Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La vendita di Magneti Marelli da parte di FCA ha suscitato
l’indignazione di Romano Prodi che l’ha sfogata in un articolo sul quotidiano “il Messaggero”. Uno dei gioielli del gruppo ex torinese è stato ceduto ad una multinazionale giapponese per un bel pacchetto di miliardi e il dettaglio dispiaciuto a Prodi (e molti altri) è che il malloppo verrà quasi completamente “pappato” dagli azionisti di FCA. Di investimenti nemmeno l’ombra. Qualcuno potrebbe supporre che i valorosi manager abbiano le mani legate dagli avidi azionisti; sennonché nelle multinazionali ormai tra i principali azionisti ci sono proprio i manager.
Nel suo articolo Prodi ha anche trovato il modo di prendersela con l’attuale governo che, a suo dire, non avrebbe una “politica industriale”. Le repliche che perverranno dai sostenitori del governo sono abbastanza scontate, in quanto si baseranno sul rinfacciare allo stesso Prodi i suoi trascorsi di privatizzatore, come il “regalo” dell’Alfa Romero alla FIAT e lo smantellamento dell’IRI.
Più interessante di queste ovvie polemiche, sarebbe però capire cosa si intenda per “politica industriale”. La risposta la diede nel 2012 Sergio Marchionne buonanima in uno
scambio di battute con l’allora ministro per lo Sviluppo Economico del governo Monti, il banchiere Corrado Passera. Alle lamentele di Passera sul progressivo disimpegno dell’ex FIAT dall’Italia, Marchionne replicava fornendo le cifre delle agevolazioni da lui ricevute per aprire uno stabilimento nello Stato di Pernambuco in Brasile. Lo Stato brasiliano aveva versato l’85% dell’investimento e, non soddisfatto di tanta prodigalità, aveva concesso ulteriori agevolazioni e sgravi fiscali. Lo stabilimento era stato in pratica pagato per intero dalle casse brasiliane, perciò non si capisce perché il Brasile non se lo fosse fatto da sé, dato che non si stava parlando di tecnologie avveniristiche ma di semplici automobili. Marchionne concludeva amaramente facendo notare al ministro che le attuali regole europee non avrebbero consentito altrettanta generosità all’Italia. La considerazione finale di Marchionne rappresentava un esplicito invito al governo italiano a mettersi in concorrenza con gli altri Stati per offrirgli di più. Il testo di Marchionne aveva la potenza rivelatoria di un vero e proprio manifesto del welfare per ricchi.
L’invito di Marchionne ad assistere maggiormente i ricchi è stato raccolto da un’agenzia governativa che, manco a dirlo, si chiama Invitalia. La “mission” di questa agenzia dovrebbe essere quella di “attrarre investimenti esteri”; salvo scoprire che l’investimento ce lo mette quasi interamente Invitalia che, quindi, non attrae un bel nulla, se non la solita manica di super-parassiti multinazionali. La “mission” di Invitalia dovrebbe essere quindi ridefinita come “ente assistenziale per multinazionali”. Insomma, non esistono gli “imprenditori”, semmai i “prenditori”.
L’anno scorso è scoppiato anche un piccolo scandalo, poiché si era scoperto che i finanziamenti che Invitalia versava per lo stabilimento FCA di Termini Imerese, da riconvertire all’auto elettrica, erano in realtà distratti per fare speculazioni finanziarie. Di auto elettriche, ovviamente, nemmeno l’ombra. La scoperta ha portato ad un’inchiesta giudiziaria che, dalla Sicilia, è stata trasferita a Torino, in modo che FCA possa giocarsela in un campo più amico. L’attuale giurisprudenza, sempre favorevole alle multinazionali, conforta l’attesa fiduciosa da parte di FCA di
un esito a tarallucci e vino.
Il Sommo Bardo non aveva del tutto ragione quando diceva che anche con un altro nome una rosa profumerebbe lo stesso. In realtà sostituire il nome di una cosa con un altro, può anche ottenere l’effetto di alterare la percezione dei sensi. Se l’assistenzialismo per ricchi lo chiami “liberismo”, magari puoi anche convincerti che il furto sistematico di denaro pubblico da parte delle imprese private costituisca soltanto una sequela di sfortunati incidenti e non la regola assoluta.
La dicotomia tra destra e sinistra dovrebbe quindi concretizzarsi nell’alternativa tra welfare per ricchi o welfare per poveri. Al contrario, la cosiddetta “sinistra” è la più zelante ad alimentare la fiaba del presunto liberismo e delle sue ancora più presunte virtù creative. Il filosofo Norberto Bobbio ha infatti spostato la dicotomia sul piano dei “valori”: alla destra la libertà, alla sinistra l’uguaglianza; come se il problema fosse quello di controllare l’eccessivo individualismo dei ricchi ed indirizzare la loro “selvaggia creatività” al bene comune. E come si fa a “controllare” i ricchi? Tenendoseli buoni regalandogli più soldi. Nella finta “dicotomia” tra destra e “sinistra”, l’assistenzialismo per ricchi vince sempre.
Massimo D’Alema ha dichiarato di essere sorpreso dal fatto che una persona rozza come Matteo Salvini possa riscuotere tanti consensi. Una possibile spiegazione è che Salvini può permettersi di essere così rozzo perché i suoi antagonisti gli rendono la vita sin troppo facile.
Molti elettori del PD si sono affidati a Nicola Zingaretti sperando che con lui cessasse finalmente il tempo delle follie e iniziasse un periodo di buon senso. Al contrario, Zingaretti ha aperto la campagna elettorale del PD per le elezioni europee invitando come
sponsor il commissario europeo Pierre Moscovici. Il PD poteva anche obiettare al governo che la sua demonizzazione di Moscovici era del tutto strumentale poiché, se si accetta di negoziare, si va a negoziare, senza atteggiarsi a vittime. Ma che senso ha adottare una controparte come nume tutelare? Perché, per fare l’europeista, devi per forza esporti all’accusa di essere anti-italiano?
Il problema è che la comunicazione europeistica è sempre eccessiva, esagerata, esasperata, grottesca, fuori dalle righe, non riesce mai a trovare una misura che la renda plausibile, se non per quella fascia di opinione pubblica, sempre più ristretta, disposta ad affrontare tutto in puri termini di “colpanostrismo”.
L’europeismo è condannato alla sguaiataggine ed alla vaniloquenza del “più-europeismo” per la stessa inconsistenza della costruzione europea. Nel dicembre scorso il quotidiano confindustriale ”il Sole-24 ore” ci faceva sapere che la Banca Centrale Europea affidava gli “stress test” sulle banche a consulenti privati, tra i quali il più grande fondo di investimento del mondo, Blackrock. Pare che l’evidenza del conflitto di interessi (Blackrock è uno dei soggetti più attivi nell’acquisto di banche) abbia suscitato
l’indignazione di alcuni parlamentari tedeschi, tra cui il famigerato Wolfgang Schauble.
Allo scoop del quotidiano confindustriale sono state contestate varie imprecisioni, ma non è stata rivolta l’obiezione più importante, cioè di non essere uno scoop. È infatti almeno dal 2014 che vi sono notizie di
agenzie di stampa sui servizi di consulenza che Blackrock fornisce alla BCE.
Possibile che la BCE sia una tale banda di incompetenti da aver bisogno di pagare profumatamente consulenze private? Possibile poi che debba rivolgersi proprio a quei privati per i quali è più plateale il conflitto di interessi? Alle richieste di chiarimenti, i vertici BCE distribuiscono risposte strafottenti: “Avevamo fretta!”.
La BCE è in preda al lobbismo e nessuno può farci nulla, per cui l’impunità diventa supremazia morale. L’edificio europeo è il paradiso del lobbying e delle porte girevoli tra incarichi pubblici ed incarichi privati. Ogni tentativo di controllo e regolamentazione del lobbying da parte di quegli organismi, pur così occhiuti con gli “zero virgola” dei bilanci statali, cade nel vuoto. Del resto non solo un lobbismo trasparente e controllato perderebbe quasi tutta la sua efficacia, ma c’è anche da rilevare che tutto l’edificio europeo appare costruito pezzo per pezzo
in funzione del lobbying.
Il lobbismo è la forma moderna del domino di classe, un domino defilato dietro il paravento di istituzioni apparentemente asettiche ma in effetti funzionali al lobbismo stesso. Quasi nulla di ciò che riguarda il regno del lobbying nell’Unione Europea sfugge alla comunicazione mainstream, quindi non si è affatto di fronte ad un’informazione da parte di nicchie complottistiche. Ciò non toglie che la stessa comunicazione mainstream sia pronta a rimuovere totalmente la questione del lobbying ogni volta che possa scalfire il mito europeo. Più l’Unione Europea reale fa schifo, più l’unica risorsa dei suoi apologeti è quella di cercare di sottrarla al giudizio umano divinizzandola.
Il passaggio dell’ex presidente della Commissione Europea, il portoghese José Manuel Barroso, a Goldman Sachs aveva sollevato molti dubbi sul suo operato nella vicenda della crisi greca, nella quale era coinvolta Goldman Sachs. Lo stesso Barroso, nella sua nuova veste di lobbista, aveva dato ancora una volta scandalo l‘anno scorso, incontrando in modo non trasparente l’attuale Commissario al Lavoro e vicepresidente della Commissione Europea, il finlandese Jyrki Katainen. Il fatto ha dato luogo ad una serie di
interrogativi “etici”, cioè alle solite recriminazioni ipocrite che lasciano le cose esattamente come stanno.
Quando Barroso, è passato a Goldman Sachs, si è preso anche le blande critiche di Pierre Moscovici, il quale ha puntualizzato che Barroso non faceva nulla di male, ma che il suo comportamento aveva creato
problemi di immagine (solo di immagine, non di legittimità) per la UE. Moscovici concludeva affermando che, dal canto suo, non sarebbe mai passato a Goldman Sachs. Magari farà come Draghi: se ne andrà a Blackrock.