Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Chi ha studiato il catechismo in parrocchia ricorderà che visitare i carcerati rientra tra le “opere di misericordia corporale”. Persino Massimo D’Alema può fare una buona azione, perciò è da lodare la sua iniziativa di visitare l’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, attualmente in carcere per vaghe accuse di corruzione. La buona azione è tanto più rilevante se si considera che costituisce un modo per far capire alle autorità brasiliane che il caso Lula è sotto osservazione, quindi non sarebbe opportuno per loro sbrigare la questione con provvidi “suicidi” in carcere.
Su D’Alema sono piovute invece polemiche e critiche poiché il nome di Lula è legato all’episodio della mancata estradizione nei confronti del latitante Cesare Battisti. Ci si potrebbe chiedere che c’entra il caso Battisti con il Lula attuale, che non è più un presidente ma un detenuto.
In realtà c’entra, dato che sia il caso di Lula che quello di Battisti rientrano nella sfera dei regolamenti di conti, delle vendette. Lula deve scontare agli occhi dell’imperialismo e della oligarchia brasiliana la colpa gravissima di aver comandato un regime un po’ meno ostile agli interessi delle masse. Battisti è stato invece assunto come simbolo e pretesto per una vendetta sociale contro la fase di protagonismo (o di pseudo-protagonismo) popolare degli anni ’70.
Si è molto polemizzato sul fatto che a favore di Battisti si siano mobilitati intellettuali, soprattutto francesi, alcuni dei quali molto impegnati nella difesa del Sacro Occidente, come Bernard-Henri Lévy. La destra ha liquidato il fenomeno nei termini della solita attrazione radical-chic nei confronti del mostro, mentre il problema è tutt’altro, soprattutto di gerarchie imperialistiche. L’Italia è un Paese con una posizione molto debole e subordinata nella gerarchia imperialistica occidentale, quindi non c’è da stupirsi se degli opinion-leader stranieri bisognosi di rifarsi una verginità usano ogni tanto l’Italia come capro espiatorio. Lo ha fatto anche una ONG dei “diritti umani” come Amnesty International.
Se ogni alfiere dell’occidentalismo malmena ogni tanto l’Italia per dimostrarsi puro e imparziale, ciò comunque non può costituire un serio motivo per trasformare la questione della mancata estradizione di Battisti in un’offesa all’orgoglio nazionale. In Italia il partito trasversale della caccia a Battisti ha finito per credere alla propria stessa propaganda, illudendosi di avere il sacrosanto diritto di riscuotere la solidarietà di un’inesistente comunità internazionale contro un inesistente terrorismo; ed illudendosi anche che in Francia non ci si approfittasse di un comportamento così sprovveduto per rivendicare la propria superiorità morale sull’Italia. La civiltà giuridica, lo Stato di Diritto, la Legge sono certamente finzioni per riverniciare la brutale realtà dei rapporti di forza, ma ciò non toglie che qualcuno un po’ più forte di te possa ripescare quelle finzioni per fregarti se gli fa comodo. Il problema della presunta “ubiquità” di Battisti su più luoghi del delitto risultava troppo plateale e perciò era inevitabile che dall’estero venissero all’Italia lezioni di diritto anche dai pulpiti più improbabili.
Si risponde spesso all’ obiezione dell’ubiquità osservando che Battisti è stato sì condannato per due omicidi avvenuti in contemporanea in luoghi diversi, ma in un caso per la presenza fisica, nell’altro per “concorso morale”. Anche la figura giuridica del concorso morale richiederebbe però un minimo di presenza fisica che si concretizzi in un cenno di approvazione o in una pacca sulla spalla. Se hai inviato qualcun altro a commettere un delitto, sei un mandante; se lo hai convinto, sei un istigatore a delinquere. In entrambi i casi saresti direttamente responsabile di un omicidio e non c’è bisogno di ricorrere all’incerta categoria del concorso morale. Oggi ci sono i cellulari e quindi si potrà parlare di concorso morale tramite whatsapp, ma non può essere certo il caso di Battisti.
Il punto è che, seppur con prove discutibili, si era già riusciti a incastrare Battisti per un omicidio e quindi già lo si era candidato all’ergastolo. Ci si sarebbe potuti accontentare e invece si è voluto strafare con il “concorso morale”, non solo per colpire Battisti ma soprattutto per una sorta di investimento sul futuro. Il messaggio era che nessuno poteva e doveva starsene tranquillo: il passato può sempre riemergere e chiunque potrebbe ritrovarsi incriminato per i delitti più impensabili; e non ci sarebbe alibi che possa preservare da questa eventualità, perché contro il “concorso morale” non esiste alcuna possibile prova a discarico. Battisti è quindi il simbolo vivente di un regolamento di conti che non è finito e non finirà mai.
È evidente che dilatando la categoria del “concorso morale” è possibile reintrodurre il reato di opinione: basterebbe il rilancio di un link della convocazione di una manifestazione per rendersi moralmente corresponsabili di eventuali tafferugli. Ma viene dilatata non solo la categoria del “concorso morale” ma anche quella dell’opinione. È sufficiente infatti esprimere perplessità sui vaccini per essere catalogati come “no vax”. A sentire certa stampa sembrerebbe che i “no vax” siano orde invadenti e onnipresenti, quando in effetti si può vivere vite intere senza incontrarne nessuno.
È molto più facile invece incontrare cittadini che confessano la loro ignoranza a riguardo, ma che si preoccupano dei conflitti di interessi delle multinazionali farmaceutiche e del fatto che in queste materie, come in altre, spesso il controllato e il controllore siano lo stesso soggetto. Ma anche questo preoccuparsi dei conflitti di interesse e della perdita di distinzione tra controllato e controllore, può essere immediatamente considerato come “complottismo”. Le tue opinioni vengono dilatate e deformate, configurando l’ipotesi di delittuose corresponsabilità morali nel caso che un non vaccinato si ammali.
Il clima di eterno regolamento di conti costituisce un impulso di destabilizzazione che parte dall’alto e che coinvolge i rapporti sociali in generale. È un clima di guerra civile preventiva che ha invaso da anni anche il management. A Cesare Battisti e ad altri è stato rimproverato di essersi inventati una guerra che non c’era. Ammesso che questa guerra non ci fosse già (e non è vero), oggi non è certo Battisti a volerla proseguire.
Dopo i numerosi assist a Matteo Salvini, i media si sono decisi a dare una mano anche a Luigi di Maio, montando un caso su dichiarazioni “confidenziali” del portavoce del Presidente del Consiglio. Gli scontati attacchi al governo si sono espressi con le consuete sfide al buonsenso. Il presidente del parlamento europeo, Antonio Tajani, è arrivato a parlare di “purghe staliniane”, come se le eventuali rappresaglie contro i burocrati del Tesoro prospettate dal portavoce consistessero in deportazioni in Siberia e non in semplici trasferimenti ad altri uffici. Esagerazioni che hanno ancora una volta giovato al governo, che ormai lucra da mesi su questa massiccia propaganda ostile per accreditarsi come assoluta novità.
Che la dichiarazione contro i burocrati del Ministero dell’Economia e Finanze sia stata effettivamente diffusa violando gli accordi, oppure che il portavoce l’abbia “affidata” apposta confidando nella malafede di Lucia Annunziata, non è molto rilevante. È da notare invece che questo scontro tra governo e burocrazie corrisponde ad una certa narrazione “colta” sugli eventi contemporanei. I redattori della rivista “Limes” ci stanno intrattenendo sullo scontro tra gli eletti dal popolo e lo “Stato profondo”, il “Deep State”, con particolare riguardo alle sempre più tumultuose vicende dell’Amministrazione del cialtrone Trump.
Anche se, ovviamente, la rappresentazione offerta da “Limes” è suggestiva, qualche dubbio potrebbe sorgere. C’è infatti anche la possibilità che alla fine più delle divisioni e della sceneggiata degli scontri, funzionino i legami lobbistici, soprattutto della lobby della mobilità dei capitali. Le lobby non sono sette granitiche e centralizzate, ma cordate affaristiche che funzionano come fluidi vischiosi che permeano tutto, perciò si possono scorgervi le confluenze di interessi più inaspettate.
Tra le altre cose, oggi CialTrump è sotto tiro mediatico per il sospetto di aver attuato riciclaggio di denaro (gli Anglosassoni dicono: “lavaggio di denaro”) a favore di oligarchi russi. Ma per uno speculatore edile come CialTrump il riciclaggio è pane quotidiano da sempre. Per un riciclatore le sanzioni economiche e finanziarie costituiscono una manna dal cielo, poiché rendono indispensabile e particolarmente remunerativa la sua funzione. La contrarietà di CialTrump alle sanzioni contro la Russia potrebbe quindi essere solo di facciata, un atteggiamento da amicone su cui imbastire rapporti personali e di affari senza violare la sostanza dello statu quo sanzionatorio.
Di conseguenza anche lo scontro in Italia tra “rigoristi” e “spendaccioni” potrebbe essere un gioco delle parti. Non c’è bisogno di pensare a complotti, ci basta Pirandello. Se non ci fosse il costante ricatto dell’accusa di complottismo, chiunque si accorgerebbe che qualcosa non torna. Davvero i media sono così sprovveduti da pensare di poter screditare il governo opponendogli le icone desolanti di Tobias Piller e Carlo Cottarelli? E perché gli stessi media, se veramente vogliono far cadere il governo, non danno una manina al PD a liberarsi di Matteo Renzi? Perché anzi i media continuano a trattare Renzi come se fosse il padrone per diritto naturale del PD? Possibile che non si rendano conto di compiere in tal modo una pressione in un ambiente politico così influenzabile dal mainstream?
Potrebbe quindi darsi che la permanenza di un governo che faccia da capro espiatorio per l’aumento dello spread, non sia una prospettiva che dispiaccia a tutti gli operatori finanziari. Vi sono dei precedenti. Tra il 2010 ed il 2011 venne tenuto in piedi da Napolitano il governo di un Buffone di Arcore ormai in stato di avanzata decomposizione, solo per poterlo poi incolpare della schizzata in alto dello spread.
Per i semplici cittadini italiani il percorso all’acquisto di BTP è pieno di ostacoli, mentre il banchetto degli alti interessi è riservato soprattutto agli “investitori istituzionali”, cioè le banche, le assicurazioni ed i fondi di investimento, che mediano anche gruppi industriali. Tra gli investitori istituzionali in debito pubblico, il primato va a BancoPosta, come a dire Cassa Depositi e Prestiti, cioè lo stesso Tesoro, che di CDP è il principale azionista. L’ipotesi che le manovre sullo spread ed i relativi guadagni siano del tutto estranee ad un lobbying italiano, trasversale tra soggetti privati e soggetti istituzionali, non appare perciò molto realistica.
La balla che ci viene propinata da decenni è che il debito pubblico si sia gonfiato per pagare i costi del welfare. In realtà la lievitazione del debito pubblico e dei relativi interessi costituisce uno strumento per trasferire ai ricchi i proventi fiscali estorti dai redditi dei poveri. Si dice spesso che anche il ceto medio partecipa ai vantaggi del debito ed è in parte vero, ma gli alti interessi si lucrano solo sui titoli a lunga scadenza, che rimangono appannaggio degli “investitori istituzionali”.
La musica cambierebbe se il debito pubblico diventasse un prestito forzoso, un mezzo per pagare i fornitori della Pubblica Amministrazione, offrendo ovviamente in cambio la reciprocità di poter pagare le tasse con quei titoli ricevuti. La polemica antigovernativa invece continua ad accentrarsi sulla questione delle risorse che mancano, mentre invece bisognerebbe chiedersi che fine fanno le risorse che ci sono. Il famoso Decreto “Dignità” si è concretizzato in un miliardo di sgravi fiscali e contributivi alle imprese: un ulteriore esempio di assistenzialismo per ricchi. Che questi sgravi si risolvano in maggiori investimenti e maggiori assunzioni, costituisce pura illusione o pura propaganda. È più probabile infatti che gli imprenditori investano in finanza ciò che risparmiano sul fisco.
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