Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nel loro gioco di ruolo, il governo (o presunto tale) ed i suoi altrettanto presunti detrattori si ispirano agli stessi criteri polizieschi e punitivi. Il governo Meloni ha avviato l’abolizione del cosiddetto “reddito di cittadinanza” (che in effetti è solo un sussidio ai disoccupati ed agli indigenti), ciò in nome del contrasto all’abuso che di questo strumento si farebbe da parte di “furbetti” e “fannulloni”. I “critici” del governo invece attaccano una misura come l’aumento al tetto dell’uso del contante, in quanto favorirebbe l’evasione fiscale. Al di là delle pantomime polemiche e dei wrestling opinionistici, la costante, l’invarianza, il criterio-guida consistono sempre nel moralismo, nella ricerca del potenziale colpevole da colpire preventivamente, mentre manca completamente la ricerca di un riequilibrio sociale, cioè di evitare eccessive concentrazioni di ricchezza e di potere.
I sussidi di disoccupazione rendono i lavoratori un po’ meno ricattabili, perciò attenuano lo squilibrio nel rapporto di forze tra l’imprenditore e i suoi dipendenti. Uno dei luoghi comuni più infondati è che il capitalismo sia intrinsecamente diverso dal sistema schiavistico; in realtà è diverso soltanto per un aspetto, e cioè che il capitalismo non è disposto a farsi carico del mantenimento degli schiavi, ma il fatto di non corrispondere alcun salario gli va benissimo. Il brutale “non ti pago perché ti sto insegnando un mestiere”, oggi viene reso con eufemismi come stage o formazione. Salvo le poche e lodevoli eccezioni personali, gli imprenditori come categoria non si pongono il problema del mantenimento della forza lavoro e sono pronti ad approfittare del timore dei dipendenti di rimanere tagliati fuori dal mercato del lavoro pur di corrispondere salari al di sotto della soglia di sopravvivenza. Ciò non può che portare ad una spirale di miseria la gran parte della società, con effetti distruttivi a catena sul processo economico.
Impedire il crollo dei salari invece avvantaggia l’intero sistema economico, poiché evita la caduta della domanda dei beni di consumo e, di conseguenza, anche dei beni strumentali necessari a produrli. I sussidi di disoccupazione rientrano tra quelle misure che in gergo economico si definiscono “anticicliche”, cioè di contrasto alla recessione; ed in quel senso sono tra le misure più efficaci. Al contrario, nulla assicura che i tanti sussidi elargiti agli imprenditori vengano realmente utilizzati nell’economia reale invece che nelle solite speculazioni finanziarie. Si è visto che molto spesso le imprese utilizzano i finanziamenti pubblici per attuare il
riacquisto di proprie azioni, in modo da tenerne più alto il valore e poi alla fine incassarne anche il dividendo. Un altro demenziale luogo comune del politicamente corretto è che il fisco sia uno strumento di redistribuzione del reddito attraverso il welfare. Ma il fisco fiabesco è falsificabile empiricamente, in base all’esperienza immediata, e si regge solo tramite la propaganda vittimistica del padronato. Una delle fiabe che circolano è che lo Stato abbia dato soldi alla FIAT perché questa assumesse più lavoratori; la realtà è l’esatto opposto: furono i miliardi regalati alla FIAT dal governo alla fine degli anni ’70 a consentirle di finanziarizzare la propria attività e quindi di licenziare migliaia di lavoratori.
I limiti all’uso del denaro contante vanno ugualmente a scapito dell’economia reale, poiché cristallizzano il rapporto di forza a favore della finanza. Da tempo è noto l’effetto psicologico di induzione all’indebitamento nei confronti dei consumatori, dovuto al fatto che i mezzi di pagamento elettronico (dalle carte alle app) rendono il denaro invisibile e impalpabile, perciò creano un’illusione di infinità, una sorta di euforica inconsapevolezza nello spendere oltre le proprie disponibilità; ed il fenomeno è stato riconfermato da
un recente studio in Finlandia.
Le commissioni bancarie sui pagamenti elettronici funzionano inoltre come una vera e propria imposta progressiva sull’economia reale. Anche la più bassa delle commissioni trasferisce, passaggio dopo passaggio, le risorse monetarie verso le banche. Il prelievo può apparire irrilevante se riferito alla singola persona, ma, se viene comparato al sistema economico nel suo complesso, diventa enorme. L’abolizione del contante,
il “no-cash”, è promosso e raccomandato da benefattori del calibro di Bill Gates e del Forum di Davos, in quanto i pagamenti elettronici favoriscono l’inclusione finanziaria dei poveri. Non è un caso infatti che tra i più “banchizzati” ci siano proprio i migranti, i quali ogni anno trasferiscono in rimesse ai propri Paesi di origine qualcosa come cinquecento miliardi di dollari l’anno, con il business delle relative commissioni incassate dalle banche. I poveri sono una gallina dalle uova d’oro e si fanno i migliori business derubandoli, ovviamente per il loro bene, mica per altro.
Le banche già sfruttano la propria posizione di forza per scoraggiare l’uso del contante e infatti per i prelievi agli sportelli Bancomat si pagano commissioni elevatissime. Pochi giorni fa è arrivato
il grande giustiziere da strapazzo, l’Antitrust, a bacchettare il cattivissimo monopolista; ma Bancomat ha fatto subito sapere che l’alternativa alle commissioni elevate è la chiusura degli sportelli, poiché erogare quel servizio gli costerebbe troppo.
Tra i promotori del no-cash non poteva mancare
la Banca d’Italia, con i suoi studi sempre puntuali. È una vergogna che gli studenti vengano ancora costretti a leggere fossili come Dante Alighieri, rimasto all’obsoleta “contradizion che nol consente”; mentre l’illuminata Banca d’Italia ci fa sapere che il futuro ed il progresso stanno nell’ossimoro sistematico, nel dire tutto e il contrario di tutto. Da un lato infatti la Banca d’Italia promuove i mezzi di pagamento elettronici in quanto sarebbero più sicuri e trasparenti, poi ci dice che, per farli accettare, bisogna renderli sicuri e trasparenti. La digitalizzazione apre infatti tutto un nuovo territorio inesplorato a disposizione del furto e della frode; c’è già adesso, figuriamoci cosa ci sarà quando il denaro elettronico sarà sostituito dalle cripto-valute. Per contrastare questo sterminato potenziale di illegalità occorrono dei controlli, i quali ovviamente hanno un costo che andrà a scaricarsi sulle commissioni pagate dagli utenti. La digitalizzazione è già di per sé uno strumento di controllo, ma il controllo del controllo apre nuovi margini al business; tanto c’è l’utente che paga. Alla fine anche il reddito di cittadinanza si renderà digeribile per il nostro establishment se ci si metterà su un bel business del controllo digitale, preferibilmente costosissimo.
Ci si prospetta tutto un futuro distopico a base di cripto-valute virtuali, biopolitica digitalizzata e biometria. Beninteso, tutte queste visioni del futuro potrebbero rivelarsi solo promozioni pubblicitarie, con le quali le multinazionali del digitale stanno vendendo sogni di controllo assoluto ai governi. Quel che invece è certo riguarda il presente distopico, cioè il fatto che oggi i poveri siano costretti a pagare sempre di più per farsi controllare.
Nessuno può ragionevolmente dubitare che l’Unione Europea sia un letamaio; anzi, l’intera architettura dell’UE è stata progettata da menti criminali. La frode è un reato che presuppone la finzione e la dissimulazione, infatti l’UE è una macchina di lobbying per gli interessi delle multinazionali, ma camuffata sotto una veste politico-tecnocratica; in altri termini si tratta di una cleptocrazia, oggi guidata, non a caso, da un personaggio come Ursula Von Der Leyen, pervenuta all’alta carica in ragione di un personale curriculum di corruzione in patria. Ma ciò non implica affatto che una regola generale, desunta dagli episodi passati, possa essere pedissequamente e pregiudizialmente applicata a tutti gli episodi presenti e futuri, anzi bisogna comunque valutare caso per caso. Non si può infatti fare a meno di notare che la narrazione sullo scandalo delle “mazzette dal Qatar” fa acqua da tutte le parti.
L’imbecille professionista non nota la differenza e quindi mette tutto nel calderone complottista, ma qui non si tratta di domandarsi cosa ci sia dietro, bensì di notare cosa c’è davanti; anzi, è proprio l’evidenza a fornirci i dettagli più interessanti. Mentre
i media dirigono a bacchetta i coretti degli indignati a comando, al di fuori del mainstream qualche commentatore ha fatto caso alle incongruenze del racconto. Anzitutto abbiamo degli imputati al di sotto del sospetto, dato che il parlamento europeo non conta nulla, perciò non si comprende cosa si siano potuti vendere quei parlamentari, se non discorsi irrilevanti, in quanto pronunciati in un contesto irrilevante. Poi c’è l’inconsistenza del movente del presunto corruttore: si è arrivati persino a mettere in mezzo la questione dell’assegnazione dei mondiali di calcio, che è storia di anni fa e non c’entra niente con l’UE. L’unico elemento concreto e sospetto sembrerebbe consistere in quei sacchi di denaro contante, il che è certamente un ottimo spot pubblicitario alla Gabanelli contro il denaro contante. Se però si fosse trattato di un conto numerato in Svizzera o alle Isole Cayman, non sarebbe stato meno grave o meno sospetto, e comunque avrebbe comportato un reato di evasione fiscale; avrebbe soltanto determinato un minore effetto suggestivo sull’’opinione pubblica. Uno dei fondamenti dello “Stato di Diritto” dovrebbe essere la precisione dell’accusa, che andrebbe esposta in modo circostanziato, non evocativo. Ma la prima delle imprecisioni pare sia proprio lo Stato di Diritto, che nessuno ha mai visto da nessuna parte.
Tra l’altro siamo nell’epoca delle mazzette legalizzate tramite le conferenze pagate a milioni di dollari al più scalcagnato dei politici; quindi non si capisce a cosa servano quei sacchi di denaro contante e quei sotterfugi. Poi ci sarebbe di mezzo una petro-monarchia che è anche una potenza mediatica mondiale, in quanto possiede la tv Al Jazeera. Il regime del Qatar non ha bisogno di ripulire la propria immagine poiché ha dimostrato di essere in grado di distrarre l’attenzione da sé creando mostri altrove. Fu proprio
Al Jazeera, a inventare nel 2011 la falsa emergenza umanitaria in Libia che giustificò l’aggressione da parte della NATO, e le notizie fabbricate in Qatar diventarono la fonte per tutti i media occidentali. Non mancarono anche allora incongruenze narrative, che però furono aggirate da quel personaggio imbarazzante che era Pietro Ingrao con il solito giudizio moralistico: visto che Gheddafi era un mascalzone si poteva anche sorvolare sul fatto che i suoi accusatori erano alle dipendenze di un Paese in partnership militare con gli USA e con la NATO dagli anni ’90. Nel 2011 Emma Bonino conduceva campagne mediatiche contro Gheddafi, perciò non ci sarebbe niente di strano che il Qatar finanziasse le ONG della stessa Bonino, visto che le ONG non campano di puro spirito; anzi, sono collettori di denaro. Del resto, perché sarebbe reato ricevere soldi dal Qatar e non dal Dipartimento di Stato USA o da Soros, visto che sono tutti alleati tra loro?
Nel 2022
la partnership USA-NATO col Qatar si è persino consolidata, ed a gennaio di quest’anno l’emiro Al Thani era stato ricevuto alla Casa Bianca per discutere delle difficoltà di fornitura energetica che l’Europa avrebbe avuto dal mese successivo a causa della prevista guerra. Nonostante i suoi antichi e stretti rapporti con Biden, l’emiro Al Thani avrebbe sentito il bisogno di uno sfessato di Articolo1 per farsi “ripulire l’immagine”. Adesso vai a vedere che la dinastia Al Thani da trent’anni è alleata di Washington e della NATO per colpa dell’oratoria di Panzeri. Qualcuno ha ipotizzato che la vicenda di Panzeri sia una volata di stracci, un depistaggio, per distrarre dal vero scandalo dell’UE, e cioè l’acquisto dei falsi vaccini di Pfizer; ma si tratta appunto di ipotesi. Rimane però il dato di fatto: nel caso Pfizer si sono ormai accertate le frodi ma non si fa nulla, mentre nella vicenda Panzeri ci si affanna ad inseguire il fumo.
Il governo Meloni ha rimediato l’ennesima frustrazione quando è stato costretto a ritirare anche le minime misure a favore del contante; fortunatamente il governo può giovarsi della gogna in cui è incappata l’opposizione. Nell’attuale bolla mediatica che celebra la debacle morale della sedicente sinistra, risulta evidente la tecnica “transitiva”, per la quale l’attendibilità di ogni scandalo si alimenta dello scandalo precedente. Come si può dubitare della colpevolezza di Panzeri, visto che c’è il precedente di Soumahoro? Il caso dell’ascesa e della caduta del deputato di Verdi/Sinistra, l’ivoriano Aboubakar Soumahoro concentra in sé così tanti temi o luoghi comuni cari alla destra, da sembrare una sceneggiatura curata in ogni minimo dettaglio. Soumahoro è il bersaglio perfetto per la destra, in quanto raccoglie nella sua persona una serie di elementi simbolici di una certa sinistra ben educata:
· se non nella biografia, almeno nell’oleografia sarebbe un immigrato che è arrivato come clandestino dall’Africa ed ha lavorato insieme con i suoi compagni nei campi-lager di raccoglitori immigrati;
· ha lottato per migliorare le loro condizioni, difendere i loro diritti, sindacalizzarli;
· si è emancipato studiando e lottando in prima fila contro lo sfruttamento dei caporali;
· è approdato in parlamento per portare finalmente la voce degli “ultimi degli ultimi”, tanto che persino
i giornali di destra sono stati costretti a trattarlo con riguardo.
Poi d’un colpo tutto cambia di segno e la narrazione della “sinistra” crolla miseramente. Pur non essendo indagato, né accusato di alcunché, Soumahoro rivela le falsità della “sinistra” e l’ipocrisia o l’ingenuità di ogni aspirazione all’equità sociale e all’emancipazione:
· Soumahoro sarebbe sì arrivato come immigrato clandestino, ma probabilmente tramite complicità criminali;
· ha in effetti lavorato e lottato con gli altri immigrati sfruttati, ma solo per poter ottenere una posizione di prestigio, da sfruttare poi a fini personali;
· è arrivato in Parlamento dicendo di parlare per i più deboli, ma in realtà per fare il proprio tornaconto;
· la moglie, “Lady Soumahoro” (un po’ di misoginia non guasta), amava il lusso, i vestiti eleganti e costosi; la suocera era a capo di una cooperativa che sfruttava i lavoratori immigrati e poi non li pagava;
· una volta scoperto, ha cercato di estorcere compassione e comprensione con l’orrido video del povero negro perseguitato.
Questa sceneggiatura lineare ed efficace viene usata, e forse lo sarà ancora per anni, allo scopo di smentire (come se qualcuno ne sentisse il bisogno) la presunta superiorità morale della “sinistra”. A questo punto, la destra rientra in gioco per affermare la propria “autentica” superiorità morale. Chi contesta i fallimenti e le figuracce del governo di destra (che non ha mantenuto nemmeno la promessa di annullare le multe ai no-Pfizer), può essere zittito semplicemente urlandogli “Soumahoro” o “Panzeri”. In effetti, al di là di una vuota retorica sulla rettitudine e l’onore della “destra”, il sotto traccia, il senso profondo, del discorso della destra potrebbe essere: noi siamo dei farabutti come voi, siamo corruttibili e corrotti come voi, siamo pronti a delinquere come voi, siamo criminali come voi … ma con due differenze decisive:
· sappiamo farlo meglio di voi e facciamo della nostra criminalità un “successo” sociale, non siamo degli improvvisati;
· non ostentiamo la superiorità morale di chi difende i più deboli; e quindi siamo molto meno ipocriti, bugiardi, doppiogiochisti, traditori, ambigui, sleali, subdoli di quanto non siate voi.
In questo senso, la “destra” può fare appello ad una superiorità morale più alta rispetto al concetto comune e banale di moralità della “sinistra”. Si tratta della superiorità morale del denaro, che è un movente “puro”, che esenta dalle forche caudine delle giustificazioni e dei processi alle intenzioni. Solo se sei ricco puoi essere credibile quando fai l’altruista, il benefattore e il filantropo; ma se sei povero è evidente che lo fai per un losco secondo fine. Come icone la “sinistra” si faccia bastare Soros e Bill Gates, e lasci perdere gli avanzi di barcone. L’altruismo coercitivo della “sinistra” tornerà di moda quando ci sarà qualche altro pseudo-vaccino o lasciapassare da imporre, per cui basterà aspettare il proprio turno senza battere troppo la grancassa per i poveri.
Soumahoro ha svolto la funzione del birillo strategico nel bowling: colpito lui, si è fatta saltare l’intera fila, a cominciare dal suo mallevadore Fratoianni; ma anche Conte è stato avvisato. Glielo ha fatto capire il commentatore Luca Ricolfi: va bene che nel gioco delle parti Conte faccia l’amico dei poveri, ma cerchi di non immedesimarsi troppo nella recita, altrimenti risulta diseducativo e finisce pure che i poveri si sentono importanti. Disertare la Prima della Scala per andare ad ascoltare i neomelodici insieme col popolino di Scampia, è veramente una mancanza di rispetto. Conte è un avvocaticchio di provincia, ma comunque sarà in grado di capire quanto sia insidiosa l’accusa mossa alla suocera di Soumahoro: il reato fiscale di fatturazione falsa, dal quale è difficilissimo discolparsi e, ammesso che ci riesci, nel frattempo ti sei dovuto esporre al ludibrio mediatico e persino dimettere per “coerenza”, fidando nella mitica “imparzialità della magistratura”.
I 5 Stelle sono gli eredi di uno dei feticismi del PCI berlingueriano e post-berlingueriano: il culto della magistratura. Le destre concepiscono l’idolatria della magistratura come in certi culti pagani, nei quali se l’idolo non faceva il suo dovere veniva anche picchiato: sei imparziale se mi assolvi, altrimenti sei una “toga rossa”. Al contrario, le “sinistre” e i 5 Stelle si prostrano un po’ troppo davanti all’idolo, e ciò rende vulnerabili, come si è confermato in questi ultimi umilianti episodi.