Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Le campagne presidenziali negli USA non hanno mai toccato vette entusiasmanti, ma la disputa Trump-Clinton esibisce un livello talmente basso da rappresentare una delle peggiori cadute di immagine del sistema americano. Bisogna comunque ammettere che la polemica tra la Clinton e Trump presenta qua e là toni veritieri che non temono smentita. Hillary accusa Trump di essere un satiro che usa i suoi soldi per molestare le donne, e Hillary se ne intende di satiri, visto che ne ha sposato uno. Donald accusa la Clinton di essere una psicopatica che va avanti a botte di psicofarmaci, ed ha sicuramente ragione anche lui.
Nel 2013 il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ai giornalisti che gli chiedevano un parere sulle incertezze della situazione politica in Italia, rispose che, quale che fosse il governo italiano che si andava a formare, ormai per le “riforme strutturali” era stato inserito il pilota automatico. Oggi un emulo americano di Mario Draghi potrebbe da un momento all’altro venire a rassicurarci rivelandoci che, quale che sia il presidente in carica, la politica “estera” (ovvero imperialistica) degli USA non cambierà, dato che anche lì è stato ormai inserito il pilota automatico. E pare proprio che nel programma del pilota automatico ci sia la rotta di collisione con la Russia.
Dal segretario generale della NATO abbiamo anche appreso che tra le truppe schierate a “difesa” dei Paesi Baltici vi sarà una presenza “simbolica” dell’esercito italiano. Ma i simboli sono più che sufficienti per inguaiarsi, vista la reazione di Mosca nei confronti del governo italiano.
Perché poi i Paesi Baltici avrebbero bisogno di essere “difesi”? Ci viene detto che essi temono l’effetto-Crimea, cioè di essere nuovamente annessi all’impero russo. Ma un rischio del genere è semmai attivato dall’eccesso di “difesa”.
La lobby russa dell’export di gas e petrolio ha spinto per il ridimensionamento dell’impero in quanto voleva trasformare gli ex sudditi, già consumatori a sbafo, in clienti paganti. Su questa base commerciale l’azienda russa Gazprom è riuscita a costruire le prime risorse finanziarie che le hanno permesso negli anni di diventare un soggetto affaristico del tutto autonomo, anzi rampante. E proprio il fatto che gli obiettivi affaristici di Gazprom siano stati raggiunti, ha comportato l’irritazione delle multinazionali statunitensi e quindi le provocazioni della NATO in Ossezia nel 2008 ed in Ucraina nel 2013, dove si è verificato nientemeno che un colpo di Stato nel quale sono risultati determinanti elementi nazisti.
Le successive sanzioni economiche di USA e UE contro la Russia sono andate a colpire ovviamente l’export di materie prime, perciò ad indebolire la relativa lobby rafforzando le posizioni dell’esercito russo. Oggi Gazprom non ha più a disposizione la valanga di soldi che le consentiva di corrompere e tenere buoni i generali, i quali, ovviamente, fanno la voce sempre più grossa, sino a resuscitare sogni imperiali per ricostituire attorno alla Russia una “fascia di sicurezza”.
La disciplina di marca NATO delle sanzioni economiche dell’Unione Europea alla Russia presenta intanto delle crepe evidenti. Il governo tedesco ha addirittura approfittato delle condizioni contrattuali più favorevoli che la Russia era costretta a concedere a causa delle sanzioni. La Germania ha così potuto migliorare le condizioni finanziarie ed infrastrutturali del suo approvvigionamento di gas russo, cosa che ha provocato le proteste del governo più ligio alle sanzioni stesse, cioè quello italiano, che però è anche il governo che conta meno nelle decisioni.
Quindi, se l’obiettivo della NATO era quello di puntellare la disciplina UE, ci si è riusciti solo con il Paese politicamente più debole.
Matteo Renzi ha acquisito molto del suo stile dall’amico Roberto Benigni, un comico caratterizzatosi per un esteriore atteggiamento trasgressivo ed un sostanziale servilismo. Non per niente Renzi ha voluto esibire Benigni nella visita a Obama come vanto dell’italian style.
Il problema è che la messinscena euro-renziana del piglio baldanzoso e delle brache calate sta trasformando l’economia italiana in una mina vagante che potrebbe deflagrare prima del previsto, ed in tal caso non ci sarebbero “quantitative easing” o troike che tengano. Paesi come la Spagna sono invece riusciti a barcamenarsi ignorando le euro-restrizioni più suicide. Ma la Spagna non ha sul suo territorio basi NATO e USA del peso strategico di quelle italiane, ed inoltre la sua economia ha un ruolo periferico. Il pilota automatico imposto ai governi italiani sta rivelandosi più minaccioso per la sopravvivenza dell’UE dell’indisciplina degli altri Paesi.
Ai vertici della NATO e del Pentagono non vi sono delle cime, ma constatazioni del genere sono comunque alla loro portata. Probabilmente però c’è ancora chi pensa che una nuova guerra fredda possa compattare un’Unione Europea traballante e quindi preservare questa storica appendice della NATO. C’è sicuramente anche chi pensa di spingere sull’acceleratore delle provocazioni per favorire una dissoluzione della Russia, da sostituire con una serie di petro-staterelli, altrettanti feudi delle multinazionali del petrolio. Altri pensano che non si potrà indefinitamente tenere a freno lo sviluppo della Russia e della Cina imponendo al mondo altri decenni di stagnazione economica, perciò tanto vale affrontare adesso lo shock bellico. Altri ancora, più saggiamente, non pensano nulla, perché è comunque il pilota automatico a comandare.
Settanta, anzi settantun anni, di anarchismo organizzato si sono sviluppati all’ombra del sospetto che l’organizzazione costituisse una forma di deroga dall’identità anarchica. Pirandellianamente ognuno percepisce se stesso in base a come viene percepito dall’opinione pubblica, perciò se l’anarchia viene considerata dai più come disorganizzazione, l’organizzazione a sua volta non può essere ritenuta anarchica, e tale opinione finisce per influenzare indirettamente anche chi non la condivida sul piano teorico. L’ombra del sospetto perciò ha oscurato la visuale anche degli stessi anarchici organizzati, i quali spesso non si sono resi conto che i rischi di degenerazione autoritaria derivano soprattutto da una colonizzazione ideologica dall’esterno da parte di reclamizzate dottrine pseudo-eco-utopistiche che si spacciano come eredi dell’anarchismo storico.
Il fatto è che persino chi si identifica in un progetto di anarchismo organizzato, non considera l’organizzazione stessa come una mera “conditio sine qua non” per un’azione collettiva, bensì come una risorsa in termini di potenza. La Piattaforma dei Comunisti Anarchici del 1926 arrivava ad attribuire il prevalere dei bolscevichi sulle altre correnti del socialismo russo alla loro superiore organizzazione. Questo luogo comune gode ancora di una sua indiscutibilità, persino tra i critici della Piattaforma. Nella sua autobiografia il regista spagnolo Luis Buñuel, militante della CNT-FAI, riconfermò questo luogo comune, attribuendo la sconfitta dell’anarchismo spagnolo alla sua mancanza di organizzazione a fronte della rigorosa disciplina dei comunisti di fedeltà sovietica.
Per la verità oggi si sa con certezza che le cose non stanno proprio così. Documenti dell’archivio di Stato tedesco de-segretati una decina di anni fa, hanno confermato quanto si poteva già supporre a lume di buonsenso, e cioè che l’aiuto tedesco nei confronti di Lenin non si limitò a fornirgli un treno per tornare in patria, ma si concretizzò in versamenti di milioni di marchi, con una tranche di cinque milioni nell’aprile del 1917. Nel 2007 il settimanale tedesco “Der Spiegel” ha banalizzato queste informazioni parlando di “rivoluzione comprata”. In realtà Lenin non era né un fantoccio né un venduto ma, dal suo punto di vista, poteva ritenere di aver sfruttato una contraddizione interna all’imperialismo. Ma il punto non è questo. Non era infatti l’organizzazione, o il mitico centralismo democratico, il punto di forza dei bolscevichi, ma il fatto di avvantaggiarsi di un’ingerenza esterna al territorio russo. Da questa posizione di forza dei bolscevichi si svilupparono tutta una serie di rendite di posizione, come il fatto che una cordata di lobby di affari di import di materie prime si andasse ad agganciare al carro del probabile vincitore. Si tratta con tutta evidenza delle stesse lobby che hanno corroso dall’interno l’esperienza del cosiddetto “socialismo reale” e lo hanno condotto alla fine misera che sappiamo.
Lo stesso discorso vale per la Spagna del 1936, dove i comunisti poterono avvantaggiarsi dei finanziamenti sovietici, magari non particolarmente generosi, ma sufficienti a far acquisire una posizione di forza che consentisse di agganciare lobby massoniche interessate a bloccare le collettivizzazioni operate dalla CNT-FAI.
Il potere quindi non è una ramificazione o un radicamento sociale, non è organizzazione, ma è una rendita di posizione che si esprime a partire da una posizione di forza acquisita a causa di un’ingerenza esterna. In questo senso il colonialismo non è soltanto una forma del potere, ma è il paradigma del potere.
L’idea comune è che il potere si sviluppi per spinte endogene, cioè per contraddizioni economiche interne ad una società, contraddizioni che favoriscono la discriminazione sociale e quindi l’instaurarsi di un dominio di classe; ma questa idea non ha un riscontro storico. Nell’antichità un popolo ne conquistava un altro e ne diventava la casta dominante, e persino la divinità: gli Spartiati sopra e gli Iloti sotto. Ma del resto anche l’imperialismo americano vanta le sue divinizzazioni, basti pensare a Steve Jobs. L’imperialismo contemporaneo preferisce il colonialismo indiretto dell’imposizione di trattati militari e commerciali alla pratica dell’occupazione diretta di un territorio, ma non si rinuncia mai del tutto a qualsiasi opzione. Nella ex Jugoslavia i rancori etnici avrebbero potuto rimanere latenti in eterno se non fossero arrivati il denaro tedesco ed il denaro saudita a far saltare gli equilibri di forze; ma ad un certo punto nel 1999 la NATO ha ritenuto di intervenire direttamente per strappare un pezzo di territorio alla Serbia in modo da insediarvi lo Stato fantoccio del Kosovo.
La fiaba che di solito ci viene raccontata è quella degli ideali che vengono irreggimentati dall’organizzazione, dell’organizzazione che poi diventa burocrazia, e della burocrazia che alla fine spegne gli ideali. Giuseppe De Rita ha raccontato persino la storia dell’Unione Europea in base ai canoni di questa fiaba, dimenticandosi quindi di dettagli come l’imperialismo della NATO, che imponeva l’europeismo già nell’articolo 2 del Patto Atlantico del 1949, oltre che dell’ingerenza costante delle lobby finanziarie multinazionali. Robetta.
La cosiddetta “globalizzazione”, cioè il potere che si costituisce come “bolla” oligarchica e irresponsabile al di fuori e al di sopra dei territori, non costituisce quindi un inedito storico, ma è la forma normale di funzionamento del potere stesso. Il fatto che un’opposizione si radichi in un territorio non costituisce di per sé un elemento che possa mettere in crisi le bolle oligarchiche, poiché anche queste a loro volta possono comprarsi delle complicità nei territori. Basti pensare alla saldatura storica tra le mafie e la NATO.
La risorsa dell’anarchismo non è il territorio in sé, ma l’anarchismo stesso, cioè la possibilità di demistificare il potere. Lo scontro di classe non è un mai un fatto interno ad un Paese : lo sa l’operaio che vive sotto il ricatto della delocalizzazione, come dovrebbe saperlo l’insegnante che ha di fronte un Dirigente Scolastico addestrato al “management” dalla multinazionale IBM.
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