Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
L’orgoglio italico potrebbe essere soddisfatto, perché il copione già rappresentato nel nostro Paese con il Buffone di Arcore, viene oggi riproposto nel caso di Donald Trump. A distanza di cinque anni ci viene ripresentata persino la replica della manifestazione delle donne contro il super-maschilista di turno. Allora era il febbraio 2011 e
la manifestazione si chiamava “se non ora quando?”.
In realtà non c’è di che essere orgogliosi, né da farsi pagare nessun copyright, poiché non si trattava di un copione elaborato in Italia, bensì di una sperimentazione di psywar di cui l’Italia era solo il laboratorio. Tanto per risultare originali, il cialtrone CialTrump è stato anche accusato (ma guarda un po’) di conflitto di interessi, fra l’altro perché i suoi interessi commerciali, finanziari e industriali si estendono in diciotto Paesi del mondo. L’espressione “conflitto di interessi” sembra creata per disturbare surrettiziamente la logica; infatti si tratta di interessi che non confliggono affatto, semmai convergono, come nel caso del Buffone di Arcore. Si tratta in realtà di interessi convergenti, coincidenti, sovrapposti e così via.
Come profetizzava il nostro grande poeta Giuseppe Giusti, “rimarrà come un babbeo/ l’europeo”. Obama è stato un’esca per il babbeo di sinistra ed oggi CialTrump costituisce un’esca per i babbei delle destre “sovraniste”. Come già è accaduto per il Buffone di Arcore, si monta una diatriba tra i sostenitori del politicamente corretto e quelli del politicamente scorretto, come se si stesse parlando di soggetti politici autonomi.
La ricchezza personale non è un superpotere che rende indipendenti, bensì una relazione che rende più ricattabili, come dimostrano gli innumerevoli cali di brache del Buffone di Arcore ogni volta che il titolo Mediaset si è trovato sotto attacco in Borsa. Non appena
è cominciata la “scalata ostile” della francese Vivendi nei confronti di Mediaset, immediatamente Forza Italia è diventata in parlamento la ruota di scorta del governo Gentiloni. Si è visto quindi il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, mettere da parte i furori anti-teutonici degli ultimi anni e riproporre pedissequamente il linguaggio dell’austerità. La “discontinuità” che Brunetta auspica tra il governo Gentiloni ed il governo Renzi sarebbe quella di tagliare sulle “mance” per reperire fondi per rilanciare gli investimenti. Si tratta di slogan da Commissione Europea, dato che non è possibile rilanciare davvero gli investimenti senza le “mance”, cioè senza, ad esempio, prepensionare un personale della Pubblica Amministrazione ormai troppo cauto ed attendista nello spendere a causa dell’eccessivo carico, accumulato negli anni, di procedure disciplinari e di avvisi di garanzia.
Il vento trumpista non ha quindi per nulla scalfito in Europa l’ideologia della micragna e il dogma sociale secondo cui le risorse si trovano tagliando da qualche altra parte. Se da un lato un’uscita dell’Italia dall’euro appare del tutto irrealistica, dato che non esiste in Italia una classe politica in grado di prendere una tale decisione, dall’altro lato il 2017 presenta scadenze che potrebbero determinare la fine della moneta unica europea. Trump o non Trump, dazi o non dazi, se gli USA svalutassero il dollaro per arginare il loro sbilancio commerciale, verrebbe a crollare tutto l’edificio di alchimie e ricatti allestito dalla BCE, un edificio basato appunto su un euro largamente sottovalutato rispetto al dollaro. Ma nulla rassicura circa l’eventualità che la politica deflattiva sinora identificata con l’euro non continui con altri mezzi.
A distanza di anni ancora si fa finta di credere che il problema principale sia di redistribuzione della ricchezza quando ormai è evidente che l’euro e le varie riforme strutturali non hanno affatto fallito ma, al contrario, hanno raggiunto il loro scopo che era appunto quello di creare artificiosamente povertà. Per derubare il povero del suo lavoro e dei suoi beni, devi prima creare il povero. La povertà è il più grosso business che i ricchi abbiano mai inventato. Come ha ammesso anche il settimanale “The Economist” in un articolo del luglio 2013, solo negli ultimi secoli la scienza economica ha cominciato a fingere - soltanto a fingere - di considerare
la povertà come un problema e non più come una risorsa da incrementare.
Queste constatazioni ormai dovrebbero essere elementari anche di fronte all’evidenza dell’ipocrisia di un “Jobs Act”, imposto non per dare lavoro, bensì per abbassare ancora i salari e per costringere le masse a indebitarsi per poter accedere ai consumi. Ma anche l’evidenza più plateale viene oscurata da un fittizio clamore di proteste “dal basso” come i
tweet ed i whatsapp di indignazione per le spese per il festival di Sanremo a fronte delle sofferenze dei terremotati.
Queste false indignazioni allontanano infatti dal nocciolo del problema, cioè
l’assurdità del riunire un Consiglio dei Ministri per stanziare trenta milioni (sic!) per l’emergenza terremoto. Il governo mette le mani avanti annunciando che altri stanziamenti seguiranno. Nelle ultime ore alcuni media avevano addirittura lasciato sperare su uno stanziamento di quattro miliardi, ma poi si è scoperto che il governo si riferiva a fondi già messi da tempo in bilancio e ad un possibile (ma solo possibile) anticipo di spesa, UE permettendo. Se questa è l’effettiva volontà di spesa per i danni del terremoto, allora si deve riscontrare che questi annunci rappresentano un vero e proprio aggiotaggio sociale, cioè l’artificiosa e truffaldina svalutazione di un territorio, dei suoi patrimoni immobiliari e delle sue attività economiche, facendone crollare i prezzi di mercato ed offrendoli all’acquisto a prezzi stracciati da parte di multinazionali straniere.
L’aggiotaggio è un reato previsto dal Codice Penale, ma l’aggiotaggio sociale è, al contrario, celebrato e diffuso dai media come dottrina salvifica che richiama i popoli alla espiazione delle proprie colpe passate, presenti e future. In un discorso alla Costituente contro la firma del Trattato di Pace, il filosofo Benedetto Croce affermò che il fascismo era stato un falso nazionalismo (ammesso che ne esista uno vero), e che esso stava continuando nell’antifascismo. L’antifascismo stava infatti perpetuando la prassi mussoliniana di affrontare i problemi denigrando l’Italia. Mussolini presentava se stesso come il salvatore dell’Italia contro il secolare passato di magagne del Paese, contro l’instabilità dei governi e la lentezza compromissoria delle decisioni, soggette poi ad indisciplina, scetticismo e disfattismo. Renzi non aveva quindi dovuto fare alcuno sforzo per trovare già belli e pronti i suoi slogan. Salvare l’Italia dagli Italiani diventa così aggiotaggio sociale, un autorazzismo che svaluta un Paese e lo offre alla colonizzazione. Non per nulla nel dopoguerra il comico triestino Angelo Cecchelin notò la facilità con cui le camicie nere si erano riconvertite in camicie a stelle e strisce.
Sarebbe un errore concepire l’autorazzismo in chiave puramente ideologica e morale, perdendo di vista la sua vera funzione, cioè l’aggiotaggio sociale. Nel 1973
la finta emergenza-colera a Napoli determinò appunto quel crollo dei valori immobiliari che facilitò la colonizzazione militare del territorio. Ad intere aree vennero sottratte le potenzialità di sviluppo turistico ed agroalimentare determinandone la svendita e l’acquisizione diretta da parte delle autorità NATO, o delle organizzazioni criminali ad essa legate, delle vere e proprie truppe coloniali irregolari, presentate però dalla pubblicistica autorazzistica come una degenerazione antropologica del territorio. In quell’occasione nessun “progressista” si domandò come fosse possibile un’epidemia di colera in aree dotate di acquedotti e sistemi fognari moderni, e nessuno notò la stranezza di una “epidemia” che non determinava alcun aumento della mortalità media. Lo “spirito di denuncia” delle opposizioni venne così reso funzionale all’aggiotaggio sociale.
Il razzismo e l’autorazzismo costituiscono anche un training di credulità per l’opinione pubblica, ed infatti nel 1973, a pochi mesi dalla finta emergenza-colera, vi fu in tutta Europa anche una finta emergenza per un inesistente embargo del petrolio da parte dei Paesi arabi. Furono così imposti mesi di “austerità” a tutta la Comunità Europea; ciò ad onta di chi favoleggia su un’Europa “buona” precedente al Trattato di Maastricht.
In edicola è appena arrivata la collezione sui geni della matematica e già risulta necessario un aggiornamento urgente dell’elenco dei geni in questione. Bisognerà infatti inserirvi i giudici della Corte Costituzionale i quali hanno rivoluzionato l’aritmetica scoprendo che il 40% è la maggioranza. Per chi crede che le Costituzioni servano a qualcosa sarà anche difficile spiegare come una Costituzione parlamentare possa giustificare i capilista bloccati, cioè un parlamento di nominati. La legge elettorale renziana così restaurata dalla sentenza della Consulta potrà perciò passare agli annali come il “cialtroncellum”.
Intanto il governo lancia l’ennesimo decreto “anti-furbetti” nel Pubblico Impiego. Stavolta il pretesto riguarda il presunto assenteismo del venerdì e del lunedì. Una categoria viene criminalizzata infischiandosene dei dati che indicano che nel Pubblico Impiego l’età media è molto più elevata che nel settore privato e che negli ultimi tre anni l’assenteismo è persino calato in coincidenza con un relativo svecchiamento. Il governo agisce sfacciatamente da lobbista delle privatizzazioni, usa un linguaggio da guerra civile, lancia un appello a facinorosi, malviventi e malvissuti incitandoli all’odio di categoria. Ci sarebbe un Codice Penale che sanziona l’aggiotaggio e l’istigazione all’odio tra le classi sociali, ma il tutto è a favore delle privatizzazioni e quindi nessun magistrato mostra di accorgersene.
Minniti, l’attuale ministro agli attentati islamici, si trova, per pura coincidenza, anche a gestire un periodo in cui fioccano
provocazioni contro sindacalisti di base, con la confezione ad hoc di inchieste giudiziarie infamanti. Quanto alla magistratura, essa continua a preferire alle indagini le provvidenziali imbeccate dei servizi segreti.
La pieghevolezza del principio di legalità è stata riconfermata dalla “authority” dell’Antitrust, come sempre in versione pro-trust a favore delle multinazionali. Stavolta nel mirino di quella lobby delle multinazionali che si fa chiamare Antitrust, sono
le cooperative dei tassisti, colpevoli di gestire a favore del lavoro autonomo un business sempre più promettente, date le crescenti limitazioni al traffico privato e lo sfascio delle aziende metropolitane e tranviarie, ridotte a non poter assumere e comprare pezzi di ricambio a causa delle limitazioni alla finanza locale.
Per illustrarci il nuovo quadro internazionale, giornali e telegiornali sono pieni delle quotidiane imprese attribuite al nuovo occupante della Casa Bianca.
CialTrump annuncia l’annullamento del trattato di libero scambio per il Pacifico e la protezione dell’industria americana dall’invadenza della globalizzazione. Theresa May dichiara a Davos che il popolo è più importante dei mercati, che la globalizzazione va corretta attraverso una redistribuzione delle ricchezze. Insomma, Trump e May sarebbero dei no-global.
Meno male che il presidente cinese Xi Jinping difende il libero mercato. Le sue metafore confuciane ricordano i tempi di Aldo Brandirali: assumere atteggiamenti protezionistici equivale a chiudersi in una stanza buia; fuori restano freddo e vento ma anche la luce e l’aria fresca. Commovente. La Cina dovrebbe fare una nuova guerra dell’oppio all’incontrario per imporre agli USA e all’Inghilterra “l’apertura dei mercati”. Peccato che le fiabe e gli apologhi morali del mercantilismo debbano sempre fare i conti con i rapporti di forza, soprattutto militare. Ed appunto l’analisi dei rapporti di forza militari spiegherebbe tante cose.
Ci si viene a raccontare che CialTrump avrebbe saputo interpretare la “pancia” dell’elettorato americano. Sta di fatto che ha preso meno voti della pur ripugnante candidata Killary Clinton e che è stato eletto per le consuete alchimie elettorali dell’establishment di cui fa parte. L’evidenza è che questo establishment negli ultimi tre anni ha dovuto metter da parte i suoi sogni di smembramento e di spartizione della Russia tra le varie multinazionali statunitensi.
Sino al 2013 la Russia aveva sopportato senza reagire provocazioni mostruose. Nel 2011 Putin e colleghi avevano lasciato al suo destino un semi-alleato come Gheddafi, mettendo nei guai anche il principale mediatore d’affari e fornitore di tecnologia della multinazionale russa Gazprom, cioè l’ENI. Si ricordano giustamente le figure di merda a raffica del Buffone di Arcore nel 2011; d’altra parte non si sottolinea il fatto che nessun aiuto è arrivato al Buffone da parte del suo “amico” Putin. Sarebbe bastato che qualche nave militare russa attraccasse a Tripoli e Bengasi per bloccare l’aggressione NATO alla Libia, togliendo così il Buffone e l’ENI d’impiccio, con sommo vantaggio della stessa Russia che avrebbe potuto usufruire del feudo gas-petrolifero libico di ENI.
La debolezza dimostrata dalla Russia nel caso libico ha aperto la strada per un’aggressione in grande stile alla Siria, che non era un alleato di serie B come la Libia, bensì un alleato storico e strategico, con tanto di base navale russa nel porto siriano di Tartus. Ma neanche questo aveva commosso più di tanto Putin e colleghi. C’è voluto il colpo di Stato della UE e della NATO in Ucraina perché le forze armate russe si svegliassero e mettessero Putin di fronte all’evidenza; la conquista dell’Ucraina da parte della NATO avrebbe aperto a Nord la strada dei carri armati NATO verso Mosca ed a Sud il controllo del Mar Nero alla US-Navy grazie alla Crimea. E forse neppure questo da solo era bastato, c’è voluto anche il crollo del prezzo del petrolio con la conseguente diminuzione del potere di corruzione di Gazprom nei confronti dei generali.
Il risveglio militare della Russia ha fatto svanire i sogni di spartirsela e quindi ha reso superflua quella creatura statunitense che è l’Unione Europea, che svolge la sua funzione anti-russa a prezzo della depressione mondiale causata dal buco nero della moneta unica. Si mettono da parte anche i trattati commerciali internazionali perché comportano un prezzo inutile in termini di deficit di bilancia commerciale, visto che la Russia non è più disposta a lasciarsi accerchiare ed usa la minaccia militare per ristabilire rapporti con Turchia e Giappone. La Russia rimane e rimarrà per gli USA il bersaglio prioritario ma, per il momento, è meglio non fare la faccia troppo feroce ad un avversario che ha ricominciato a difendersi e, in qualche caso, ad attaccare.
Si potrebbe, del tutto legittimamente, osservare che questo riequilibrio dei rapporti di forza e l’eventuale fine dell’UE aprirebbero per l’Italia una finestra di opportunità, quale che sia il giudizio su CialTrump. Ma il punto è che l’euro potrebbe continuare con altri mezzi. Gli obiettivi non cambiano: tenere alti gli spread per consentire agli “investitori” esteri di lucrare alti interessi sul debito pubblico italiano, presentando il conto ai lavoratori che devono sostenere la produzione con salari sempre più bassi, e sostenere anche i servizi finanziari indebitandosi per poter consumare. In Italia c’è un ceto medio pronto a comprarsi i titoli del debito pubblico ad interessi molto più bassi; ciononostante i titoli decennali del Tesoro vengono riservati con alti interessi ad oscuri “investitori istituzionali” stranieri. La spiegazione del mistero sta forse nelle carriere in multinazionali del credito, come JP Morgan, di ex ministri del Tesoro come Grilli. Se si considera però che oggi a fondare il “Polo Sovranista” è quel Gianni Alemanno che da ministro dell’Agricoltura e da sindaco di Roma è stato
un pupazzo della Philip Morris, bisogna concludere che ci sarà anche dell’altro su cui stare bene in guardia.