Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
L’ONU ha proclamato il 2005 l’anno internazionale del microcredito, il mitico capitalismo dal “volto umano” ad uso delle masse dei poveri e dei diseredati. L’anno dopo il bengalese Muhammad Yunus, il “banchiere dei poveri”, il presunto inventore del microcredito, è stato insignito del premio Nobel per la Pace, a dimostrazione del fatto che, se non fosse per i soldi che elargisce, ricevere il premio Nobel equivarrebbe ad uno sputo in faccia.
In questi ultimi trenta anni il microcredito è diventato
una presenza capillare ed assillante nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo tramite la diffusione da parte di una miriade di Organizzazioni Non Governative, “nonostante” che questo strumento si sia immediatamente dimostrato incapace di determinare sviluppo, se non per le casse di chi lo gestisce.
Il microcredito ha scatenato nuove sofferenze sociali a cominciare dal sovraindebitamento, con tutte le sue conseguenze in termini di disperazione e di aumento della criminalità per poter pagare i debiti. Prima ancora che i “migrations loans” venissero del tutto ufficializzati, centri di ricerca specializzati come il Migration Policy Institute ponevano in evidenza anche il crescente
legame tra il microcredito e la spinta alla migrazione. Quindi si emigra a credito e il migrante è un sovraindebitato.
Non ci vuole un grande sforzo di immaginazione per indovinare chi sia uno dei maggiori investitori nel business del microcredito: il solito George Soros. Nel 2010 Soros guidò una cordata di investitori americani verso la nuova terra promessa dei profitti illimitati, acquistando azioni della società indiana SKS Microfinance. Sembrò che gli investimenti del finanziere ungherese-americano non avessero portato fortuna alla SKS, perché l’anno dopo si verificò uno scandalo finanziario, con lo scoppio alla Borsa di Mumbai della
bolla speculativa legata al microcredito e con la rivelazione dei metodi di riscossione, che inducevano i contadini indiani al suicidio.
Niente di grave. La SKS infatti ha cambiato nome e continua la sua attività come Bharat Financial Inclusion Limited, perciò Soros e soci continuano tranquillamente ad investire nel business. Le fortune del microcredito sono dovute anche al fatto che consente una continua sperimentazione di nuove forme di “inclusione” finanziaria. I bancomat e le card vengono infatti sostituti da
strumenti biometrici come la lettura delle vene del palmo della mano. Questa è la tecnica con cui attualmente vengono “inclusi” milioni di contadini, i quali, per sfuggire alla rilevazione biometrica dei loro debiti, saranno probabilmente costretti a tagliarsi le mani.
Nel frattempo il microcredito ha acquistato
proseliti sempre più “insospettabili” come la Caritas, la quale giustifica il suo ingresso nel business col pretesto di voler rispettare la dignità dei poveri, che ci tengono a dimostrare di poter fare da soli. Si tratta del solito luogo comune secondo cui il problema dei poveri sarebbe quello di emanciparsi dall’assistenzialismo, quando invece il vero e unico assistenzialismo è quello a beneficio dei ricchi, anche se camuffato altrimenti, come dimostra appunto la vicenda del microcredito.
A proposito di “insospettabili”, in Italia la formazione politica che ha adottato
il microcredito come bandiera è il Movimento 5 Stelle, che allo scopo avrebbe messo a disposizione quote degli stipendi dei propri parlamentari. Il Movimento 5 Stelle ha aperto uno sportello telematico del microcredito per aspiranti piccoli imprenditori. L’iniziativa dei 5 Stelle in sé è poca cosa e potrebbe avere appena un carattere simbolico, ma rischia di diventare veicolo e malleveria di ulteriori operazioni di colonialismo finanziario nei confronti di masse da illudere e irretire nel sovraindebitamento.
Con crescente compiacimento i media stanno offrendo una rappresentazione catastrofica della situazione venezuelana. Le “analisi” sul fallimento del “socialismo bolivariano” risultano piuttosto omogenee. Secondo il giornale online “Il Primato Nazionale”, la colpa sarebbe della
nazionalizzazione del petrolio, una nazionalizzazione che avrebbe potuto essere giusta in teoria, ma che si è rivelata un errore economico. Se a dirci che il problema è la nazionalizzazione arriva addirittura un giornale che si proclama nazionalista e che si chiama “Il Primato Nazionale”, allora verrebbe quasi da crederci. Vatti a fidare dei “nazionalisti”.
Sennonché le proteste di piazza contro il governo di Maduro mostrano un denominatore comune. Sono tutte infatti gestite da Organizzazioni Non Governative. Una rivolta tutta di marca ONG, che è stata lanciata anche
a livello mondiale. Le ONG sono infatti delle multinazionali del “non profit”, cioè del non-tax.
Una delle più rilevanti di queste ONG multinazionali, “Un Mundo Sin Mordaza” (Un Mondo Senza Bavaglio) ha nel suo programma la difesa dei diritti umani e vanta come leader un certo Rodrigo Diamanti. Troviamo Rodrigo Diamanti tra i firmatari di
un appello per i “diritti umani” in America Latina promosso dalla ONG statunitense “Freedom House”. Manco a dirlo, si tratta di una ONG che ha come proprio obiettivo la difesa dei diritti umani.
Chissà cosa sarebbero capaci di inventarsi i complottisti su questa benemerita “Freedom House”, perciò sarà il caso di andare proprio sul sito della stessa ONG per farci rivelare la verità vera. “Freedom House” ci fa sapere che
il suo principale finanziatore è il Dipartimento di Stato USA, anche tramite una sua agenzia, l’USAID. Fu il presidente Kennedy a volere la nascita dell’USAID per promuovere lo sviluppo dei diritti umani nel mondo. Per Freedom House ci sono poi contributi minori di altri governi “insospettabili”, come quello svedese e quello olandese, nonché alcune fondazioni private.
Da vero patriota, Rodrigo Diamanti ha rilasciato
un’intervista ad un’altra fondazione statunitense per i diritti umani, il cui nome è tutta una garanzia, il Bush Center. Sì, proprio la fondazione di quel George W. Bush. Nell’intervista, sul sito del Bush Center, Diamanti chiede l’inasprimento delle sanzioni contro il governo Maduro ed auspica un intervento statunitense in Venezuela, ovviamente per restaurare la democrazia.
Ma qualche anno fa il governo Chavez non aveva bloccato i finanziamenti esteri diretti alle ONG? A quanto pare il blocco non ha funzionato, perché
sul sito dell’USAID veniamo a sapere che i finanziamenti alle ONG in Venezuela sono invece continuati.
Un’interpretazione, ovviamente arbitraria e faziosa, di tutti questi dati ufficiali suggerirebbe che le sedicenti “Organizzazioni Non Governative” siano in realtà molto governative e facciano riferimento ad un governo, quello USA, che ha scatenato una guerra a bassa intensità contro un altro Paese. Magari per preparare una guerra ad alta intensità o un colpo di Stato camuffato da “rivoluzione colorata”, o entrambi.
La nazionalizzazione del petrolio forse c’entra con i guai del Venezuela, ma non in senso strettamente economicistico. Si tratta in definitiva di una questione di diritti umani, anzi, del diritto umano fondamentale, quello che erompe dal petto di ogni neonato col suo primo vagito: il diritto di esportare capitali. La fuga dei capitali è una caratteristica storica ed endemica dell’America Latina: la borghesia “importadora” di merci è anche una borghesia “exportadora” di capitali. In un Venezuela pur afflitto dalla fuga dei capitali, questa fuga ha trovato un argine ed un’eccezione nei profitti per la vendita del petrolio, che rimangono in patria a causa della nazionalizzazione. In parte questi profitti alimentano la solita corruzione ed in parte hanno consentito un avvio di welfare per la popolazione più povera, perché, in definitiva, a questo si riduce il “socialismo bolivariano”.
Ma è abbastanza per scatenare una guerra per la libera circolazione dei capitali, come quelle guerre dell’oppio che nell‘800 la Gran Bretagna ed altre potenze occidentali dichiararono alla Cina in nome della libertà di commercio. Le ONG costituiscono appunto un’arma di questa guerra, che anche il più sprovveduto dei giornalisti occidentali potrebbe documentare semplicemente consultando i siti web dell’USAID e della Freedom House. E qualche giornalista talvolta lo ha persino fatto, visto che nel 2014 il quotidiano britannico “Daily Mail” ha dato notizia del
continuo supporto finanziario dell’Amministrazione USA alle ONG anti-Maduro in Venezuela.
Tali notizie sarebbero comunque minimizzate e screditate con il pretesto che ciò non potrebbe spiegare il disastro economico del Venezuela. Ma quale governo “occidentale” potrebbe sopportare l’azione destabilizzante pluridecennale di queste ONG? Anzi, quale governo “occidentale” sarebbe disposto a sopportarla?
Deve invece sopportarla il governo del Venezuela, ricattato da un’ipocrita “comunità internazionale” interessata alla difesa dell’unico diritto umano fondamentale: la mobilità dei capitali.