Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il segreto di una buona campagna elettorale è scacciare il principio di realtà per sostituirlo con i “gusti”, cioè trasformare i programmi in menù. Per questo motivo nelle prossime elezioni non dovrà mancare il soggetto del “più-europeismo”. Per alimentare il mito del simulacro europeo, niente di più adatto di un simulacro di partito, quella girandola di sigle originata dal vecchio “Partito Radicale”. Già accusata di parassitismo dal Partito Radicale “madre”, la radicale Bonino non è stata neppure in grado di raccogliere le firme necessarie alla presentazione della lista e quindi ha dovuto ricorrere a soccorsi esterni parassitando il partito di Bruno Tabacci. Il pericolo in agguato in ogni campagna elettorale è che la realtà rifaccia capolino, perciò figure come Emma Bonino risultano preziose per la loro capacità innata di creare confusione con la loro stessa esistenza.
Il problema è che, mentre la Bonino ci propone le scorpacciate di Europa, vi sono altri soggetti che non si preoccupano nemmeno più di rispettare le apparenze della messinscena europea. La Polonia è beneficiaria netta dei fondi europei, cioè riceve molto di più di quanto non versi, ed è anche il primo Paese nella graduatoria dei beneficiari. Eppure il governo di Varsavia può permettersi di sfidare regolarmente la Commissione Europea su migrazione e giustizia, perché tanto a Bruxelles il vero potere non è la Commissione ma è la NATO. La Commissione Europea ha avviato una procedura d’infrazione contro la Polonia per la questione della violazione dell’autonomia del potere giudiziario, pur sapendo che non potrà condurla a compimento: un’impotenza della Commissione che porrà ulteriormente in evidenza lo status privilegiato della Polonia in quanto “prima linea” nei confronti della Russia.
Il fatto che a Bruxelles ci sia la sede della NATO, e da molto prima di quella dell’UE, è uno di quei dettagli che i media tendono a non mettere in evidenza perché potrebbero far scattare qualche piccola luce nella mente delle persone. Va anche detto però che, se dieci anni fa osservare che l’Unione Europea è solo un’appendice della NATO costituiva il discorso di “nicchia”, oggi invece lo dicono persino quelli della rivista “Limes”, quindi è strano che al dibattito elettorale certe cose non arrivino proprio.
A proposito del trasformare la politica in discorso sui “gusti", è indicativo il fatto che Matteo Renzi, sin dai suoi esordi, abbia usato ai propri fini propagandistici l’antipatia ispirata da Massimo D’Alema. Dare addosso ad un antipatico per riscuotere simpatie, è un espediente che Renzi ha utilizzato anche quando ha introdotto nella sua pseudo-riforma scolastica delle gratuite vessazioni contro una categoria impopolare come gli insegnanti, costringendoli a trasferimenti da Crotone a Pordenone e viceversa per avere il posto. Non che l’espediente in oggetto abbia portato molta fortuna a Renzi, come si è visto.
In realtà D’Alema, al di là dell’antipatia personale o delle inconsistenti accuse rivoltegli di aver fatto cadere il primo governo Prodi, ha avuto, in quanto Presidente del Consiglio, una responsabilità molto più grave e precisa nell’aggressione della NATO alla Serbia del 1999 per strapparle la regione del Kosovo, nella quale la stessa NATO ha poi costruito un proprio Stato fantoccio. Dieci anni dopo D’Alema rilasciò un’intervista nella quale, pur recriminando su qualche aspetto collaterale come il bombardamento su Belgrado, sostanzialmente rivendicava e difendeva la sua scelta di accettare la guerra in base al “principio secondo cui ci sono momenti in cui è inevitabile, quando si tratta di difendere valori come i diritti umani, che non possono essere accantonati nel nome della sovranità nazionale”.
Questa formula di D’Alema, molto sofisticata e “umanitaria”, si riduce in pratica al diritto all’ingerenza da parte del più forte. Più forte non solo militarmente, ma anche finanziariamente e mediaticamente. Chi ha avuto la forza finanziaria per armare i ribelli del Kosovo, ha avuto anche la forza mediatica per enfatizzare gli effetti umanitari della guerra civile, avendo poi anche la forza militare per aggredire la Serbia, che era in effetti il Paese aggredito sin dall’inizio, dato che suscitarti una rivolta interna non è certo un atto amichevole. Come pure era stato un atto destabilizzante correre a riconoscere l’indipendenza della Slovenia e della Croazia (il Vaticano addirittura prima degli altri). Il fatto di rappresentare alla pubblica opinione un’Europa ed un Occidente troppo a lungo deboli e inerti di fronte alla Serbia, non è solo un’ipocrisia, è un falso che servì a reclutare per la causa interventistica i soliti volenterosi intellettuali “di sinistra”. È un paradigma di ingerenza che può essere riapplicato in qualunque situazione e contro chiunque, Italia compresa. Con le sue parole del 2009 D’Alema già prefigurava l’intoppo dell’attuale “sovranismo”: il diritto all’ingerenza da parte della NATO.
Chi pensasse di aver lasciato una Bonino ingenua e ignara, assetata esclusivamente di un’Europa favoleggiata e sfuggente, consideri che nel 1999 Emma Bonino era Commissario Europeo agli “Aiuti Umanitari”, cioè in posizione strategica per mestare. La Bonino infatti, insieme con George Soros, il finanziere agente provocatore della NATO, stava mettendo su la “Corte Penale Internazionale”, un tribunale che sarebbe diventato operativo dal 2002 per processare i “criminali di guerra” serbi. La Bonino quindi partecipò in prima persona alla guerra contro la Serbia come addetta alle PSYOPS, alle operazioni di guerra psicologica della NATO.
In coincidenza con l’avvio delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale dei docenti, è cominciata la diffusione mediatica di “video-maltrattamenti” ambientati in ambito scolastico. Sino a qualche anno fa la produzione di questo tipo di video era appannaggio dell’Arma dei Carabinieri, ma ora anche la Polizia di Stato ha fatto il suo ingresso in grande stile nello show business. Nessun commentatore trova niente di strano nel fatto che delle istituzioni dello Stato come le “forze dell’ordine”, invece di limitarsi a svolgere indagini, usino un presunto materiale probatorio (peraltro ancora non accertato sul piano giudiziale) per eccitare e aizzare l’opinione pubblica contro un’altra istituzione dello Stato.
Risultano tanto più destabilizzanti questa delegittimazione e questa gogna mediatica nei confronti della Scuola pubblica, se si considera che questa viene gravata di obblighi di vigilanza sui minori sia da parte della Legge che della Giurisprudenza. In particolare, la Corte di Cassazione insiste sulla responsabilità penale e patrimoniale del docente anche in caso di danni autoinferti da parte degli studenti. La Corte di Cassazione ovviamente non precisa mai in cosa si concretizzerebbe questo obbligo così stringente di sorveglianza sul minore, dal momento che qualsiasi coercizione fisica è ormai equiparata al maltrattamento. Norme draconiane di vigilanza elaborate nella Scuola caserma di un secolo fa, vengono quindi imposte in un contesto del tutto diverso generando paradossi giuridici. Si richiede un controllo totale sul minore da parte di un docente vestito di pura “autorevolezza”, cioè di nulla, in quanto ormai privo di qualsiasi prerogativa disciplinare (demandata esclusivamente al Consiglio di Classe, cioè al Dirigente, quindi alla sua trattativa con i genitori).
La conseguenza pratica di tutto ciò è che oggi i docenti sono costretti a contrarre assicurazione per gli infortuni degli studenti. Sino a qualche anno fa l’assicurazione era un’iniziativa dei singoli docenti, mentre oggi sono gli stessi Istituti scolastici a mediarla. Considerato che i docenti sono più di un milione, si sta parlando di un discreto business per le compagnie assicurative; un business di cui non si sarebbe sentito il bisogno se non fosse stato generato dal caos legislativo e giurisprudenziale.
Si potrebbe dire: un disordine bene organizzato e ben finalizzato. I video-maltrattamenti possono quindi funzionare da spot pubblicitari per i docenti: se non vuoi diventare pazzo anche tu, allora fatti l’assicurazione. Si tratta degli inevitabili e scontati effetti di un lobbying che occupa le istituzioni: la lobby è infatti una cosa concreta, fatta di relazioni e interessi precisi che esigono fedeltà concrete, mentre lo Stato rimane soltanto un’astrazione giuridica.
L’espressione “Stato lobbista” è solo apparentemente un ossimoro; anzi, dovrebbe costituire la consueta categoria di riferimento per affrontare qualsiasi questione. Ad esempio, quando uno Stato, a partire dal suo Capo, proclama il lavoro - e particolarmente quello giovanile - , come principale cura e preoccupazione, si tratta semplicemente di non crederci, per verificare invece quali siano i reali risultati delle tante “riforme del lavoro” succedutesi dal 1997 ad oggi. Le “riforme del lavoro” non hanno sortito risultati positivi sulla produttività e hanno determinato effetti incerti sull’occupazione (è da considerarsi occupato chi lavori qualche ora alla settimana?).
Ciò nonostante il Buffone di Arcore, dopo qualche finta esitazione, si è schierato a favore della conservazione del Jobs Act, poiché ministri, giornalisti e imprenditori ci assicurano compatti che, se venisse abolito, nessuno più verrebbe ad investire in Italia. Nell’elenco dei sostenitori ufficiali del “Jobs Act” mancano però le banche; ed è strano se si considera che sono sicuramente quelle che stanno traendo il maggior vantaggio da “riforme” come il “Jobs Act”. Infatti, rendendo temporaneo il lavoro, si rende temporaneo anche il salario, costringendo i lavoratori precari ad indebitarsi. I piccoli prestiti ai dipendenti interinali costituiscono un business in piena espansione ed anche una banca come MPS vi affida le prospettive del suo rilancio. Si precarizza il lavoro per finanziarizzare i rapporti sociali, cioè per sostituire i salari con i prestiti, mettendo in conto le conseguenze in termini di calo della produttività, che non è più il primo obiettivo. Dagli anni ’80 in tutto il mondo è aumentato ininterrottamente il peso del capitale finanziario mentre si è ridotto in proporzione il capitale fisso, cioè impianti e macchinari.
Come si vede, il “liberismo” non esiste: una lobby finanziaria occupa lo Stato per fabbricare forzosamente un target, un cliente, a vantaggio di “servizi” finanziari di cui altrimenti nessuno avrebbe avvertito il bisogno. Dietro la fiaba del liberismo c’è la prosaica realtà del lobbismo e dell’assistenzialismo per ricchi. Meno male che ci sono le “opposizioni” che continuano a fare da sponda e da copertura per queste mistificazioni, magari organizzando poli della “sinistra antiliberista”.
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