Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Qual è la differenza tra l’autocrazia russa e la nostra democrazia occidentale? La differenza è che in Russia chi parla male di Putin rischia la galera, mentre da noi, in democrazia, si può parlar male di Putin senza correre rischi, anzi, del tutto liberamente. Chi voglia abusare delle libertà democratiche per estendere la critica anche altrove, viene opportunamente monitorato e tenuto nel mirino, come ad avvisare: per ora ti lasciamo ancora parlare, ma non si sa mai quello che potrebbe capitarti. Sul Corriere della Sera del 4 luglio, si scomoda addirittura la sacerdotessa del politicamente corretto, Milena Gabanelli, che, insieme con la sua chierichetta Simona Ravizza, dedica un ampio articolo/inchiesta all’influenza della propaganda russa sui siti web di informazione alternativa.
Senza l’attività velenosa dei troll russi certe teorie spericolate ed eccentriche non sarebbero mai venute in mente a noi comuni cittadini del Sacro Occidente. Gabanelli e Ravizza denunciano infatti che proprio da una di queste centrali putiniane di disinformazione, proviene la tesi secondo cui gli USA vorrebbero prolungare la guerra per aumentare i profitti per la vendita di armi. Prima d’ora chi aveva mai osato collegare gli eventi bellici al business? Immaginiamo il cervello di questi poveri troll che sta ancora fumando per lo sforzo mentale, per cui sarebbe urgente inviargli qualche borsa di ghiaccio.
Sarà il caso allora di consultare a riguardo qualche organo di informazione più affidabile come Sky News, che dedica una ricerca proprio al tema dei profitti che stanno realizzando in questo periodo tutte le multinazionali delle armi. L’infezione della disinformazione putiniana deve essere arrivata anche lì, visto che pare davvero che attualmente sia un bengodi non solo per i bilanci delle grandi multinazionali come Lockheed Martin, Raytheon Technologies e Northrop Grumman, ma anche per le più umili aziende nostrane come la ex Finmeccanica, ribattezzatasi Leonardo. L’attuale bellicismo del PD è stato messo da alcuni in relazione con gli affari di Leonardo e del suo AD, Alessandro Profumo, iscritto appunto al PD; ma ovviamente si tratta di calunnie.
Un’altra centrale di disinformazione in odore di putinismo con sede a Londra, una certa Agenzia Reuters, l’anno scorso riferiva dei conflitti di interesse dell’attuale segretario alla Difesa USA, Lloyd Austin, ex militare che, una volta in pensione, era andato a sedere nel Consiglio di Amministrazione della Raytheon Technologies, diventandone anche azionista. La Reuters calcolava a circa un milione e settecentomila dollari i proventi di Austin come buonuscita da Raytheon.
Tutti gli Stati della NATO stanno inoltre aumentando i bilanci militari, comprese la Svezia e la Finlandia che, grazie all’ingresso nelle nove agenzie di spesa della NATO, potranno partecipare alla spartizione dei contratti di appalto e fornitura, per cui valeva la pena di fare la figura dei quaquaraquà svendendo i Curdi. Nessuno dubita che tutto ciò sia fatto esclusivamente in difesa della democrazia, ma il flusso di miliardi è ingente e, si sa, la carne è debole.
Magari c’è la possibilità che la disinformazione russa attinga proprio ai media occidentali. Huffington Post ci fa sapere che alla televisione russa un analista ha sconfessato la propaganda del regime descrivendo i tracolli dell’esercito russo. Le stesse vicende amene che ci raccontavano i media occidentali sino a qualche settimana fa. O forse era stata proprio la disinformazione russa ad esagerare le proprie difficoltà sul campo in modo da creare il clima di euforia mediatica atto ad indurre il governo ucraino a scelte tattiche sconsiderate. Chissà. L’attuale propaganda occidentale potrebbe persino rappresentare l’ottimo per la Russia, alla quale non interessa l’aura della bontà, anzi, fa gioco sfidare la retorica buonista e l’ipocrisia dei governi occidentali; neppure interessa alla Russia apparire troppo forte poiché ciò potrebbe rendere diffidenti i potenziali alleati. Alla Russia conviene rappresentarsi esattamente per quello che è: un imperialismo minore e tardigrado, che però è ridiventato aggressivo ed insofferente al predominio statunitense.
Un’altra pazzesca “fake news” denunciata dal duo Gabanelli-Ravizza riguarda presunte difficoltà che le sanzioni imposte alla Russia starebbero creando ad un’economia occidentale già precedentemente in difficoltà per l’emergenza Covid. Nel marzo scorso però un sito specializzato nella caccia alle fake news, l’Open Online di Enrico Mentana, aveva rilanciato un’intervista all’accademico e presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, il quale affermava che con le sanzioni ci facciamo del male, perché i prezzi dell’energia potrebbero andare fuori controllo.
Tabarelli deve però aver cambiato idea, poiché ultimamente si è fatto entusiastico promotore del razionamento energetico, un provvedimento che causerebbe sicuramente deindustrializzazione e disoccupazione, oltre che uno strapotere delle aziende fornitrici di energia, mentre gli effetti sul contenimento dei prezzi di gas e petrolio rimarrebbero negli auspici. Anzi, le stesse operazioni di razionamento comporterebbero dei costi aggiuntivi. Il motivo della improvvisa euforia di Tabarelli va probabilmente ricercato in un meccanismo economico piuttosto complesso e criptico, che è in grado di comprendere solo chi abbia conseguito almeno un Master in Economia e Finanza. Il meccanismo in oggetto si chiama: “Tanto c’è il fesso che paga”. Sulle bollette energetiche si può sempre inserire qualche nuova voce.
La Gabanelli si era occupata della vicenda della Sogin, la società a capitale pubblico addetta allo smaltimento delle scorie nucleari, che nei giorni scorsi è stata commissariata. La Sogin avrebbe dovuto smaltire le scorie delle vecchie centrali nucleari italiane attualmente in “decommissioning”. Lo ha fatto solo in minima parte, ma intanto quattro miliardi di “oneri di sistema” si sono scaricati sulle bollette energetiche degli utenti italiani.
Le stesse identiche notizie possono essere quindi considerate vere o false a seconda di chi le diffonde. Anche se la fonte di una notizia è un organo di informazione accreditato, o addirittura un canale istituzionale, questa diventa ugualmente una “fake news” allorché venga rilanciata dal soggetto “sbagliato”. Non si tratta di vero o di falso, bensì di gerarchie della comunicazione. In una società gerarchica esiste una sola verità che conta realmente, ed è appunto la gerarchia a cui sottomettersi.
Il giornalista Federico Rampini rappresenta il modello ideale dell’italiano, infatti si è preso la cittadinanza americana, il che gli conferisce uno status, un rango particolare. Da questa condizione di privilegio morale e geografico può dedicarsi senza rischi allo sport nazionale, cioè istigarci alla guerra civile, in questo caso contro i “putiniani”, che secondo Rampini sarebbero in Italia un partito “immenso”. Le incongruenze del messaggio sono dissimulate con la tipica retorica suggestiva in cui si alternano moralismo e cinismo per confondere le acque. Non a caso Rampini prima predica ossessivamente che l’Occidente dovrebbe liberarsi dei suoi sensi di colpa verso il proprio passato coloniale, poi si indigna a morte se la Russia continua a considerare l’Ucraina come una propria colonia e non come una colonia USA. Il problema è che il colonialismo occidentale non è mai “passato”, quindi è una balla che l’Occidente si senta in colpa, semmai è solo ipocrisia. L’ultimo mantra che Rampini ci impone è che l’accordo con l’altro autocrate, il dittatore turco Erdogan, sarebbe giustificato dalla priorità in campo, che oggi vede Putin come maggiore pericolo; ciò allo stesso modo in cui Roosevelt si alleò con il diavolo Stalin contro Hitler.
In realtà non c’è niente di concreto che indichi che Erdogan sia peggio della media dei leader delle mitiche democrazie occidentali, poiché, in quanto a crimini, nessuno si fa mancare nulla. Il problema semmai sarebbe di capire come mai in dieci anni la Turchia sia balzata dalla mediocrità al ruolo di grande potenza. Tutto è partito dall’aggressione della NATO alla Libia del 2011, avviata da Francia e Regno Unito; un’aggressione a cui la Turchia non partecipò direttamente, ma attraverso il suo alleato e finanziatore, il Qatar. A creare il mostro mediatico Gheddafi furono infatti le fake news di Al Jazeera, di proprietà di Al Thani, all’epoca emiro del Qatar.
Oggi la Libia è divisa in due sfere d’influenza, ad ovest la Tripolitania e Sirte, sotto il controllo della Turchia, e ad est la Cirenaica, sotto il controllo della Russia. Regno Unito e Francia sono completamente fuori gioco; ed il bello è che il presidente francese Sarkozy aveva aggredito la Libia per strapparla all’Italia, in modo da chiudere l’anello della colonizzazione del nostro Paese, occupando anche l’altra sponda del Canale di Sicilia. La Francia fece il tipico sforzo inutile, dato che per colonizzare l’Italia basta chiedere, poiché l’oligarchia italica è sempre in cerca di sponde imperialistiche estere per poter opprimere meglio la propria popolazione. L’Italia è già in gran parte una colonia francese, ma ora, sempre grazie alla Francia, si avvia a diventare anche una colonia turca, visto che i flussi di petrolio dalla Libia dipendono dal benestare di Erdogan, a cui Draghi oggi si inchina, dopo averlo chiamato “dittatore” lo scorso anno.
La destabilizzazione della Siria non è stata operata direttamente dalla NATO, ma USA, Francia e Regno Unito ci hanno messo del loro, insieme con l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia. Il risultato di quella destabilizzazione è che oggi anche la Siria è spartita di fatto tra Turchia e Russia. La Turchia e la Russia quindi per ben due volte hanno agito con logica spartitoria, in Libia ed in Siria. Cosa impedirebbe che possa accadere altrettanto con l’Ucraina?
Russia e Turchia sono imperialismi in durissima competizione da secoli; d’altra parte Russi e Turchi si capiscono a vicenda, persino nei loro rispettivi miti fondanti, per quanto campati in aria. Sia agli uni che agli altri devono invece risultare del tutto incomprensibili i leader occidentali, che appaiono sempre come esaltati propugnatori di verità tanto assolute quanto effimere. Per capire come funziona il Sacro Occidente, occorre tener presente la sinergia tra le Borse e i media; e, non a caso, nello stesso periodo in cui furono costituite le prime società per azioni, nacquero anche le prime Gazzette. Bolle finanziarie e bolle mediatiche si alimentano a vicenda, per cui il cosiddetto Occidente non è altro che un gigantesco reato di aggiotaggio: notizie infondate che alimentano business che non avrebbero alcuna ragione di esistere, come le armi o i vaccini. Il moralismo dei media e l’affarismo delle Borse vanno in sinergia creando fantasmi di minacciosi super-nemici; nemici che possono cambiare a seconda delle esigenze, per cui il cattivo del giorno prima diventa il buono del giorno dopo. Il Sacro Occidente non conosce il senso della misura: prima ti spingono al consumismo ed alla ricerca del superfluo, poi d’improvviso ti lesinano persino la doccia, perché il business di moda ora è il razionamento.
Valeva la pena di tradire gli alleati curdi, consegnandoli ad Erdogan? La rimozione del veto turco all’entrata di Svezia e Finlandia nella NATO non cambia di una virgola il quadro strategico; e non solo perché Svezia e Finlandia sono già partner NATO dal 1994, ma anche perché con l’esercitazione militare congiunta “Trident” del 2018, l’integrazione dei due Paesi baltici nel livello operativo della stessa NATO poteva dirsi compiuta, a detta degli stessi attori. I Curdi quindi sono stati traditi solo per propinarci la fiaba mediatica secondo cui Putin sarebbe stato punito per le sue malefatte con l’uscita di Svezia e Finlandia da un’inesistente neutralità. L’evento narrato è inesistente, ma l’allarmismo mediatico droga ugualmente i movimenti di capitale, che a loro volta determinano effetti reali.
La dilatazione della NATO ha senso in una logica di business, ma non ne ha in una logica strategica, poiché si squilibrano i rapporti tra gli Stati. I Paesi di frontiera della NATO attuale assumono un ruolo ed un protagonismo che li avvantaggia rispetto ai Paesi che detenevano la posizione di frontiera quando la NATO aveva confini più ristretti. Fronti di destabilizzazione si aprono tra la Germania e la nuova “star” della NATO, la Polonia. La Germania ha recentemente rifilato un bidone alla Polonia, che si è sovraesposta per assistere l’Ucraina. La Polonia ha svuotato i propri arsenali per consegnarli a Kiev, e inoltre accoglie milioni di profughi ucraini. Dal canto suo Berlino ha sospeso l’invio dei blindati e dei finanziamenti che aveva promesso a Kiev e Varsavia.
Poi c’è il riarmo tedesco, condotto senza scrupoli. Con un accordo parlamentare ed una leggina ad hoc, la Germania ha aggirato la sua Costituzione per finanziare a debito il proprio riarmo. Ciò dimostra quanto se ne freghino dei dettati costituzionali anche a quelle latitudini. I primi cento miliardi di investimenti tedeschi in armi possono partire, e c’è da supporre che si aprano tempi duri per le velleità neo-imperialistiche della Polonia.
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