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"Propaganda e guerra psicologica sono concetti distinti, anche se non separabili. La funzione della guerra psicologica è di far crollare il morale del nemico, provocargli uno stato confusionale tale da abbassare le sue difese e la sua volontà di resistenza all’aggressione. La guerra psicologica ha raggiunto il suo scopo, quando l’aggressore viene percepito come un salvatore."

Comidad (2009)
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 30/07/2015 @ 01:15:13, in Commentario 2015, linkato 1918 volte)
Alcuni eccessi critici nei confronti del governo greco in conseguenza del suo ultimo accordo con l'Unione Europea, hanno determinato degli effetti comunicativi piuttosto paradossali. Condannare troppo Syriza per il suo cedimento, significa infatti assolvere indirettamente l'UE, il Fondo Monetario Internazionale e la NATO, come se l'uscita dall'euro fosse solo una questione di buone intenzioni, di coerenza o dell'adozione della teoria monetaria "giusta". In realtà nessuna teoria monetaria ti spiega come difenderti dalle minacce di morte o dalle prospettive di un colpo di Stato camuffato da "rivoluzione colorata".
Non si può poi fare a meno di notare la solitudine del governo greco in tutte le recenti vicissitudini. Non c'è dubbio che Tsipras si attendesse un po' più di solidarietà da parte del governo russo. Dei commentatori particolarmente estimatori di Putin hanno però visto nella sua rinuncia ad approfittare delle difficoltà della UE un atteggiamento di lungimiranza politica. In effetti Putin nella circostanza ha spinto la sua lungimiranza da qui ad un milione di anni, quando di tutto quello che accade ora non fregherà più niente a nessuno.
Quando c'erano di mezzo basi militari da difendere, come a Tartus in Siria o in Crimea, la Russia ha fatto qualcosa, ma in quel caso a spingere sono state le forze armate russe, e non si è intravista alcuna strategia da parte di Putin. L'attuale presidente russo è certamente un tipo "tosto", capace di sfidare le minacce di eliminazione fisica, ed abbastanza competente in fatto di sicurezza da scegliersi ed addestrarsi da solo le proprie guardie del corpo. Ciò lo pone nelle condizioni di mediare tra Gazprom e le forze armate, ma non lo rende un leader politico. Putin pensa prima da ricco e poi da russo, e quindi oggi la sua priorità è di tornare a fare affari con l'UE ottenendo il ritiro delle sanzioni economiche.
Il recente accordo tra USA ed Iran sul nucleare, non costituisce una buona notizia per la Russia. Il ritorno del clepto-clero al potere in Iran indica che anche lì si dà una priorità agli affari e, di conseguenza, c'è il rischio concreto di una deriva iraniana in senso filo-occidentale. Ciò determinerebbe un maggiore isolamento per la Russia ed una crescente minaccia per i suoi confini. L'opinionismo di destra, in base al consueto gioco delle parti mediatico, ha spacciato l'accordo USA-Iran come un ennesimo esempio del "troppobuonismo" occidentale e dell'ingenuo "pacifismo" di Obama e Kerry. Ma il fumo mediatico del finto dibattito tra destra e "sinistra" può incantare l'opinione pubblica occidentale, mentre gli esperti russi di strategia si saranno resi conto che il senso dell'accordo è che gli USA considerano la Russia come il bersaglio principale. Un Putin davvero lungimirante avrebbe quindi appoggiato più esplicitamente l'Iran negli anni scorsi e non avrebbe acconsentito alla liquidazione politica di Ahmadinejad, che non era un granché, ma quantomeno non era coinvolto più di tanto nell'affarismo del clero sciita. Se la Russia non fa politica, non ci si può sorprendere che non ci riesca la Grecia, oggi costretta ad annaspare alla giornata. Nei giorni scorsi si è assistito alla barzelletta di un FMI che criticava "da sinistra" l'accordo UE-Grecia, perciò il governo greco è andato a bussare alla porta del "poliziotto buono" chiedendo un altro prestito, con tutti gli ulteriori guai che ciò comporterà.
Vi sono stati anche commentatori che in questi mesi si sono apertamente schierati a sostegno del governo greco. Il più noto a livello internazionale è l'economista americano Paul Krugman, da sempre contrario all'euro. Anche la comunicazione di Krugman non è però esente da ambiguità. Si può facilmente dimostrare che l'euro, dal punto di vista di qualsiasi dottrina economico-monetaria, costituisce una mera stupidaggine, ma la stupidità può spiegare molte cose, non tutto.
Krugman come spiega che nei suoi primi otto anni relativamente tranquilli l'euro non sia mai riuscito a diventare una valuta di riserva? Come mai ogni Paese europeo ha dovuto continuare a procurarsi dollari per comprare merci dalla Cina o petrolio dall'Arabia Saudita? Possibile che l'euro non costituisse una valuta credibile per transazioni a livello mondiale? Forse Krugman si è dimenticato che esistono cose che si chiamano colonialismo e imperialismo?
Il punto è che le scelte monetarie sono spesso atti di guerra e addirittura armi da guerra; di quel tipo di guerra detto "a bassa intensità", anche se gli effetti sono comunque devastanti. Qualcuno si ricorderà della moneta di occupazione americana in Italia, le famose am-lire che dal 1943 distrussero le finanze italiane. Per comprendere la gravità della portata di quella scelta statunitense, occorre considerare che persino i nazisti si astennero dall'imporre una moneta di occupazione alla Francia e al Nord Italia, nonostante che la Repubblica di Salò fosse qualcosa di meno di uno Stato fantoccio, ciò per esplicita ammissione dello stesso Mussolini.
Se l'euro fosse considerato per quello che è, cioè una moneta di occupazione, forse i termini del problema risulterebbero più chiari. Come strumento di occupazione coloniale, l'euro potrebbe risultare obsoleto e superato di qui a poco, ma la guerra imperialistica continuerà comunque con nuovi strumenti. Von Clausewitz diceva che la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, ma una politica che non riconosce di trovarsi in stato di guerra, non è più politica, ma vuota messinscena.
La conseguenza è che la politica estera può essere privatizzata a vantaggio del lobbismo multinazionale. Durante una sua visita a Bruxelles nel giugno scorso, il fondatore di Microsoft, Bill Gates, è stato ricevuto in pompa magna dalla Commissione Europea e dal suo presidente Juncker. La fondazione privata di Bill Gates è stata trattata con più riguardo di uno Stato, ed ha potuto aprire tutto un tavolo di collaborazioni con l'UE per "aiuti" all'Africa.
Certamente la legge consente a Bill Gates di fare ciò che vuole, ma un organismo pubblico (?) come la Commissione Europea non dovrebbe prescindere dalla questione del conflitto di interessi, e cioè dei nessi esistenti tra i pacchetti azionari posseduti da Gates in varie multinazionali - come, ad esempio, Monsanto -, e le sue iniziative "umanitarie" nel campo della Scuola, dell'alimentazione e del denaro digitale. Alla ricchezza è quindi riconosciuto ufficialmente lo status di un carisma messianico che le consente di sottrarsi al giudizio umano e di scavalcare le procedure istituzionali. Non ci sono più leader politici, ma in compenso ci sono miliardari-messia.
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Di comidad (del 06/08/2015 @ 01:51:45, in Commentario 2015, linkato 1780 volte)
Uno dei miti della modernità più drasticamente smentiti dai fatti è quello dell'informazione. L'idea di un'opinione pubblica consapevole e di cittadini in possesso dei dati per decidere, ha ceduto il posto alla realtà della propaganda e della manipolazione mediatica. La figura professionale caratteristica della modernità, che non esisteva in epoche precedenti, è appunto quella del "giornalista", il mitico "professionista dell'informazione", che si è rivelato invece l'addetto-stampa delle lobby degli affari.
Il leitmotiv mediatico di cui si abusa maggiormente in Italia è, ovviamente, il razzismo anti-meridionale, che costituisce in questo periodo il diversivo consolatorio da offrire ad un Settentrione investito da una brutale deindustrializzazione. Il razzismo antimeridionale nasce però con la stampa stessa, diventata fenomeno di massa nell'Inghilterra dei primi decenni dell'800. Per motivi strategici di dominio del Mediterraneo, il Regno delle Due Sicilie costituiva un bersaglio militare e propagandistico della stampa britannica, con la produzione di tutta un'aneddotica sulla tirannia dei vari Franceschi e Ferdinandi e sul degrado del popolo meridionale. Già allora la stampa si poneva come la principale "fonte" di se stessa, ed addirittura come fonte per gli storici. Le notizie erano riprese e rilanciate su scala internazionale senza controllo; allo stesso modo in cui, nell'epoca attuale, l'emittente Al Jazeera è diventata la fonte esclusiva sulle "rivoluzioni" arabe del 2011, oppure fioriscono aneddoti infondati sulle follie omicide del presidente nord-coreano. Imposto dalla stampa inglese come un senso comune mediatico a livello mondiale, il razzismo anti-meridionale può essere ritrovato nei luoghi più insospettabili, da "La Lettera Rubata" di Edgar Allan Poe, sino al "Mein Kampf" di Hitler, il quale era una vera e propria "spugna" della propaganda britannica. Il razzismo anti-meridionale andò a costituire l'ideologia fondante dell'unificazione italiana, con il risultato di formare un'identità italiana autorazzistica e recriminatoria, contrassegnata da velleitarie ambizioni in campo internazionale, ma anche intrinsecamente vulnerabile alla colonizzazione. Il razzismo anti-meridionale serviva infatti a veicolare un razzismo anti-italiano tout court. Quest'antropologia della frustrazione avrebbe trovato nel fascismo la sua consacrazione, ma costituisce un tratto costante della storia unitaria italiana che si è perpetuato sino ad oggi. La politica estera viene ancora adesso rappresentata ad un'opinione pubblica infantilizzata come un pranzo di gala dei vip, a cui però non puoi partecipare perché ti sei preso a carico il fratello scemo e parassita.
Che i rapporti internazionali possano essere segnati da cose come colonialismo e imperialismo, tutto ciò non riguarda mai la nostra storia. Eppure proprio in questi ultimi decenni abbiamo visto lo schema imperialistico del nostro 1860 ripresentarsi identico nell'Afghanistan degli anni '80, e ancora nella Libia e nella Siria attuali, dove un'invasione di truppe mercenarie straniere è stata spacciata come la saldatura tra una rivolta interna e l'arrivo di eroici combattenti per la libertà, a volte anche con l'intervento finale della potenza "liberatrice".
La pubblicazione dell'annuale rapporto dello Svimez - l'ente privato di studi finalizzati allo "sviluppo" meridionale, fondato settanta anni fa - ha consentito ai media di lanciarsi in paralleli molto suggestivi. Secondo lo Svimez, parrebbe infatti che in questi ultimi dieci anni il Sud Italia abbia fatto addirittura peggio della Grecia in incremento del PIL. Dato che la Grecia rappresenta attualmente l'emergenza più all'attenzione, era praticamente d'obbligo associarla mediaticamente all'Italia meridionale, patria naturale di ogni emergenza. Certo è che lo Svimez, come ogni altro ente che fornisca dati sul Sud, si trova in una situazione comunicativa alquanto paradossale. Chi mai lo prenderebbe sul serio, e chi mai lo rilancerebbe, se non presentasse ogni volta un quadro catastrofico?
Sino al febbraio scorso pareva imminente un'impresa militare italiana in Libia, con lo scopo ufficiale di combattere il terrorismo islamico. Renzi aveva annunciato a riguardo un decreto per il marzo scorso, poi abortito senza fornire spiegazioni, e senza che i giornalisti le chiedessero. Se la guerra libica fosse scoppiata, c'era già pronto un accostamento tra la minaccia islamica ed i soliti Meridionali. Un giornalista della scuola di Milena Gabba Merli ha infatti diretto un "documentario" su dieci casi di conversione all'Islam avvenuti a Napoli. In un'area metropolitana che tra città ed hinterland conta quasi tre milioni di abitanti, ci può essere praticamente di tutto, ma sta alla tendenziosità del giornalista attribuire ad alcuni casi un valore "emblematico". Per rendere più scivolosa la supposta, si inizia magari celebrando la tolleranza religiosa della città di Napoli; ma l'importante era introdurre la coppia semantica Napoli-Islam, poi ci sarà tempo per conferirle un senso inquietante.
Durante il suo viaggio ufficiale in Giappone, Matteo Renzi ha trovato modo di rispondere alle polemiche scatenate dal rapporto Svimez, inanellando le solite lamentele contro i "gufi" e contro quelli che "sparano" contro il proprio Paese, ciò in assoluta aderenza al gioco delle parti con la cosiddetta "opposizione" che è d'obbligo in queste circostanze. Ogni tanto si potrebbe anche far notare a Renzi che il più "gufo" "sparatore" di tutti è proprio lui, dato che ogni sua "riforma" è supportata da campagne di denigrazione e criminalizzazione contro intere categorie sociali.
Dal punto di vista dei risultati politici ed economici, questa trasferta giapponese si è dimostrata il consueto spreco di denaro pubblico. A Renzi infatti non è stato neppure concesso di parlare davanti alla confindustria giapponese, ma, in quanto italiano e fiorentino, gli si è riservata una nicchia nell'accademia d'arte. Per darsi importanza - o, forse, perché non sa nulla d'arte - Renzi ha finito per parlare della minaccia terroristica. Eppure, chissà perché, quelle banalità, visto che erano dette dal Giappone, hanno assunto per i giornalisti italiani un suono molto più conturbante.
In base al principio autorazzistico secondo cui la legittimazione e l'autorevolezza ti vengono dal riconoscimento estero, anche Renzi, per farsi prendere sul serio in patria, ha bisogno di dimostrare che i primi ministri stranieri gli stringono la mano e che gli imperatori lo ricevono. La scelta del viaggio giapponese è stata dettata probabilmente da motivi di prudenza diplomatica, dato che in Giappone vige ancora un decoro cerimoniale, mentre in Occidente gli incontri al vertice hanno assunto ormai toni così sbracati e ammiccanti che Renzi avrebbe rischiato persino umiliazioni in pubblico.
Renzi ha quindi trasformato il Giappone in tribuna mediatica protetta per parlare di Italia, alla sua solita maniera. Con il piglio dello schiacciasassi ha promesso che la "riforma" della Pubblica Amministrazione passerà in parlamento. Lanciato da Tokio, il messaggio ha tutta un'altra solennità, ma guai ad entrare nel merito delle proposte, in quanto si tratta dei soliti vaniloqui, infarciti di quelle misure draconiane che fanno la gioia dell'opinione pubblica più forcaiola. Stavolta ci sarebbe in cantiere la licenziabilità dei dirigenti inefficienti e l'ennesimo annuncio dell'abolizione del Corpo Forestale.
Ma la sola notizia concreta riguardo il DDL ora "all'esame" (si fa per dire) del parlamento, è che, ancora una volta, il governo si riserva di sostanziare la cosiddetta "riforma" nei successivi decreti attuativi. Come già il "Jobs Act" e la "Buona Scuola", anche la "riforma" della Pubblica Amministrazione non è altro che una legge di spesa con delega in bianco al governo. Si stanzia del denaro pubblico sulla base di obiettivi fumosi, ma il governo potrà spenderlo nei prossimi mesi a pro delle lobby degli affari senza renderne conto. E c'è anche da considerare che Pubblica Amministrazione significa anche gestione del Demanio dello Stato, quindi possibilità di privatizzazioni occulte, da dissimulare in decreti attuativi a cui i giornali non dedicheranno più di qualche riga. Valeva allora la pena di volare sino in Giappone per non far percepire tutto questo all'opinione pubblica.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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