Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Mentre i miti possono nascere anche spontaneamente, una peculiarità dei media è quella di fabbricare "miti dei miti", cioè diffondere l'idea che esistano dei miti che in effetti da soli non avrebbero alcuna vita propria. La morte dell'ex dirigente del PCI Pietro Ingrao, è stata per i media l'occasione per riciclare in grande stile la tesi secondo cui questo personaggio avrebbe goduto di un grande prestigio personale nella sinistra cosiddetta radicale. In realtà, al di là degli aspetti affettivi - del tutto rispettabili, ma politicamente irrilevanti -, sarebbe ben arduo sostenere che la figura di Ingrao abbia rappresentato un punto di riferimento, persino fra coloro che appartenevano alla sua area politica. Al contrario, sin dagli anni '70 la presenza di un personaggio come Ingrao è spesso stata motivo di imbarazzo, data la palese inconsistenza della sua figura. Imbarazzava la sua riduzione del comunismo ad una letterina di natale, ad una lista di buoni propositi per l'anno nuovo; sconcertava la sua tendenza a tirarsi sempre indietro, mollando coloro che egli stesso aveva mandato avanti, come il gruppo de "Il manifesto" nel 1969, radiato dal PCI, senza che lo stesso Ingrao accennasse a una pur timida difesa. Allorché, una decina di anni fa, fu dedicato ad Ingrao un libro dal titolo "Il Compagno Disarmato", in molti commentarono che sarebbe stato più appropriato per lui l'epiteto di compagno "armiamoci e partite".
D'altro canto questo imbarazzo è stato vissuto senza quasi mai approfondirne contesti e motivazioni, poichè ciò avrebbe costretto a mettere in discussione un altro mito - quello sì realmente diffuso - sul professionismo del gruppo dirigente del PCI. Nella sua inettitudine, Ingrao era un caso estremo, ma niente affatto un caso anomalo nel gruppo dirigente del PCI, caratterizzato da una spocchia che mascherava un impacciato dilettantismo, dimostrato in termini clamorosi dal modo isterico in cui fu gestita la fase dei governi di Unità Nazionale e del rapimento di Moro nel 1978.
Per fortuna, in appoggio al "mito del mito" di Ingrao è arrivato il solito
livore della stampa di destra, che ha fatto ricorso allo scontato argomento denigratorio dell'appoggio di Ingrao all'invasione dell'Ungheria nel 1956. Si potrebbe facilmente replicare agli eterni recriminatori sull'invasione dell'Ungheria del '56, che, se quell'invasione fu un crimine, è stato allora tanto più criminale dare ragione agli invasori inglobando nella NATO gli ex Paesi sudditi dell'URSS dopo la dissoluzione dell'impero sovietico prima, e della stessa Unione Sovietica poi, portando la stessa Nato ai confini con la Russia.
Ma non è questo l'aspetto più interessante, poiché proprio la rivisitazione di quel 1956 potrebbe costituire la chiave per tentare una qualche spiegazione in più rispetto ai soliti luoghi comuni. Il 1956 si era aperto con il XX Congresso del Pcus, segnato dal rapporto di Kruscev sui crimini di Stalin. Quel rapporto costituisce una sorta di paradosso storico, poiché screditava certamente Stalin, al quale si poteva chiedere conto dell'eliminazione fisica del gruppo dirigente storico della Rivoluzione Russa, per poi far emergere uno come Kruscev. La più evidente confutazione dello stalinismo è data proprio dall'incompetenza dei gruppi dirigenti che ha espresso, sia nel PCUS che negli altri partiti comunisti. Infatti quel rapporto del XX Congresso delegittimava soprattutto lo stesso Kruscev, posto nella direzione del PCUS proprio da Stalin.
Il nonsenso politico del rapporto Kruscev del '56, acquisterebbe però un qualche senso se si ammettesse l'ipotesi che in Russia ha agito una lobby del petrolio da molto tempo prima della fondazione ufficiale di Gazprom nel 1989. L'ipotesi potrebbe essere retrodatata sino all'epoca di Stalin, smentendo il mito del dittatore/monarca assoluto. L'ipotesi andrebbe storicamente verificata, ma risulta a tutt'oggi fondamentale
la ricerca di Joyce Kolko, che nel pieno degli anni '70 demoliva l'immagine di un gruppo dirigente sovietico avviluppato nelle questioni di ideologia, ed illustrava l'azione in Russia di una lobby degli affari che manovrava anche il cosiddetto "dissenso" dei vari Sacharov.
Il comunismo sovietico non era affatto un trucco o un travestimento, ma comunque rimase una vernice ideologica che non ha mai inciso in profondità nei reali rapporti di potere interni alla Russia. La dissoluzione dell'impero sovietico nel 1989, e dell'Unione Sovietica nel 1991, corrisposero agli interessi di Gazprom, poichè trasformavano i vecchi Stati sudditi in Stati clienti del petrolio e del gas russi. L'impero aveva ostacolato gli affari, poiché costringeva a vendere il petrolio ai sudditi a prezzi stracciati; quindi per rilanciare gli affari, l'impero doveva essere liquidato.
L'attuale crollo del prezzo del petrolio ha però indebolito il dominio di Gazprom, dato che questa multinazionale russa non ha più a disposizione le risorse finanziarie sufficienti a consolidare il proprio potere; ed ecco che può rifarsi vivo il "partito imperiale", quello della continuità storica con l'impero zarista, un partito ancora attivo nelle forze armate. Lo squilibrio dei rapporti di forza a scapito di Gazprom, fa sì che oggi la Russia intervenga direttamente in Siria a difesa della propria base navale di Tartus. Il prezzo del petrolio può fare la Storia. Ma tutta la Storia dell'ultimo secolo potrebbe essere riletta come storia del petrolio.
I tafferugli in Polonia e la rivolta in Ungheria che si verificarono nel corso del '56 potrebbero essere letti col senno di poi come l'effetto di uno scontro in atto nel gruppo dirigente sovietico, in cui la lobby del petrolio già premeva per l'abbandono di un impero costoso e non remunerativo sul piano degli affari. Negli anni '50 il petrolio era diventato il grande business mondiale, e se ne accorse anche l'Italia, dove nel 1953 fu fondato l'ENI. Nel 1953 USA e Regno Unito avevano anche organizzato il colpo di Stato "petrolifero" contro il governo di Mossadeq in Iran. Nel 1955 in Europa era iniziato il boom economico e cresceva la domanda di petrolio, legata anche alla produzione di energia elettrica, perciò sarebbe comprensibile che la lobby russa del petrolio temesse di rimanere per sempre tagliata fuori dal business.
Sennonché, contemporaneamente alla rivolta d'Ungheria, nell'ottobre del 1956, Francia, Regno Unito e Israele invasero il Canale di Suez appena nazionalizzato dal presidente egiziano Nasser. Il business del petrolio aveva reso il Canale di Suez ancora più strategico ed aveva posto le condizioni per la futura instabilità di tutta l'area del Vicino Oriente.
Stalin fu certamente un esponente del partito imperiale, ma neppure lui deve essere stato immune dalle pressioni della lobby russa del petrolio, se si considera che nel 1948 fece un favore alla British Petroleum aiutando con armi ed appoggio diplomatico la nascita dello Stato d'Israele, il guardiano dell'Occidente a ridosso del Canale di Suez. La crisi di Suez del '56 fu l'occasione per il risveglio del partito imperiale in Russia, che costrinse Kruscev prima a minacciare l'intervento in difesa di Nasser e poi a stroncare la rivolta d'Ungheria. L'invasione sovietica dell'Ungheria iniziò infatti il 4 novembre del 1956, poco meno di una settimana dopo che era stata invasa Suez da Francia, Regno Unito e Israele. La coincidenza delle date non viene mai posta in evidenza dai recriminatori di professione sull'invasione sovietica dell'Ungheria.
La lobby russa del petrolio fu quindi ancora costretta ad aspettare la sua grande occasione, che arrivò negli anni '80, con la sconfitta dell'Armata Rossa in Afghanistan. Ma fu ancora una volta il prezzo del petrolio a forzare gli eventi. La Guerra del Golfo del gennaio 1991 fece schizzare in alto in prezzo del petrolio, e perciò Gazprom ebbe a disposizione i soldi per finanziare nell'agosto dello stesso anno la messinscena del colpo di Stato militare e del contro-putsch di Eltsin che mise fine all'Unione Sovietica.
Come quasi tutti avevano previsto, Renzi si è rapidamente rimangiato l'annuncio sulla possibilità di una "flessibilità in uscita" per le pensioni dei lavoratori con più di sessantadue anni. Tutto è rimandato al prossimo anno in attesa di "chiarire i dati". Anche nelle menzogne appare quindi un barlume di verità, e cioè Renzi ammette di parlare senza sapere di cosa parla.
In compenso il governo stanzia cento milioni di euro all'anno per la cosiddetta "alternanza Scuola-lavoro". La CGIL ha commentato la "guida operativa" che il Ministero dell'Istruzione ha messo a disposizione delle scuole e delle imprese, riscontrando una notevole confusione: il Ministero infatti non esplicita la portata giuridica del documento (un'ordinanza o una circolare?), che appare persino incongruente rispetto a quanto annunciato nell'ultima pseudo-riforma della Scuola. Ma c'è anche un
"colpo di scena" finale, dato che il tanto strombazzato registro delle imprese abilitate a collaborare con le Scuole, viene liquidato dal documento ministeriale come non vincolante.
La CGIL cerca disperatamente un ordine nel caos, e crede di trovarlo nelle esigenze del "mercato del lavoro", cioè nel costringere tanti studenti a lavorare gratuitamente per le imprese. Può darsi che vi sia anche questo, ma bisognerebbe capire quale possa essere la qualità della prestazione lavorativa di uno studente immesso per qualche mese in un contesto di cui sa poco o nulla, dato che l'istruzione tecnica è stata abolita già dalla riforma Gelmini.
Un modo di dire abbastanza comune riguarda coloro che invece di guardare la Luna si concentrano sul dito che la indica. Certamente a volte è così, ma capita anche che la Luna venga indicata solo per distrarre dal dito. In questo caso il dito è costituito dai cento milioni annui, l'unico aspetto concreto dello slogan sull'alternanza Scuola-lavoro. La formazione dei giovani si dimostra un pretesto per elargire fondi alle imprese private, senza indicare nessuna seria contropartita. Cento milioni non sono tanti, ma, come dice Renzi, anche qui bisognerà "chiarire i dati", cioè vedere quanti altri soldi verranno elargiti alla chetichella nei vari decreti attuativi della pseudo-riforma scolastica. Del resto l'alibi è già pronto, poiché tutto, si sa, si fa per il bene dei giovani. I governi hanno sempre i giovani al centro dei loro pensieri. Quando non sono gli studenti, sono i "giovani imprenditori".
Nel 1999 il governo D'Alema istituì un'apposita agenzia dal nome accattivante, "Invitalia", incaricata di distribuire fondi alle imprese di "nuova costituzione". Molto commovente, sennonché nei suoi sedici anni di storia Invitalia si è rivelata come un ente assistenziale per multinazionali.
Rolls Royce, ad esempio, ha potuto mettere su uno stabilimento in provincia di Avellino a spese di Invitalia, cioè dei contribuenti italiani.
Sempre ad Avellino, e sempre a spese di Invitalia (o Invitamultinazionali), si è insediata un'altra multinazionale,
Denso Thermal Systems. Il bello è che Invitalia se ne vanta, e si vanta soprattutto di aver coperto la metà dell'investimento. Il rischio che l'altra metà sia solo nominale non ci viene accennato. Anche qui occorrerà "chiarire i dati".
Un altro dato che regolarmente non ci viene illustrato, è quanti posti di lavoro "creati" da Invitalia siano realmente sopravvissuti in questi sedici anni. In
un altro documento governativo ci si fa però sapere che Invitalia può garantire sino al 75% dell'investimento della multinazionale "invitata", senza che venga richiesta alcuna garanzia di continuità dell'insediamento industriale e del livello occupazionale.
L'anno scorso Renzi ha presentato in pompa magna ventiquattro
"contratti di sviluppo" del governo, contratti in cui sono coinvolte multinazionali sia italiane che straniere. Il governo ha stanziato un miliardo e quattrocento milioni, coprendo il solito 75% degli investimenti, cioè quasi tutto, tanto da far supporre che il restante 25% rimanga sulla carta.
Di fronte ad una copertura governativa di tale entità, qualcuno si potrebbe chiedere che senso abbia "invitare" le multinazionali e non fare invece direttamente da soli. Un alibi di solito invocato per invitare le multinazionali, è far pervenire in un Paese i know-how a cui altrimenti non si potrebbe accedere; ma, in un Paese come l'Italia, con un miliardo e quattrocento milioni si potrebbero produrre tutti i nuovi brevetti che servirebbero.
Simili obiezioni indicherebbero però che non si è compresa la logica profonda dell'assistenzialismo per ricchi, quel grande fenomeno storico meglio conosciuto con i nomi d'arte di "Mercato" e "Capitalismo". La potenza delle multinazionali non deriva infatti da loro mirabolanti capacità imprenditoriali o affaristiche, ma proprio dall'intreccio di relazioni e di favori che stabiliscono con la politica e con l'alta burocrazia degli Stati.