Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Ogni governo ha bisogno di indirizzare le pulsioni forcaiole della pubblica opinione contro falsi bersagli, che siano ovviamente soggetti deboli. Esattamente un anno fa il governo Draghi, nel contesto di una crisi energetica già conclamata e di una crisi internazionale in corso di aggravamento, dedicava ben tre riunioni del Consiglio dei Ministri all’escogitare vessazioni contro i cosiddetti no-vax. Il punto è che gli effetti di quelle crisi non colpiscono gli interessi dell'oligarchia, bensì le condizioni di vita delle popolazioni, per cui bisogna offrire loro una preda su cui sfogarsi.
A distanza di un anno perdura la crisi energetica, si aggrava ulteriormente la crisi internazionale e la BCE alza i tassi di interesse innescando una probabile crisi dello spread per l’Italia, per cui il governo Meloni deve cercare il suo capro espiatorio nei percettori del cosiddetto reddito di cittadinanza. Oggi, come un anno fa, i media avallano la narrazione governativa, e le reti televisive scritturano guitti per fargli recitare la parte di arroganti percettori del reddito di cittadinanza che pretendono di stravaccarsi sul divano e rifiutano in diretta grasse offerte di lavoro. Per far esprimere appieno l’aggressività della pubblica opinione è necessario che il bersaglio offertole sia percepito come debole, infatti la posizione di forza incute paura e ciò fornisce automaticamente una “giustificazione morale”. Non a caso, allo scopo di coltivare l’ostilità contro la Russia, è fondamentale narrarla come debole e militarmente allo sbando. Chi cercasse di spiegare che non si possono applicare ad un imperialismo povero, come quello russo, gli stessi parametri di forza e debolezza che si applicano all’imperialismo USA, viene tacciato di “filo-putinismo”, dato che già parlare di scontro di imperialismi, anziché di buoni contro cattivi, risulta sospetto e disdicevole.
Secondo il politicamente corretto l’antimperialismo è brutto/cattivo poiché porterebbe inevitabilmente al nazionalismo. Sennonché quando arrivano i “nazionalisti”, ci si accorge che sono proprio loro i più allineati all’imperialismo USA/NATO, infatti la sedicente Sorella d’Italia si è rivelata la Sorella d’Ucraina. Almeno se ne avvantaggiassero i poveri ucraini, ma, a parte l’oligarchia affaristica legata al Dipartimento di Stato USA, anche gli ucraini risultano tra i raggirati. Per creare consenso attorno al golpe di Piazza Maidan del 2014, fu promesso l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, una prospettiva considerata allettante da gran parte della popolazione ucraina, poiché comportava la possibilità di emigrare liberamente in nazioni ricche come la Germania. Poi, con quell’espediente che i truffatori chiamano il “pacco”, la UE è stata sostituita dalla NATO e, per accedervi, occorreva ovviamente acquistare armi americane. Il presidente Obama aveva sempre tenuto il piede in due scarpe e non aveva mai avallato ufficialmente la decisione del Congresso di fornire armi all’Ucraina. Per eliminare l’ipocrisia e legalizzare definitivamente l’afflusso di armi c’è voluto l’arrivo alla Casa Bianca del “pacifista” Trump.
Abbiamo visto la tecnica del “pacco” applicata da Pfizer e da Ursula Von Der Leyen anche nella vicenda della presunta emergenza Covid, allorché un farmaco sintomatico è stato venduto e pubblicizzato dai media e dai governi come un vaccino, salvo poi ammettere che non si era fatta alcuna sperimentazione per ciò che riguardava gli effetti di immunizzazione. C'è stata quindi una pubblicità ingannevole basata sul ricatto morale di far passare come irresponsabile chi rifiutava di “immunizzarsi”. Ma finché i media le assicurano la loro complicità, la Von Der Leyen può insistere a rifilare i suoi “pacchi” al contribuente europeo, dal quale adesso pretende altri diciannove miliardi per la “ricostruzione dell’Ucraina”. Se però si va oltre il titolo della notizia di agenzia, ci si accorge che si tratterebbe di “aprire la strada alla ricostruzione”, cioè di continuare a finanziare la guerra. In altri termini, il contribuente europeo deve finanziare Kiev per permetterle di pagare le armi che sta ricevendo dalle multinazionali americane.
Nell’impresa capitalistica il momento produttivo, la fabbrica, è solo un aspetto e neanche il più importante. Gli altri aspetti sono la finanza, cioè il movimento di capitali in Borsa, e ciò che viene chiamato lobbying, cioè il rapporto con i governi e la politica in genere. La finanza non potrebbe mai creare valore senza ricorrere a reati come l’aggiotaggio, la manipolazione di mercato e l’insider trading; e il lobbying non potrebbe mai funzionare senza la corruzione. La critica del capitalismo ha sempre esitato ad analizzarlo come un fenomeno di delinquenza comune per timore di scadere nel moralismo, perdendo così di vista il dato più macroscopico, e cioè che la macchina gangsteristica del lobbying e della finanza può funzionare soltanto attraverso la sponda di un’opinione pubblica disposta a farsi fagocitare dall’imbonimento moralistico ed a indignarsi a comando; in quanto solo dietro l’alibi di alti valori morali si può legittimare il saccheggio del denaro pubblico.
Lo sfruttamento non consiste solo nell’estrazione di plusvalore in fabbrica, ma anche nell’estorsione fiscale ai danni del contribuente; il contribuente povero ovviamente, poiché i ricchi hanno a disposizione mille mezzi per eludere il fisco. Il contribuente paga e gli acquisti sono mediati dai governi. La merce contraffatta o adulterata può essere spacciata attraverso tecniche pubblicitarie. Basta seguire il filo dei soldi per accorgersi del carattere fraudolento che si cela ogni volta dietro il business del momento. Ad esempio, la transizione digitale esige i “big data” con i grandi “cloud” per gestirli, ed anche l’Italietta si sta adeguando.
Ci si annuncia trionfalmente che l’Europa avrà il suo “cloud” a cui Stati e imprese potranno far riferimento; un “cloud” con un bel nome tra l’ecologico ed il misterioso: Gaia-X. Ci si promette un nuovo paradiso tecnologico, ma dietro gli slogan pubblicitari si comincia a intravedere il raggiro, visti gli strani appelli alla “sovranità digitale”, come a dire: c’è una minaccia esterna che attenta alle nostre “libertà” ed alla nostra “privacy”; una minaccia che legittima un business della sicurezza, in questo caso la sicurezza digitale.
Molti si sono domandati quale fosse il senso di quel voto del parlamento europeo che bollava la Russia come sponsor del terrorismo. I più ingenui hanno pensato che si trattasse di furore ideologico o di maldestra propaganda bellica. C’è stata però una seconda puntata che ha spiegato gli arcani della prima. Il sito del parlamento europeo sarebbe infatti rimasto bloccato dopo quel voto, a causa della presunta rappresaglia di altrettanto presunti hacker russi. Altro che furore ideologico, questa è pura cleptocrazia, una frode ai danni del contribuente. Lo spot pubblicitario ci narra di uno Stato terrorista che adopera contro di noi il terrorismo informatico, per cui si potrà spillarci altri quattrini per garantire la sicurezza digitale dopo averci fatto già pagare la transizione digitale. I parlamenti erano nati per tutelare i contribuenti dalle vessazioni fiscali da parte dei re. Oggi invece i parlamenti fanno parte integrante dell’apparato pubblicitario di imbonimento per raggirare il contribuente e consegnarlo alle gang multinazionali.
I quotidiani italiani annunciano trionfalmente che l’inchiesta giudiziaria della magistratura belga, battezzata mediaticamente “Qatargate”, sarebbe entrata nella “fase 2”; al che il lettore ingenuo si aspetterebbe finalmente qualcosa di concreto. Invece niente, siamo ancora alle promesse di sconvolgenti rivelazioni, alle voci secondo cui il tale o talaltro deputato europeo (ovviamente italiano o di origine italiana o, al più, sud-europeo) avrebbe incassato soldi per promuovere “interessi del Marocco”, oppure “dare un’immagine positiva del Qatar”. In realtà prostituire le proprie opinioni secondo il codice penale non è reato, altrimenti i giornalisti dovrebbero già stare tutti in galera. I giornalisti potrebbero accampare la scusante che veramente si innamorano dei potenti di cui sono al servizio; ma ciò varrebbe anche per Panzeri e compagni poiché, oltre che comprare, il denaro affascina; anche se in effetti in questo caso si trattava di pochi soldi, visto che stavano tutti nello spazio di una busta di plastica. Come diceva Monsieur Verdoux, l’assassinio è considerato un crimine se fatto al dettaglio ed è celebrato come eroismo se fatto all’ingrosso; lo stesso vale per la corruzione, che non fa scandalo se in ballo ci sono le centinaia di miliardi.
Per camuffare il nulla di questa inchiesta giudiziaria, si crea un pathos sulla questione dell’autorizzazione a procedere da parte del parlamento europeo nei confronti degli indagati. I quotidiani rassicurano il lettore forcaiolo, anticipandogli che difficilmente i parlamentari avranno l’ardire di negare l’autorizzazione, a meno di non voler incorrere in un linciaggio mediatico. Il fatto che gli indagati siano tutti appartenenti a razze inferiori (arabi, marocchini, italiani, greci, ecc.) e che la clepto-burocrate ariana pura che comanda la Commissione Europea non sia neppure sfiorata, non pone dei dubbi neppure ai più accesi oppositori.
Si può quindi tenere l’opinione pubblica inchiodata per mesi a delle suggestioni mediatiche, senza che i capri espiatori di questa bolla mediatico-giudiziario dimostrino la minima capacità di reagire. Purtroppo ci sono delle gerarchie da rispettare: se i media compatti impongono una narrazione, a quella occorre sottomettersi, a meno di non voler rischiare umiliazioni persino peggiori. Nei romanzi di Balzac e di Maupassant il giornalismo veniva raccontato come un fenomeno di delinquenza comune, per cui i giornalisti erano rappresentati come individui abietti e depravati. Eppure oggi si riconosce ai giornalisti un primato morale, in quanto rappresentanti dell’opinione pubblica. A sua volta però l’opinione pubblica non è in grado di rivendicare alcun primato morale; semmai dovrebbe reclamare un diritto ad essere informata, non certo a giudicare. Al contrario, di informazione ne viene concessa pochissima, ma i media surrogano efficacemente questa mancanza facendo partecipare le masse all’ebbrezza dell’ascesa sul piedistallo del giudice. La celebrazione mediatica della debacle morale della sedicente sinistra crea abbastanza suggestione e distrazione da consentire all’attuale governo di destra di sottrarsi al mirino mediatico, per cui deve al massimo ripararsi da qualche proiettile di rimbalzo. Per il governo Meloni è una rendita di posizione non indifferente.
Carlo Calenda ha consentito alla Meloni di stravincere le elezioni, ma i media mettono alla gogna l’attuale gruppo dirigente del PD, e la “sinistra” in genere. Al di là di queste polemiche contingenti e pretestuose, va chiarito che il PD non può essere considerato l’artefice e l’autore di questo disarmo morale e intellettuale della “sinistra” nei confronti del sistema mediatico. Il problema risale ai fatidici anni ’70. Qualcuno ricorderà la famosa intervista pre-elettorale del 1976 dell’allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, al “Corriere della Sera”. In quell’intervista rilasciata al giornalista Giampaolo Pansa, Berlinguer “confessava” di sentirsi più sicuro “di qua”, cioè nel Patto Atlantico, che nel Patto di Varsavia. Certo, si può sottolineare che Berlinguer sfumava l’affermazione con molti distinguo, diceva che i problemi ci sono anche di qua e che molti avrebbero fatto di tutto per evitare che il PCI entrasse nell’area di governo. Ma l’affermazione rimaneva: Berlinguer non si era affatto limitato a sostenere che il PCI rinunciava realisticamente all’obbiettivo di uscire dalla NATO per non destabilizzare il quadro internazionale, in quanto anche il semplice tentare di svincolarsi dal Patto Atlantico avrebbe suscitato reazioni violentissime da parte degli USA. Berlinguer aveva invece coronato questa scelta di opportunità con un giudizio di valore: il sistema occidentale aveva i suoi problemi e difetti, ma era ritenuto comunque preferibile al sistema sovietico.
Berlinguer non si era quindi limitato alla riscoperta dell’acqua calda del carattere non socialista dell’Unione Sovietica, ma aveva determinato una nuova scelta di campo del PCI, ed anche un’auto-delegittimazione della propria storia politica; ciò non attraverso una decisione congressuale, bensì mettendo il partito davanti al fatto compiuto tramite un’intervista, L’intervistocrazia consentiva a Berlinguer di scavalcare le dinamiche interne al partito, ma ciò comportava un pedaggio da pagare, in quanto si delegittimava la struttura di partito, mentre invece si riconosceva ai media un ruolo privilegiato come luogo in cui il leader poteva esercitare il proprio carisma. Ma se il leader trova nei media il luogo privilegiato dove esprimere il proprio potere, di fatto offre ai media anche il potere di manipolarlo. Non a caso l’intervistatore Pansa riusciva addirittura ad infilare tra le sue finte domande a Berlinguer anche un’affermazione del tutto irrealistica, secondo la quale vi erano più possibilità di costruire il socialismo nel campo occidentale che in quello sovietico; bastava andare a chiedere al povero Allende buonanima quanto fosse vero.
In definitiva Berlinguer smentiva se stesso: da un lato diceva che non si doveva uscire dalla NATO per non turbare l’equilibrio di potenza, dall’altro poi rompeva quell’equilibrio riconoscendo la superiorità morale del sistema occidentale e quindi, di fatto, cambiando schieramento. Si è spesso superficialmente obiettato che il gesto di Berlinguer era stato ininfluente sul rapporto di forza militare tra NATO e URSS, quindi non si potrebbe dare un grande peso a quelle sue dichiarazioni. Ma sul piano della guerra psicologica e di propaganda la scelta di Berlinguer aveva certamente un effetto, e non trascurabile, visto che il PCI era il maggiore partito comunista in Europa. Quando oggi Enrico Letta pretende di spacciare uno scontro tra potenze imperialistiche come una lotta tra il Bene e il Male, si sta muovendo nella linea tracciata in quell’intervista del 1976.
La “sinistra” rinunciava ai suoi “dogmi” per sottomettersi al mainstream; e, per impallinare quei dogmi, i leader continuavano a ricorrere all’intervistocrazia. Nel gennaio del 1978, il segretario della CGIL, Luciano Lama, rilasciò un’intervista ad Eugenio Scalfari, il direttore del quotidiano “La Repubblica”. Lama dichiarava che il sindacato rinunciava a dare la priorità alla rivendicazione salariale e che non si sarebbe opposto ai licenziamenti se le imprese non fossero state in grado di sostenere economicamente quei posti di lavoro. Lama dava quindi credito ad un’immagine di imprenditore idealizzato, interessato esclusivamente all’aspetto produttivo della propria impresa e quindi incapace di sacrificare i posti di lavoro per spostare i capitali dalla produzione alla speculazione finanziaria. Con quella semplice dichiarazione Lama faceva intendere agli imprenditori che c’era il via libera ai licenziamenti ed alla riconversione finanziaria delle imprese. Anche le parole di Lama, come quelle di Berlinguer, non erano solo parole, ma incidevano sull’equilibrio dei rapporti di forza tra le classi. Si potrà sempre dire che i processi di ristrutturazione capitalistica erano comunque in atto, per cui certe interviste sono state dettagli irrilevanti; ma rimane il fatto che un capo sindacale ha cambiato le carte in tavola con un annuncio.
Per compiacere il suo intervistatore, Lama infatti andava persino oltre, lanciandosi in una fustigazione morale nei confronti di quei lavoratori cassintegrati che si impiegavano nel lavoro nero. Come a dire: ti difendo l’operaio solo se si dimostra perfettino e moralmente irreprensibile, cioè mai. Lo stesso inghippo pseudo-logico oggi lo si allestisce sul cosiddetto reddito di cittadinanza: i poveri possono avere diritto al sussidio solo se sono moralmente irreprensibili, e si può difendere i poveri solo se si è moralmente irreprensibili. Il congresso dell’EUR delle confederazioni sindacali si sarebbe svolto nel mese successivo, il febbraio del 1978; quindi con l’intervista di Lama ancora una volta non solo si mettevano gli iscritti davanti al fatto compiuto, ma soprattutto si ribadiva che la struttura organizzata del radicamento sociale diventava secondaria rispetto al rapporto media-leader. La forma-partito è passata dal radicamento sociale al radicamento mediatico, e ciò spiega lo spaventoso potere personale, l’arroganza da guardiani del pensiero, che oggi sono in grado di esibire un Bruno Vespa o un Enrico Mentana.
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