Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Uno dei maggiori punti di forza del potere è quello di riuscire ad essere sempre più squallido dell'immaginabile. Più di un osservatore aveva notato che la "riforma" della Scuola targata Renzi non è altro che una legge di spesa con una delega in bianco al governo. Decine e decine di pagine fumose e di paradossi giuridici non riescono a nascondere l'unico dato concreto, cioè che alcuni miliardi (non si capisce bene quanti) vengono stanziati e, in base all'articolo 22, il governo ne farà ciò che vorrà nei prossimi mesi. Sarebbe bastato questo per giustificare ogni opposizione; ma è già il termine "opposizione" a presentarsi aleatorio. Quello del potente è il mestiere più facile del mondo, poiché tutto viene affrontato dietro il comodo paravento del vittimismo, perciò ogni obiezione ed ogni perplessità vengono fatte passare per opposizioni, per sabotaggi, per "remare contro". La vera opposizione l'ha fatta il governo, che ha preventivamente criminalizzato i sindacati ed il personale della Scuola. I sindacati avrebbero voluto collaborare alla "riforma", ma non gli è stato concesso.
Dato che la posizione di "oppositore" non è affatto una scelta, ma l'effetto di un'esclusione, è molto facile cadere nella trappola della "propositività". Invece di limitarsi a constatare il carattere vuoto e depistante di slogan come "aziendalizzazione", gli si sono contrapposte delle parole evocative come "democrazia" e "Costituzione", in nome del consueto "animabellismo" a cui gli oppositori sono condannati per cercare di fare bella figura davanti all'opinione pubblica. Tanto impegno era superfluo, dato che gli slogan del potere sono intercambiabili. Il "passare dalla protesta alla proposta" costituisce inoltre uno dei tipici luoghi comuni cari al potere, poiché devia la discussione dal punto nodale, cioè il saccheggio delle risorse pubbliche a vantaggio di lobby private.
Dopo aver fatto i propri sporchi affari e quelli delle sue lobby, Renzi ha potuto volare al summit dei governi della zona euro a darsi le arie da statista. In una dichiarazione alla stampa, il Genio di Rignano ha intonato la litania del
"deficit di Europa", dell'Europa assente ai tavoli delle grandi questioni internazionali. Renzi ha anche trattato con sufficienza il cosiddetto "accordo" con la Grecia che si sarebbe raggiunto di lì a poche ore.
Molti hanno visto nell'atteggiamento del governo greco un totale cedimento, specialmente dopo il risultato del referendum. Si è dunque confermata la regola aurea secondo cui il risultato elettorale è giusto e sacrosanto solo quando i poveri perdono. Ma, anche considerando le storiche ambiguità di Tsipras (ad esempio, le sue frequentazioni con George Soros), c'è da considerare che la Grecia subisce un ricatto micidiale. Finché rimane nell'euro, la Grecia può almeno comprare in Europa i prodotti di prima necessità. Il ritorno alla dracma comporterebbe l'urgenza di procurarsi dollari per gli acquisti all'estero, quindi la speculazione anche di pochi "investitori" ridurrebbe immediatamente la dracma a carta straccia, come oggi sta accadendo al bolivar, la moneta venezuelana.
Si parla tanto oggi di mondo "multipolare", ma finché l'unica moneta di pagamento internazionale (in terminologia tecnica: valuta di riserva) sarà il dollaro, il mondo rimarrà "unipolare". Qualche mese fa la Cina ha proposto che
anche lo yuan diventi una valuta di riserva e, guarda la combinazione, è subito stata fatta scoppiare la "bolla cinese" che ora minaccerebbe l'economia mondiale. La vera menzogna è il "mercato".
Dal suo punto di vista, Tsipras può considerare la propria firma all'accordo come un prendere tempo. In effetti, più che di un accordo, pare trattarsi dell'ennesimo rinvio, poiché tra i provvedimenti imposti al governo greco per "fare cassa" ci sono le solite privatizzazioni. In realtà le privatizzazioni non fanno cassa, anzi costano, poiché vanno finanziate con denaro pubblico, visto che i privati non sono disposti a sborsare nulla. Quando poi le privatizzazioni sono fatte sotto un'impellente costrizione, le lobby private diventano sempre più avide ed esigenti. Anche i predecessori di Tsipras avevano preso l'impegno solenne di privatizzare tutto il privatizzabile, ma semplicemente non disponevano dei soldi per farlo.
Renzi non ha certo fatto ricorso ad argomenti così concreti e sconvenienti per ridimensionare il presunto accordo con la Grecia, ma si è lanciato nella recita dello statista a tutto tondo, lamentando, ad esempio, la scomparsa dell'Ucraina dall'agenda europea. Ma, se nella tragedia greca l'Europa è solo un comprimario, nella tragedia ucraina l'Europa è appena una comparsa. I veri protagonisti, come sempre, sono la NATO ed il FMI. Il "deficit di Europa" è solo un alibi che serve a coprire un dato di fatto molto più misero, e cioè che la cosiddetta "Europa" è un'operazione coloniale degli USA.
Renzi perde sempre occasioni d'oro per stare zitto, poiché parlare di Ucraina, significa inevitabilmente parlare di inasprimento delle sanzioni contro la Russia, con tutti i guai che ciò sta comportando per l'economia italiana. A soffiare sul fuoco della crisi ucraina, e delle conseguenti sanzioni alla Russia, c'è inoltre una potente lobby finanziaria specializzata nel riciclaggio, alla quale la Russia è costretta a ricorrere per aggirare le sanzioni.
In questi giorni l'Ucraina si trova ancora una volta a rischio di default, di totale insolvenza nei confronti dei debiti. Una Christine Lagarde
insolitamente generosa si è dichiarata disposta a portare l'esposizione creditizia del FMI nei confronti dell'Ucraina dagli originari diciassette miliardi di dollari addirittura a quaranta. In cambio, come al solito, di "riforme".
L'Ucraina è oggi la prima linea dell'aggressione della NATO contro la Russia, e ciò spiega la disponibilità del FMI ad elargire altri prestiti. L'intransigenza del FMI verso la Grecia indica perciò che i rischi di un'uscita della stessa Grecia dalla NATO sono ritenuti prossimi allo zero. Ma lo stesso FMI non rinuncia comunque a tenere l'Ucraina per il collo ed a pretendere sacrifici da una popolazione costretta già ad una guerra.
Il bello è che tutto questo data a molto prima del secondo colpo di Stato della NATO a Kiev del gennaio-febbraio 2014. Già nel 2009 l'Ucraina della prima "Rivoluzione Arancione" risultava a rischio di insolvenza totale, ed il quotidiano "Il Sole-24 Ore" titolava con enfasi paternalistica:
"L'Ucraina aggrappata al FMI". Un titolo più realistico sarebbe stato: "Il FMI aggrappato alla gola dell'Ucraina".
A proposito della crisi finanziaria dell'Ucraina, alcuni osservatori hanno parlato di ennesimo "fallimento" del FMI. Sta di fatto che, grazie al FMI, dei Paesi a costante rischio di default sono costretti a pagare crescenti interessi sul loro debito pubblico. Dal punto di vista delle cosche della finanza internazionale, non si tratta certo di un fallimento. Quando i contribuenti europei dovranno pagare alle banche gli interessi del debito ucraino, sicuramente i media non edificheranno il castello di colpevolizzazioni che hanno messo su contro la Grecia; anzi, ci si chiederà di sborsare con entusiasmo, poiché in Ucraina si tratterà di salvare il Sacro Occidente dalle grinfie dell'Orso russo.
In questi giorni gli spettatori (pardon, i cittadini) italiani hanno potuto assistere ad ulteriori prove tecniche di Mat-teocrazia, cioè ad un'operazione di auto-divinizzazione analoga a quella condotta dal Buffone di Arcore alla vigilia delle elezioni del 2008. Anche Renzi è infatti entrato nel ruolo del padreterno che può adottarsi il suo Abramo. Invece che dal salottino di Bruno Vespa, Renzi ha lanciato il nuovo "patto" con gli Italiani, da Facebook: un Nuovo Testamento, stavolta su materia fiscale.
Gli scettici hanno ovviamente osservato l'assurdità di "patti" di riduzione fiscale a fronte di un persistente Patto di Stabilità Finanziaria con i Comuni, ed in presenza di una crisi finanziaria europea di cui non si intravede l'esito. Ma, in tal modo, gli scettici sono entrati esattamente nel roleplay che gli "spin doctor" di Renzi avevano allestito. Renzi può così, ancora una volta, proporsi come l'uomo del "fare", della fiducia e dell'ottimismo, circondato dai "gufi" che gli remano contro. Renzi si appella a quella parte dell'opinione pubblica che Ivano Fossati chiamava le "casalinghe sempre d'accordo", cioè coloro che vedono come una colpa ogni atteggiamento di sospetto e diffidenza verso i potenti.
In effetti la vera obiezione nei confronti di Renzi riguarda non tanto la sostanza, quanto il metodo. Se si ritiene che vi siano le condizioni e l'opportunità per diminuire il carico fiscale, lo si fa e basta. La formula "se accetti le riforme, ti abbasso le tasse", non solo fa il paio con il "se sei promosso, ti compro la bicicletta", non comporta soltanto un'infantilizzazione dell'uditorio, ma determina addirittura una vera e propria uscita dalla concezione rappresentativa del potere, per configurare una sorta di alleanza tra il capo e il popolo. Una concezione del potere che sarebbe stata considerata barbarica ed arcaica persino nel medioevo. Il carattere buffonesco di certe rappresentazioni non è un loro limite, poiché la stupidità serve a veicolare ed a far sembrare innocui degli atti che comportano invece un vero e proprio colpo di Stato strisciante.
E ciò non avviene solo in Italia. Gli atteggiamenti ridanciani e confidenziali, da amiconi al bar, che esibiscono i capi di governo negli incontri ufficiali, configurano un potere che aggira il principio di rappresentanza dei popoli, restituendo l'immagine di una cerchia oligarchica, esclusiva ed autoreferenziale.
In termini tecnici, tutto ciò si chiama guerra psicologica. L'artificiosità e la pretestuosità delle rappresentazioni di un finto dibattito politico sono quindi funzionali ad un contesto coloniale, nel quale l'aggressore deve confondere le idee all'aggredito. Sul campo di battaglia la confusione è un'arma, anzi, una delle armi principali. Ad esempio: la categoria politico-mediatica di "populismi" consente di inserire in un unico calderone indistinto istanze diverse ed addirittura opposte, come Syriza e Alba Dorata.
Il discredito in cui si è gettato il governo di Syriza in Grecia pare abbia rilanciato l'immagine della
formazione neofascista di Alba Dorata. Come tutti i gruppi fascisti, Alba Dorata risponde ad un codice di comportamento abbastanza preciso. Ci si sceglie un bel nome rassicurante, da villaggio turistico, ed ai giornali ufficiali si rilasciano interviste cariche di buonsenso e di proposte ragionevoli: un pianificato ritorno alla dracma e accordi finanziari e commerciali con la Russia.
Allo stesso tempo si scatena la
violenza interna contro bersagli deboli che non hanno nulla a che fare con i nemici dichiarati. Dici che ce l'hai con gli usurai, però ammazzi i rapper. Ti proclami nazionalista, ma poi crei scontri usando l'esaltazione del nazismo come provocazione. Un po' strano, visto che quando Mussolini si era impantanato, aveva provveduto proprio Hitler a massacrare i Greci. Tanto vale allora inneggiare alla Merkel.
Tutto il meccanismo delle provocazioni e delle violenze viene inoltre messo in atto beneficiando di
comportamenti dilatori e iper-garantistici da parte di una magistratura in altri casi ben più sbrigativa. Al leader di Alba Dorata, Michaloliakos, è stata concesso giusto quel po' di galera per prendersi la patente di eroe e di perseguitato, esattamente come fecero con Hitler nel 1923.
Mentre ai media ufficiali i neofascisti riservano il volto pacato, alle testate affini di altri Paesi Michaloliakos può rilasciare invece i proclami del fascismo più tipicamente farneticatorio, con richiami ai miti del lontano passato, e persino all'Impero Romano. Ma il vero piatto forte di questa
comunicazione per iniziati è sempre l'anticomunismo. La motivazione addotta per questo anticomunismo esibisce una logica davvero stringente: Syriza infatti è composto da ex (sic!) comunisti, che si sarebbero già messi d'accordo con il capitalismo mondiale. Si riconosce da un lato che oggi il comunismo come soggetto politico non esiste più, ma si spinge ugualmente sull'anticomunismo preventivo.
Un vero nazionalismo non potrebbe permettersi eccessi di anticomunismo neanche in astratto, poiché una difesa dal colonialismo comporta la necessità di una nazionalizzazione dell'economia. Quel che ha passato e sta passando il Venezuela per aver cercato di difendere la propria indipendenza nazionale, costituisce un paradigma valido anche per i Paesi europei che volessero sfuggire alla sudditanza FMI-NATO.
Il punto è che i fascismi non sono nazionalismi, ma costituiscono un espediente coloniale per occupare preventivamente la nicchia politica del nazionalismo. Si crea un finto nazionalismo per impedirne uno vero.
Allo stesso modo, per evitare un'autentica demistificazione del dominio sovranazionale della finanza, se ne fornisce una versione fuorviante. Anche il nazismo si fondò su un "sillogismo" di questo tipo: siamo sotto il dominio mondiale dell'usura e molti banchieri sono ebrei; ergo: sterminiamo i sarti ed i rosticceri ebrei.
I media ufficiali paventano il pericolo fascista in Europa, ma non sottolineano i
comportamenti paradossali dei governi "democratici", come quello danese, che nel 2011 ha sospeso il Trattato di Schengen in materia di immigrazione, e ciò in base alla trattativa con una formazione minoritaria di estrema destra. Nel giugno scorso i neofascisti danesi hanno riscosso un successo elettorale, ma quasi nessuno oggi lo collega al fatto che il governo danese quattro anni fa ha legittimato ed inserito a forza il fascismo nel gioco politico.
Attribuire un carattere di autenticità e spontaneità ai movimenti fascisti non è un riconoscimento da poco; anzi, è esattamente tutto ciò che gli serve. Che alcuni Paesi rispondano alla crisi con la fascistizzazione, ed altri no, configura già un quadro di separazione razziale tra popoli inferiori e popoli superiori. Si tratta di una legittimazione del colonialismo mondialista chiamato a disciplinare le intemperanze nazionalistiche. Si tratta del solito luogo comune storiografico secondo cui la crisi economica degli anni '30 ha colpito sia in Germania che negli USA, ma in Germania ha generato la barbarie fascista e negli USA invece la solidarietà del New Deal.
In America Latina circola questa battuta. Perché a Washington non ci sono mai colpi di Stato? Perché a Washington non c'è l'ambasciata americana. Allo stesso modo si potrebbe pensare che la psicoguerra coloniale cerchi di indebolire le resistenze nazionali con degli pseudo-nazionalismi che rivolgano l'aggressività verso l'interno. Il "Mein Kampf" di Adolf Hitler è infatti tutto un inno al colonialismo anglosassone ed al segregazionismo statunitense. L'industriale Henry Ford, ideologo dell'antisemitismo, era considerato da Hitler come un maestro ed un eroe, e fu insignito della massima onorificenza nazista. La multinazionale Ford fu determinante nel consentire il riarmo tedesco, ed inoltre anche multinazionali statunitensi come Standard Oil e General Motors (e persino Coca Cola) si dimostrarono sempre sollecite nell'aiutare il regime hitleriano, anche a guerra in corso.
In una recente
intervista a "l'Espresso" Romano Prodi ha dichiarato che la sua nomina a presidente della Commissione Europea fu dovuta alle pressioni di Tony Blair. Sempre secondo Prodi, la preminenza del Regno Unito nell'Unione Europea è dovuta al fatto che lo stesso Regno Unito costituisce il referente degli USA in Europa. Con molta disinvoltura, Prodi ha delegittimato la sua intera carriera politica, riconoscendo che l'UE è una colonia USA.