Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
È iniziato un periodo difficile per Putin. Per oltre un anno il presidente russo era riuscito a tener buoni i propri generali prospettando loro la possibilità di un accordo con CialTrump. In questi ultimi mesi Putin aveva posto le basi di una pacificazione in Siria coinvolgendo l’Iran e costringendo la facinorosa Turchia di Erdogan a più miti consigli; tutto questo lasciando gli USA fuori dalla porta ma, comunque, con la porta aperta. L’inversione ad U di un presidente spinto da lobby commerciali, ma lasciato eleggere soltanto per la sua ricattabilità, ha dimostrato che gli USA sono determinati ad impedire qualsiasi stabilizzazione dell’area del Vicino Oriente. Se per raggiungere lo scopo gli USA devono prendere esplicitamente le parti dell’ISIS-Daesh, non c’è problema, tanto ai media occidentali basta un po’ di retorica e ipocrisia per mistificare tutto.
Al G7 di Lucca si è parlato persino di nuove sanzioni alla Russia, accusata di complicità con i presunti crimini di guerra di Assad e, per somma beffa, si è aperto il tavolo ad un Paese come l’Arabia Saudita, il più diretto responsabile del caos siriano insieme con il Qatar. I governi europei si sono completamente appiattiti sulle scelte irresponsabili degli USA ed il loro unico sussulto di “autonomia” è consistito nel consueto scivolamento nel demenziale repertorio del “più Europa”, farneticando ancora una volta di ”difesa europea”.
È inutile soffermarsi sul giallo dei trentasei missili americani mancanti all’appello nell’impatto sul suolo siriano perché, in fatto di malversazioni, qui siamo ancora all’apprendistato, perciò non è difficile supporre che quei missili, già strapagati dall’Amministrazione USA, magari non siano mai stati realmente forniti dalle aziende costruttrici, oppure forniti in condizioni di non operatività, ovviamente con la connivenza delle autorità militari. Il bomb-business è fatto anche di queste farse.
Ma le ruberie rappresentano il risvolto patetico e pacioccone del militarismo, mentre la riflessione più urgente riguarda invece domande come quelle dell’ultimo festival della rivista Limes, intitolato “Un nuovo secolo americano?”. Se i generali russi si dovessero convincere che con gli USA non è possibile alcuna trattativa, una domanda più realistica sarebbe quella di chiedersi se ci sarà un nuovo secolo tutto intero. Se al quadro si aggiungono le nuove provocazioni degli USA alla Corea del Nord, anche i generali cinesi potrebbero pervenire alla stessa convinzione dei generali russi e, a quel punto, potrebbe succedere di tutto. Gli oligarchi americani si sono crogiolati per troppo tempo nella puerile illusione di essere i soli criminali del pianeta.
Alcuni commentatori hanno opportunamente notato che nemmeno nei periodi più bui della guerra fredda si era mai giunti così vicini alla possibilità concreta di un conflitto nucleare globale. Come mai invece ci si è arrivati ora, con una Russia ed una Cina convertite al capitalismo?
Il fatto è che il pur giustamente bistrattato “socialismo reale” costituiva una limitazione alla mobilità dei capitali. Intere aree del mondo erano sottratte alla “libera circolazione dei capitali” e persino il sedicente “Mondo Libero” era costretto, per motivi di consenso interno, a regolare i flussi di capitale per consentire un po’ di benessere e di welfare.
Oggi invece i capitali non hanno confini e perciò sono liberi di destabilizzare ovunque. Una volta l’importanza di un Paese era valutabile in base al territorio, alla popolazione, al potenziale industriale e agricolo. Ma oggi, grazie alla libera circolazione dei capitali, un Paese altrimenti insignificante come il Qatar ha potuto assurgere al ruolo di attore - e destabilizzatore - globale. Con “investimenti” mirati, il Qatar si è comprato il sistema bancario ed il governo di un Paese tutt’altro che insignificante come la Turchia e, da quella base, ha potuto avviare la destabilizzazione della Siria.
Qualcosa di analogo stava riuscendo al Qatar in Egitto, destabilizzato e avviato alla “democrazia” dal denaro dello stesso Qatar. I generali egiziani hanno avuto i riflessi più pronti dei loro colleghi turchi e quindi hanno attuato un colpo di Stato vero e non una messinscena ad uso e consumo del regime come in Turchia.
Al di là delle astrazioni del “sovranismo”, una delle questioni concrete che devono affrontare i Paesi che vogliano sfuggire alla destabilizzazione interna è quella di limitare i movimenti di capitali, a partire dal cosiddetto “non profit” delle sedicenti “Organizzazioni non Governative” e delle fondazioni private. Ancora una volta l’ungherese Orban dimostra di avere momenti di lucidità a riguardo: dopo essersi liberato delle ingerenze del Fondo Monetario Internazionale, oggi prende a bersaglio la Open Society Foundation di George Soros e le sue centrali di reclutamento di spie e provocatori per “rivoluzioni colorate”, centrali spacciate per innocue Università.
Ma finché a correre ai ripari saranno estemporaneamente dei generali o degli improvvisatori come Orban, i pericoli di guerra non potranno certo diminuire. Occorrerebbe un antimperialismo che avesse chiaro il legame tra la libera circolazione dei capitali, la destabilizzazione e la guerra.
A proposito di un dibattito su natura e progresso
Il cuore, quest’oscuro fiore celestiale,
sboccia misteriosamente.
Non si darebbe quell’ombra per tutta quanta la luce.
Victor Hugo, Les Misérables
La premessa di ogni dibattito che si desideri più inclusivo e più stimolante per chiunque
è intendersi sui concetti.
Può sembrare una banalità, ma dare per scontato che tutti e tutte siano d’accordo con
una “certa” definizione dell’oggetto di cui discutiamo è speculare a chi ogni giorno
vorrebbe convincerci che questo modo di vivere è l’unico esistente. Dunque imparare
almeno a nutrire qualche dubbio sulle certezze oggi circolanti può essere un buon punto
di partenza per ri-posizionare una discussione, e, in ogni caso, lo è per me.
Dunque muoverei qualche dubbio sulle certezze dei seguenti concetti: natura umana,
artificio, tecnica, tecnologia, progresso, scienza, natura. Perché niente di queste sicure
“cosalità” è al riparo dall’esercizio egemonico operato dai dominatori nel renderle così
come sono, e non come potrebbero o non potrebbero essere.
Rosa Luxemburg scriveva che – al netto delle differenze politiche – quando un pensiero
non si muove più ma si fissa, si immobilizza, allora si può ragionevolmente parlare di
pensiero reazionario. Così abbiamo anche in prestito una definizione particolarmente
azzeccata di reazionarismo: quanto mai opportuna, se pensiamo che i più grandi teorici
nazisti e fascisti, oltre a quelli alla destra del fascismo e del nazismo, e oltre ancora a
quelli della Nouvelle droite francese, parlano di nevrosi rivoluzionaria, definendo questa
smania pruriginosa (sessuale?!) dei rivoluzionari di cambiare il mondo. E di fatti, per
costoro l’unico movimento consentito è all’indietro, verso una rivoluzione conservatrice,
la cui essenza risiede nell’antimodernismo e nel rifiuto del progresso, partendo dal
presupposto che tutto ciò che muove in avanti crea una perdita, una mancanza. Dunque
i rivoluzionari sono dei nevrotici castrati: ricordare ogni tanto il motivo dell’odio aiuta a
posizionarsi con maggiore circospezione in terreni storicamente minati.
Uno dei problemi, oltre alla necessità di chiarirci tra noi il significato dei concetti di cui
parliamo, è infatti la difficoltà che sperimentiamo a condurre una nostra battaglia su temi
di grande complessità sui quali i più grandi rivoluzionari – marxisti, anarchici – si sono
confrontati e, talvolta ma non sempre, scontrati.
Sono almeno 150 anni che il movimento rivoluzionario si divide sull’importanza della
natura e il ruolo della scienza, basti pensare a quanto tale divisione attraversasse il
populismo e il nichilismo russi fin dal 1860.
Quindi a coloro che oggi si chiedono il motivo di tanto discutere intorno alle
biotecnologie, alla nostra “naturalità”, al progresso – come se tutto ciò non avesse a che
fare con la rivoluzione sociale – potremmo ricordare i numerosi interventi di Errico
Malatesta (ad esempio in “Pensiero e volontà”, per fare il primo esempio che mi viene in
mente), gli scritti filosofici di Michail Bakunin, i Quaderni dal carcere di Antonio
Gramsci e il primo libro del Capitale di Karl Marx. Potrebbero stupirsi di trovarvi
riflessioni assai ricche, e, soprattutto, tutti e tutte noi impareremmo quanto a lungo e
con quanti rimandi si è intervenuti per ridefinire, meglio situare, collocare, delimitare,
approfondire questi stessi concetti, oggi frequentemente stiracchiati e sciabordati, spesso
e volentieri (diciamoci la verità vera) a fini di posizionamento politico interno al
movimento. Sinceramente un po’ di malinconia e di tristezza non può che emergere, al
pensiero che Bakunin polemizzava con Auguste Comte e i positivisti, Malatesta discuteva
di evoluzionismo, Kropotkin lavorava ad una sua posizione autonoma nel dibattito
darwiniano dell’epoca, Gramsci criticava il pensiero dogmatico, Marx scopriva che la
naturalità dell’essere umano sconfina nella sua restituzione mediata dal lavoro (anche
questo è “Il Capitale”, oltre ad un testo determinista sulla fine del capitalismo).
Onestamente, di fronte agli immensi casini che l’inquinante, sfruttatore e putrescente
sistema di sviluppo capitalistico sta provocando a tutti gli esseri senzienti e non della
terra, forse sarebbe opportuno – per noi anarchici e anarchiche – comprendere quale
posta in gioco ci stiamo giocando e utilizzare la nostra intelligenza, curiosità, senso
critico, per muovere una radicale offensiva contro i padroni dello sfruttamento e del disastro, non per posizionarci tra di noi.
E di questo parliamo, poiché oggi il Politico è mero amministratore delle macerie che ha
contribuito a spargere dappertutto, con buona pace (nel senso tombale del termine) dei
riformisti o degli introvabili sinceri democratici.
C’è poi un’altra questione che mi pare niente affatto compresa e che invece ha molto a
che fare con il modo con il quale stiamo elaborando i nostri pensieri: tutta questa luce
bianca, tutta questa limpidezza, trasparenza che permea la superficie liscia e levigata
delle argomentazioni su questi nodi, serve a rassicurarsi o ad aver ragione una volta per
tutte? Questa smania di sistema, di conchiudere una riflessione come un fortino
assediato, di strangolare le ombre, certo, fa molto radicale, ma a ben vedere dimostra
anche la fragilità di alcuni Assoluti, che come insegnava Max Stirner, negano chi sei
nominando cosa sei.
Non si tratta di non avere una posizione, al contrario, si tratta di averne milioni differenti
le une dalle altre, come per fortuna solo gli anarchici e le anarchiche sanno fare, e mi
chiedo se qualcun’altro oltre a me, in questa giravolta di Assoluti da difendere o negare,
ha visto che fine ha fatto l’Unico che siamo.
Potremo discutere quanto vogliamo, su cosa siamo: le femministe ci spiegheranno che
cosa è la Donna, i preti cosa è l’Anima e il Corpo da essa scissa (come una pustola
fastidiosa), i razzisti e le differenzialiste cosa è la Differenza (sessuale, simbolica,
spirituale, culturale, fate voi), altri cosa è la Natura, il Progresso, la Scienza etc.
Agli anarchici e alle anarchiche interessa ancora come gli Unici si relazionano, negano,
rifiutano, sovvertono, negoziano il “cosa sono”?
Si è capito che libertà non è identità, e che identità non fa rima con individualità?
E se la libera individualità - irriducibile alle cose - fosse l’ombra maestosa e potente,
negata, espropriata, de-naturalizzata, dall’odierno luminoso sistema capitalistico?
Se fosse in quel nocciolo duro da ricercare la spinta per distruggere questo progresso
utile soltanto a mantenere questo sistema di sviluppo? Se la natura che ci sentiamo
sfuggire dalle mani non fosse altro che la dis-connessione tra noi e la nostra vita
sensibile, attaccata con armi di distruzione di massa linguistiche, tecnologiche,
mercificanti? Se, insomma, scoprissimo che la nostra “natura” non è che un irriducibile
niente magnificamente e individualmente trasformato da corpo e mente in una corsa
contro il tempo di rivoluzioni, cambiamenti, volontà, desideri, passione, amore?
Se fossimo noi stessi a mancarci, come ci manca il fiato in una gabbia, o il nostro amore
che non torna più? Se usassimo più poesia e meno tecnica per conoscerci, se saperci
umani, naturali, artificiali, donne, uomini, trans, gay, lesbiche, black, colored – alla fine -
non ci bastasse più?
E se fosse questa la guerra che ci è stata dichiarata dalla notte dei tempi, e avessimo –
ancora una volta – sbagliato strada?
Martina Guerrini
Livorno, aprile 2017
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