Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nel corso di tutti i TG di venerdì 12 aprile si è molto parlato di una sparatoria avvenuta a Milano.
Per prima cosa è stato detto che si tratta di un fatto "in pieno stile Gomorra", poi che è una cosa molto simile a quella avvenuta due giorni prima a Napoli e si dà il via a un lungo servizio sulla sparatoria ... di Napoli, soffermandosi sulla efferatezza del regolamento di conti avvenuto nei pressi di una scuola, alla fine il senso della notizia risulta che quello che è avvenuto a Milano in realtà era più logico che accadesse a Napoli.
Gli avvenimenti riconfermano puntualmente che il progresso civile è un’illusione. Le brutali modalità dell’arresto nell’ambasciata ecuadoriana di Julian Assange da parte delle autorità britanniche, mostrano un intento vendicativo decisamente sproporzionato rispetto all’effettiva entità dell’offesa ricevuta. Non si tratta solo dello scandalo di vedere il “Paese della Libertà” perseguitare un uomo che ha dedicato la vita alla libertà di informazione, ma soprattutto dell’esibizione oscena e molto poco “british” di
una spietata determinazione vendicativa.
Migliaia di anni fa il Codice di Hammurabi introduceva quel principio che per l’epoca poteva essere considerato persino “progressista” e “laico”: “occhio per occhio”, cioè la vendetta doveva essere proporzionata all’offesa e non superarla. A distanza di tanti secoli, la vendetta si ripresenta invece nella sua accezione più sfrenata ed esagerata, facendo riemergere il nocciolo arcaico e superstizioso delle gerarchie sociali, percepite come sacre, tanto che chi le viola, deve essere perseguitato e martirizzato a prescindere da ogni considerazione di misura e di opportunità. Un Occidente meno “laico” di Hammurabi.
Assange è certamente un Robin Hood dell’informazione libera, ha utilizzato metodi di hackeraggio per ottenere informazioni riservate e diffonderle universalmente. Una competenza che avrebbe potuto essere usata a scopi personali, è stata invece messa al servizio di una battaglia civile. Libri e film contro la sua figura hanno cercato pretestuosamente di presentarlo come un despota paranoico ma, sta di fatto, che eventuali difetti umani non toglierebbero nulla alla nobiltà degli scopi. Le vicissitudini subite da Assange con alcuni suoi infidi collaboratori dimostrano inoltre che non è stato paranoico, semmai non lo è stato abbastanza.
Il punto vero è però che nessuna delle rivelazioni di Wikileaks, pur clamorose, si è dimostrata in grado di scalfire i rapporti di potere. Anche le rivelazioni di un altro Robin Hood della verità, Edward Snowden, non avevano inciso più di tanto sugli assetti internazionali. La “scoperta” che gli USA spiano i propri “alleati” come se fossero nemici, era una scoperta dell’acqua calda e l’afflusso di prove a riguardo non ha fatto che riconfermare ciò che si sapeva, ma che non poteva essere contrastato a causa delle gerarchie internazionali.
Si è consolidato il mito secondo cui la diffusione da parte di Wikileaks delle mail della Clinton avrebbe favorito la vittoria elettorale del cialtrone Trump. In realtà la sconfitta della Clinton era stata prevista per tempo dagli osservatori che si erano attenuti ai dati più ovvi. In base al sistema elettorale americano, una vittoria democratica richiede un ampio margine di voto sull’avversario repubblicano e la Clinton era troppo screditata, sia per i suoi rapporti dinastici e affaristici con Goldman Sachs, sia per i suoi atteggiamenti guerrafondai, perciò era impossibile per lei mobilitare le sacche marginali dell’elettorato democratico, quelle che si smuovono in base a speranza di cambiamento (poi regolarmente deluse).
Tra l’altro il dispetto di Wikileaks alla Clinton, oltre che ininfluente, ha colpito l’anello debole e meno sacrale del sistema di potere, cioè la politica. La vicenda del cialtrone Trump ha messo in evidenza ancora una volta che un Presidente USA conta davvero poco e che le decisioni fondamentali sono monopolio di ben altri potentati; tanto è vero che CialTrump si è immediatamente circondato di uomini di Goldman Sachs. A questo riguardo risulta un po’ patetica
la gaffe del nostro Presidente Mattarella che ha ventilato l’ipotesi di una nomina di Mario Draghi a senatore a vita, forse in prospettiva di una sua nomina a Presidente del Consiglio. Come se un Amministratore Delegato potesse essere contento dell’ipotesi di essere promosso fattorino. Draghi è un uomo del vero potere e infatti è stato divinizzato dai media, mentre per le funzioni servili di senatore o di Presidente del Consiglio di un governo “tecnico”, vanno bene le mezze calzette “usa e getta” come Carlo Cottarelli. Se veramente “qualcuno” avesse deciso di formare in Italia un governo a guida di Draghi, per quest’ultimo sarebbe perciò una pessima notizia, un suo drammatico precipitare dagli altari.
Il problema messo in evidenza dall’esperienza di Assange e di Snowden è che la rivelazione dei “segreti” non cambia le cose. La gran parte delle informazioni decisive sono inoltre già disponibili, spesso sui siti ufficiali dei governi o delle organizzazioni internazionali, eppure vengono ignorate e non arrivano al dibattito pubblico. È stato il sito del Dipartimento di Stato USA a farci sapere di aver destabilizzato il Venezuela con le sue ONG; così come è il sito della Banca Mondiale a metterci a conoscenza del vero motivo dell’ondata migratoria, cioè i business finanziari legati ai cinquecento miliardi di dollari annui di rimesse dei migranti. Ciononostante si continua a parlare di Venezuela o di migrazione prescindendo da queste notizie fondamentali e solo in base a dicotomie “valoriali” tra “buonisti” e “cattivisti”.
In base a valutazioni razionali, il potere avrebbe avuto tutto l’interesse a consegnare semplicemente all’emarginazione ed all’oblio personaggi come Assange e Snowden. Ma il potere non è affatto razionale, tende invece ad autodivinizzarsi e quindi le sue reazioni sono quelle scomposte ed esagerate del nume di fronte al sacrilego.
Assange, bianco di pure origini anglosassoni, deve quindi scontare una colpa più grave di quella delle sue rivelazioni, cioè l’aver “tradito” la propria razza per identificarsi negli interessi e nella sorte dei poveri e dei diseredati del mondo. Oggi che la “Reconquista” dell’America Latina da parte dell’imperialismo USA riconsegna anche Assange ai regolamenti di conti occidentalisti, ci si rende conto che lo spirito vendicativo è fine a se stesso, non va a punire reati o ad ammonire eventuali futuri trasgressori, bensì a riconfermare nel modo più brutale la sacralità delle gerarchie sociali e razziali. Chi viola quelle sacre gerarchie sacre, non va semplicemente punito ma distrutto.