saranno però sicuramente proteste dei militari e l’ingiustizia verrà sanata, altrimenti il prossimo drone che passa da quelle parti faranno finta di non vederlo.
Oggi sta passando il mantra secondo cui il conflitto in Ucraina sarebbe esclusivamente di marca USA e a danno di un’Europa inetta e servile, che si piega agli interessi del suo padrone d’oltre Atlantico. Ma ogni tanto è anche utile ascoltare l’altra campana. In un’intervista del 2016 Barack Obama faceva delle dichiarazioni che, anche prese con le molle, risultano comunque interessanti sul modo in cui i governi europei riescono a veicolare il proprio colonialismo usando l’alibi atlantico. Obama sosteneva di aver commesso
un errore lasciandosi coinvolgere nell’aggressione della NATO alla Libia del 2011. Obama riconosceva altresì che Hillary Clinton (suo segretario di Stato dell’epoca), era, come sempre, assetata di sangue. Ma il vero bidone Obama lo aveva rimediato dal presidente francese Sarkozy e dal primo ministro britannico Cameron, che gli avevano fatto credere di poter sostenere il peso dell’impresa militare, che invece andò completamente a carico degli USA. Dopo pochi giorni il “guerriero” Cameron era addirittura passato ad altri impegni, facendo il parassita persino più di Sarkozy (probabilmente avevano entrambi finito le munizioni). Per inciso, va ricordato che, dopo le prime titubanze del Buffone di Arcore, anche l’adesione italica alla guerra fu compatta e trasversale. L’unico dissenziente (almeno a chiacchiere) fu l’allora sottosegretario alla Difesa Crosetto, forse perché non coinvolto abbastanza nello “stanziamento dei fondi”.
Obama ha il suo bravo curriculum di assassino seriale grazie alla fama della “Kill List” da lui messa in opera; inoltre ha acquisito
un record personale come mercante d’armi, quindi come “pacifista” non è attendibile; anche se a riguardo è ancor meno attendibile il cialtrone Trump, visto che è stato lui, non Obama, ad avviare il trasferimento di armi all’Ucraina. Il senso del discorso di Obama però è abbastanza chiaro: qui negli USA non siamo tutti guerrafondai fino all’autolesionismo; ma purtroppo i “falchi” di casa nostra trovano sempre la sponda dei “cari alleati europei”, che, col loro subdolo servilismo, sanno manipolarci. Lo stesso Obama si vantava di essere riuscito a sottrarsi all’impegno di un’aggressione diretta alla Siria del 2013, sebbene apparisse ormai incastrato dall’asse tra Regno Unito, Francia, Qatar ed Arabia Saudita; gli stessi paesi che nel 2011 avevano avviato la destabilizzazione della Libia ed il conseguente conflitto. Un dettaglio interessante, e non sottolineato nell’intervista, è che quella crisi del 2013 fu causata da un attacco chimico attribuito ad Assad, e successivamente rivelatosi un “false flag”.
A proposito di “false flag”, è strano che gli Stati Uniti abbiano come mito fondatore della loro nazione proprio un poco onorevole “false flag”, cioè il famoso episodio del
“Tea Party” del 1773, quando nel porto di Boston dei coloni americani, travestiti da indiani Mohawk, attaccarono una nave della Compagnia delle Indie gettandone il carico in mare. L’iconografia successiva ha rappresentato i coloni come travestiti da indiani della prateria, come se si trattasse di un semplice camuffamento. In realtà i Mohawk erano originari dell’area che attualmente va dallo Stato di New York al Canada, erano formalmente alleati della Corona inglese, ed inoltre erano dediti al commercio di pesce e pellicce, quindi la loro presenza nel porto di Boston era del tutto abituale; perciò il travestimento da indiani Mohawk comportava un preciso intento di scaricare su altri la responsabilità dell’attentato. Ancora più strano è che in questi giochi in cui gli americani sono storicamente così bravi, cioè lo scaricabarile ed il parassitismo, si facciano ogni tanto battere dagli europei.