Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Sarebbe giusto elargire ogni tanto una lode ai media mainstream per l’impegno profuso nel tenere tuttora in piedi la finzione sovranista. Attualmente il demone del sovranismo viene identificato dai media in un personaggio innocuo e puramente decorativo come Giorgia Meloni, che viene così esposta agli attacchi dei soggetti più disinformati e suggestionabili. Basterebbe il dato di fatto dell’adesione entusiastica di Fratelli d’Italia al grande raggiro deflazionista del Recovery Fund per smontare tutta la fasulla mitologia meloniana. Un'opposizione minimamente seria non potrebbe fare a meno di notare l’assurda sproporzione tra la miseria dei finanziamenti del Recovery Fund e la ridondanza delle sue vessatorie condizionalità, riscontrando quindi che il vero problema non è affatto la Germania ma l'odio di classe delle oligarchie nostrane, che usano la sponda tedesca per opprimere i lavoratori. Ma a cos’altro servono i media, se non a nascondere l'evidenza?
Analizzando il contesto, si possono comprendere altre motivazioni per cui la finzione sovranista deve essere perpetuata. Un po’ di inflazione darebbe qualche sollievo ai debitori, perciò dalla lobby dei creditori, cioè le multinazionali finanziarie, già partono messaggi che agitano pretestuosamente lo spauracchio di una grande inflazione che sarebbe alle porte. Nel corso di quest’anno le iniezioni di liquidità e le agevolazioni fiscali da parte dei governi hanno alimentato la domanda di materie prime per la produzione. Ciò ha determinato in Europa una piccola ripresa dell’inflazione, che in media si attesta leggermente al di sotto del fatidico 2%, considerato dalla Banca Centrale Europea come obbiettivo desiderabile.
Nonostante le maggiori importazioni di petrolio, il cui prezzo si sta riavvicinando ai 70 dollari, la bilancia commerciale italiana è ancora in forte attivo; un attivo dovuto non tanto alla vitalità delle esportazioni, ma al fatto che le importazioni di materie prime non hanno toccato livelli significativi. Se vi fosse davvero in vista una grande ripresa produttiva, un piccolo deficit della bilancia commerciale sarebbe inevitabile, proprio per le maggiori importazioni di materie prime. Visto che questo deficit commerciale non c’è, vuol dire che non vi sono nemmeno i segnali di un vero rilancio della produzione e dell’occupazione.
Nell’area dell’euro quindi l’Italia sta ancora svolgendo il ruolo di colonia deflazionistica. Quando occorre “raffreddare” l'inflazione, la prima domanda da colpire non è quella di beni di consumo, bensì quella di materie prime. Esistono a questo scopo le colonie deflazionistiche, che sono un po’ come delle valvole per diminuire la pressione: queste aree vengono deindustrializzate in modo che l'inflazione rimanga bassa, permettendo così ad altre aree privilegiate di svilupparsi. La presenza di aree “in via di sottosviluppo” quindi non è un “problema” ma una funzione fisiologica del capitalismo, anche se l’ipocrisia istituzionale ovviamente non lo ammetterebbe mai. In Italia il ruolo storico di colonia deflazionistica è stato svolto dal Meridione, con lo schermo dei fumi e delle liturgie della menzognera “Questione Meridionale”. Nell'ambito dell'area euro, il ruolo di colonia deflazionistica spetta adesso all'Italia, con la parziale eccezione della Lombardia.
Il giornalista contorsionista Ezio Mauro ha cercato di spiegarci come la nascita del governo Draghi sia l’effetto di un fallimento della “politica”. In realtà ciò che è saltato, e non da oggi, è l'equilibrio dei poteri tra il parlamento e la presidenza della Repubblica. Ad avvantaggiarsi di questo ennesimo colpo di mano presidenziale, è stato un partito politico che, con questo nuovo governo, ha assunto un ruolo preminente: la Lega.
Con le sue capacità mistificatorie e camaleontiche la Lega è riuscita persino ad accreditarsi per un certo periodo come partito “sovranista”, mentre invece rimane quello che è sempre stata, un partito separatista ed anche europeista, poiché solo l’Unione Europea potrebbe fornire un ombrello “giuridico” a forme di secessione virtuale. L'anno scorso il presidente della Regione Lombardia, il leghista Attilio Fontana, è stato il grande inventore dell’emergenza Covid in funzione del protagonismo lombardo. Nello stesso periodo Fontana annunciava che il suo obbiettivo era di rilanciare la “autonomia differenziata”, conferendo alla Lombardia anche la possibilità di farsi una propria politica estera.
Uno dei primi atti del governo Draghi è stato appunto quello di rilanciare l’autonomia differenziata, promulgandone i decreti attuativi. A dispetto delle gradassate e delle annesse figuracce rimediate dalla Regione Lombardia durante l’emergenza Covid, la questione della autonomia lombarda è ancora al centro della politica italiana. Solo che l'opinione pubblica non ne va messa al corrente, perciò è bene che si balocchi ancora con l’inesistente minaccia sovranista.
Un nuovo soggetto politico si è affacciato nello scenario italiano: il draghismo di sinistra. Secondo questa concezione, Mario Draghi, col suo prestigio internazionale, può rappresentare un argine alle velleità di ritorno all'austerità che provengono dalla Germania. I sostenitori di questa tesi sottolineano che la loro apertura di credito nei confronti di Draghi non è la soluzione ideale, ma è l’unica che in questa fase abbia una base realistica, vista la mancanza di altre opzioni concrete. Questa visione ha un riscontro anche nella narrazione dei media mainstream. I commentatori più noti per le loro posizioni “frugali” parlano infatti di un tentativo di Draghi di attuare una revisione di fatto dei parametri di Maastricht; un tentativo che sarebbe contrastato dall’ex ministro dell’Economia tedesco, Wolfgang Schaeuble.
Visto che i sostenitori del draghismo di sinistra hanno posto la questione sul piano della concretezza, occorre che anche le eventuali repliche si attengano a questo criterio. La domanda più concreta che viene alla mente è la seguente: quale sarebbe l’effettivo potere contrattuale che la Germania può mettere sul tavolo per opporsi ad un'eventuale linea di sistematici sforamenti di bilancio da parte del governo italiano?
Quando si tratta di capire quale sia il motivo dell’egemonia statunitense sulla politica italiana, si ha il soccorso dell’evidenza: gli USA ci occupano militarmente dal 1943, anno in cui si è consumata la sconfitta italiana nel conflitto mondiale. Quando si cerca invece di individuare i motivi della presunta egemonia tedesca sull’economia italiana nell’ultimo quarantennio, tali evidenze mancano, anzi vi sono indicazioni contrarie. Il tanto paventato ricatto dello spread non può reggere più di tanto, perché farebbe implodere l’euro, che è una droga indispensabile per l'export tedesco, che sarebbe danneggiato dal ritorno ad una moneta troppo forte come il marco.
Inoltre la narrazione corrente secondo cui senza il Recovery Fund l’Italia andrebbe in default, trova una smentita nella reale consistenza di tale meccanismo: tra dare e avere si tratterebbe di 25 miliardi in sussidi e forse (ma forse!) altrettanti in risparmi nel pagamento degli interessi: il tutto spalmato nell’arco di circa cinque o sei anni, però con condizionalità sproporzionate e vessatorie. L'Italia oggi è un Arlecchino che serve due padroni: uno sin troppo vero, gli USA; l’altro fittizio, la Germania, che è utilizzata come un babau dalle nostre oligarchie per imporre tagli dei salari e del welfare. L’evidenza è che la salvezza finanziaria dell’Italia non dipende dal Recovery Fund ma dal Quantitative Easing e dal PEPP, il piano di acquisto di titoli da parte della Banca Centrale Europea: quest’anno 1850 miliardi effettivi erogati, contro gli ipotetici 750 miliardi del Recovery Fund.
Sino al 2008 la deflazione causata dall’euro andava bene agli USA, poiché quel freno allo sviluppo del Sud Europa era anche un freno all’export di gas e petrolio da parte della Russia. Dal 2008 invece la deflazione ha cominciato a trascinare a fondo anche la moneta unica europea. Il Quantitative Easing è stato quindi imposto dagli USA alla UE per tutelare gli interessi della NATO, che risulterebbe compromessa da una dissoluzione del castello europeo. Almeno su questo punto Draghi all'ultimo G7 è stato chiarissimo, affermando che una Unione Europea più forte significa una NATO più forte. D’altra parte il Quantitative Easing è stato avviato massicciamente dalla banca centrale americana, la Federal Reserve, nei primi mesi del 2009, mentre Draghi per adeguarsi al vento di oltre Atlantico ci ha messo, dal suo arrivo alla guida della BCE, quasi quattro anni. Se l'è presa comoda, garantendosi così che la deflazione attuasse il massacro sociale prima di rimediare.
Draghi passa per filoamericano ad oltranza e, almeno a parole, lo è. Sta di fatto che, in materia di contrasto alle politiche di austerità, la sponda americana e della NATO potrebbe essere utilizzata dall’attuale governo. “Potrebbe” ma non lo è. Il governo italiano infatti è l’unico governo europeo che ha deciso di accedere completamente ai prestiti del Recovery Fund, rinunciando quindi ai vantaggi del Quantitative Easing e sottoponendosi alla servitù volontaria delle condizionalità. Sino allo scorso anno da parte dell’opposizione di destra arrivava qualche demitizzazione del Recovery Fund. Con il governo Draghi l’omertà della Lega è stata letteralmente comprata con un ministero dalle mani in pasta, lo Sviluppo Economico, e con il rilancio della famigerata autonomia differenziata.
Inutile per risollevare le sorti dell'economia italiana, il Recovery Fund però un senso ce l’ha e ce lo spiega Lavoce.info, un organo dei liberisti/deflazionisti puri e duri. Secondo Lavoce.info il pregio del Recovery Fund non sta nei finanziamenti, piuttosto miseri, ma proprio nelle condizionalità, che vincoleranno la politica per i prossimi anni, costringendola alle “riforme”. Si tratta perciò di consumare, con l’alibi delle condizionalità, l'ennesima vendetta contro i lavoratori. (5)
Allora la domanda (abbastanza retorica) è: siamo davvero sicuri che Draghi rappresenti forze contrarie alla prosecuzione delle politiche di austerità?
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