Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Sul suo blog Beppe Grillo si è riferito alla
"Lunga Marcia" di maoistica memoria per illustrare la propria idea sui compiti del Movimento 5 Stelle nei prossimi anni. I commenti che si sono immediatamente attivati, hanno assunto spesso il registro della ridicolizzazione, anche se forse le parole di Grillo vanno inserite in una retorica meramente consolatoria ed esortativa, che è il riflesso di una situazione politica che sembrerebbe oggi bloccata.
Si potrebbe obiettare a Grillo che in politica la gestione del fattore-tempo è una delle più aleatorie ed illusorie. Se Fidel Castro non è passato alle cronache come uno dei tanti guerriglieri, è perché si rese conto che il tempo non avrebbe lavorato a suo favore. La stessa "Lunga Marcia" di Mao non fu concepita per essere lunga, ma è uno slogan di sintesi a posteriori per tattiche dettate da momenti diversi. Invece, come indicazione strategica aprioristica, in politica tutto ciò che rimanda al domani rappresenta o una sorta di confessione di impotenza per quanto riguarda il presente, oppure una larvata manifestazione di non volontà.
Ma l'implicazione interessante del discorso di Grillo non riguarda tanto queste possibili riflessioni teoriche, quanto piuttosto una sorta di eco e reminiscenza di un antico dibattito della politica interna italiana che risuona, più o meno consapevolmente, nello slogan della "Lunga Marcia". L'espressione figurata "Lunga Marcia" fu infatti già applicata alla strategia del Partito Comunista Italiano degli anni '60 e dei primi anni '70.
Nel 1971 il giornalista Arrigo Levi pubblicò un libro che aveva proprio questo titolo:
"PCI, la Lunga Marcia Verso il Potere". Arrigo Levi, ancora vivente, era a quel tempo una delle firme più influenti del giornalismo italiano. Considerato portavoce della "Borghesia Illuminata", Arrigo Levi era in effetti un agente sionista, egli stesso soldato israeliano nella guerra del 1948. Arrigo Levi fu direttore del telegiornale RAI e - guarda la coincidenza - fu proprio lui a gestire l'informazione pubblica, direttamente dal video, durante la "Guerra dei Sei Giorni" del 1967. Che una figura come Arrigo Levi accreditasse l'ipotesi di una presa del potere da parte del PCI, apparve allora come una luce verde della suddetta "Borghesia Illuminata" a quella stessa ipotesi.
Nel 1979 toccò però ad una firma altrettanto influente del giornalismo italiano, Alberto Ronchey, dalle colonne del "Corriere della Sera", l'onore di seppellire quell'ipotesi, con la famosa teoria del
"Fattore K" (dal russo "Kommunism"), un fattore che avrebbe impedito sine die un ricambio al potere in presenza di una opposizione egemonizzata da un partito comunista.
La "Borghesia Illuminata" confermò ancora una volta di essere l'insegna al neon di uno establishment coloniale, e si comprese che l'interesse dimostrato nei confronti del PCI aveva rappresentato solo una tattica di logoramento, peraltro rivelatasi più che efficace. Il "lungamarcismo" si era risolto per il PCI in un estenuante, umiliante ed interminabile esame di maturità, alla fine del quale la promessa promozione si era risolta in una definitiva bocciatura.
In realtà Ronchey, più che di "Fattore K", avrebbe dovuto parlare di "Fattore N", come NATO. L'inamovibilità della Democrazia Cristiana dal potere era giustificata con l'anomalia di un Partito Comunista di dimensioni inconsuete per un Paese "occidentale", ma in effetti la crescita del PCI a scapito dell'altro partito della sinistra, il PSI, poteva anche essere interpretata come un ovvio risultato dell'esasperazione di una parte dell'elettorato per quella inamovibilità.
La Democrazia Cristiana diventò inamovibile a causa di equilibri internazionali, ma la stessa DC fu poi seppellita bruscamente dalla modificazione di quegli equilibri, con la fine della Guerra Fredda nel 1989, e con il conseguente Trattato di Maastricht nel 1992. Oggi è il berlusconismo, seppure in funzione di alleato, ad essere considerato inamovibile, e ciò a causa di una nuova "anomalia italiana", cioè il "Fattore G", G come Grillo; oppure "Fattore P", come "populismo". La colpa sarebbe, come al solito, dell'incorreggibile estremismo di una parte considerevole dell'elettorato italiano, che premia sempre forze non omogenee con la "democrazia occidentale". Il problema dunque sarebbe il populismo della principale forza di opposizione, che la renderebbe, almeno per ora, un interlocutore inaffidabile.
Il lungamarcismo grilliano potrebbe quindi prospettare un percorso analogo a quello del vecchio PCI: una serie di canali di finto "dialogo", con il pretesto di recuperare il Movimento 5 Stelle ad ipotesi di collaborazione governativa e parlamentare, il cui sbocco alla fine si concretizzerebbe nei soliti meccanismi di esclusione.
Ma il Movimento 5 Stelle potrebbe anche scegliere di chiudersi nella propria orgogliosa diversità, rivendicando di essere l'unica forza democratica a fronte dell'attuale saccheggio di democrazia ai danni della Costituzione repubblicana. PD e FI da una parte e M5S dall'altra, potrebbero allora star lì a rimpallarsi a vicenda l'accusa di estraneità alla "democrazia occidentale". Quella della "democrazia" è però sempre una strada piena di strane giravolte. Certo, ci si può legittimamente indignare per il fatto che una Carta Costituzionale scritta da persone che sapevano il fatto loro, sia oggi stravolta da cialtroni improvvisati e sfacciatamente malintenzionati; ma, in definitiva, è la stessa Costituzione del 1948 a
vietare i referendum abrogativi su materie fiscali e sulla ratifica di trattati internazionali, cioè sulle due cose che veramente contano. Tutte le Costituzioni "democratiche" considerano il popolo un eterno minorenne.
A proposito di trattati internazionali, proprio l'anno prossimo dovrebbe essere firmato e ratificato l'accordo finale per il TTIP, il mercato transatlantico, o "NATO economica". Una questione oggi del tutto assente dal dibattito politico, riguarda l'effetto destabilizzante dei trattati internazionali all'interno dei Paesi firmatari. Uno dei pochi ad occuparsene, nel secondo decennio del '900, fu Giovanni Giolitti, il quale in un suo discorso affermò che vi era stato un diretto rapporto di causa-effetto tra il Patto di Londra del 1915 ed il colpo di Stato del governo Salandra e del re, i quali avevano condotto l'Italia in guerra contro la volontà del parlamento.
Le osservazioni di Giolitti sulla perdita di sovranità parlamentare dovuta ai trattati internazionali, furono riprese negli anni '60 da Pietro Secchia, dirigente del PCI in via di crescente emarginazione. Ovviamente Secchia ce l'aveva con la destabilizzazione interna dovuta al Patto Atlantico. Potrebbe essere infatti che la vera "anomalia italiana" consista nell'essere una colonia della NATO; ed inoltre il colonialismo ha tutto l'interesse a giustificarsi spacciandosi come colui che corre a "salvare" i popoli dalle loro stesse "anomalie". Non c'è colonialismo senza razzismo ed autorazzismo.
Non si comprende nulla dell'imperialismo, se non si tiene conto del fatto che la posizione di "alleato" espone ad una aggressione coloniale a volte persino più brutale di quella che sopporta un nemico. I Paesi "alleati" sono fatti oggetto di una continua guerra strisciante, a bassa intensità, tendente ad aumentare il loro grado di subordinazione agli interessi coloniali.
E l'imperialismo non è neppure un processo unilaterale, ma una guerra mondiale dei ricchi contro i poveri, nella quale i gruppi affaristici e reazionari di ciascun Paese si rendono sempre più aggressivi ed arroganti per il sostegno che ricevono dall'alleato principale. I trattati internazionali costituiscono altrettanti incentivi per l'arroganza delle lobby affaristiche interne, in particolare per la lobby delle privatizzazioni e la lobby della finanziarizzazione. Se è già accaduto con il Trattato di Maastricht, è ovvio che ciò accada anche per il TTIP. Ecco che le cosiddette "riforme" consistono nella liquidazione di qualsiasi contrappeso istituzionale che possa non solo ostacolare, ma anche appena ritardare il saccheggio delle risorse pubbliche. Il Movimento 5 Stelle si è pronunciato sia contro l'attuale riforma costituzionale, sia contro il TTIP, ma non pare che intenda spingersi a collegare i due eventi; forse perché ciò comporterebbe un tipo di critica verso gli USA che sconfinerebbe dal recinto del consentito.
Ad esempio, a proposito dell'attuale situazione in Iraq, il massimo di critica che i commentatori ufficiali muovono agli Stati Uniti, è quello di essersi ritirati "troppo presto", lasciando la popolazione irachena in balia del proprio stesso estremismo. La critica più "severa" che venga concessa nei confronti dell'imperialismo, è infatti quella di essere "troppo buono" e troppo fiducioso nella capacità dei popoli inferiori di accedere ai fasti della civiltà occidentale.
Adesso perciò si affaccia anche qualche commentatore ufficiale particolarmente "trasgressivo" che si lascia sfuggire addirittura che sarebbe stato un errore eliminare il tiranno Gheddafi, visto che il tribalismo rende il popolo libico immaturo per la "democrazia". Che l'imperialismo abbia invece tuttora direttamente a che fare con la destabilizzazione dell'Iraq e della Libia, questa non potrebbe essere mai considerata una critica, ma solo volgare complottismo.
Lunedì scorso il governo ha definitivamente smentito l'eventualità che vi sia in corso una trattativa con la "Troika europea" per rinegoziare i vincoli di bilancio dell'Italia. La solenne dichiarazione secondo cui "il governo rispetterà gli impegni europei", è stata immediatamente tradotta nel suo significato effettivo, e cioè che in autunno vi sarà l'ennesima "manovra correttiva sui conti pubblici". Per fare cassa non si parla solo di prelievi sulle pensioni e di blocchi degli stipendi degli statali, ma anche delle
vendite di patrimoni pubblici. L'esperienza passata ha dimostrato che queste "vendite" ai privati non risultano remunerative, anzi, comportano spese aggiuntive per le operazioni finanziarie annesse, quindi con il "fare cassa" non c'entrano nulla; con il lobbying delle privatizzazioni invece sì. I soldi veri perciò verranno cercati ancora una volta nelle tasche dei cittadini.
Alcuni commentatori hanno espresso perplessità sulla capacità di Renzi di sfidare l'impopolarità che tali misure comporterebbero, e quindi si pronostica una prossima fine del feeling dello stesso Renzi con l'opinione pubblica, con rischi per la tenuta del governo. In realtà che Renzi sia - o sia stato - davvero così popolare, sarebbe tutto da dimostrare. L'artificiosità posticcia del personaggio, e dell'alone mediatico che lo circonda, sono talmente evidenti, che possono sfuggire solo a chi rimanga ostinatamente attaccato agli scampoli del mito della democrazia occidentale, per il quale il consenso delle masse avrebbe in qualche modo a che fare con la tenuta dei governi.
Intanto è arrivata ai primi di agosto la notizia che
la recessione investe ormai anche la "virtuosa" Germania. Un meno 0,2 del PIL può sembrare poco, ma è moltissimo se si considera la condizione di privilegio commerciale che la moneta unica assicura alla Germania.
Nell'agosto dell'anno scorso, in clima praticamente già pre-elettorale, era arrivata invece la "notizia" che l'Eurozona poteva considerarsi
fuori della recessione. I conduttori dei talk-show, come Giovanni Floris, poterono così esibire dati ufficiali atti a diffondere un'immagine efficientistica e vincente della Troika.
Ma nello stesso periodo, proprio il principale esponente della Troika, il Fondo Monetario Internazionale, forniva ai media mondiali un'immagine del tutto diversa sul futuro dell'Eurozona, nella quale
non si prevedeva alcuna ripresa, con ovvi effetti negativi su tutta l'economia globale. Bisognerebbe poi vedere se da parte del FMI si trattava davvero di una "previsione", oppure di una direttiva esterna. Il debito pubblico degli Stati non può diminuire senza una ripresa dell'economia, e quindi del prelievo fiscale; ma che vantaggio otterrebbe la finanza globale da una diminuzione del debito pubblico? Nessuno, appunto. Le cose perciò devono continuare così.
Il principale esponente della "Troika europea", il FMI, non ha nulla di europeo, se non la nazionalità del suo direttore generale, visto che la sua sede principale è a Washington. Ai cittadini europei non è stato ancora spiegato cosa ci faccia il FMI nella "Troika", anzi la maggioranza di loro non lo sa neppure, per cui il suo immaginario si ferma ad una nebulosa detta "Europa", che ci "chiede" (ordina) delle cose. Tutte le istituzioni europee si comportano da agenzie del lobbying finanziario; ma la principale agenzia mondiale del lobbying finanziario rimane il FMI, che però non può vantare alcuno status di istituzione europea.
La "cessione unilaterale di sovranità", così spesso auspicata, in base al diritto internazionale, ha un nome più preciso: colonialismo. Che questo colonialismo in Europa venga inoltre esercitato da un intruso come il FMI, non trova alcun appiglio giuridico, neppure nel famigerato Trattato di Lisbona del 2008, che dovrebbe svolgere le funzioni di "Costituzione" europea. La mostruosità giuridica non turba i sonni dei cultori dello Stato di Diritto, presunta creatura e prerogativa della "Civiltà Occidentale".
Alcuni si aspettavano che l'istituzione nel 2012 del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), una sorta di Fondo Monetario Europeo, comportasse il cedere il passo ed il posto da parte del FMI a questo nuovo soggetto. Quanto a "mens rea", gli esponenti del MES non hanno nulla da invidiare a quelli del FMI, visto che si sono cautelati con una immunità giudiziaria preventiva. Eppure non solo il FMI mantiene il suo ruolo nella Troika, ma il MES nel suo statuto ha persino dichiarato esplicitamente - ed illegittimamente - la sua dipendenza dallo stesso FMI, cioè da un'istituzione esterna all'Unione Europea. L'euroscetticismo è davvero poca cosa se confrontato con la realtà, che ci mostra un'Europa colonizzata, dominata da un "papa straniero", ancora più abusivo di quello che risiede in Vaticano.
Dal punto di vista ideologico, il dominio del FMI presenta risvolti interessanti. L'ideologia è certamente sopravvalutata come movente dell'agire, ma rappresenta altrettanto sicuramente un fattore determinante nel confondere e disgregare le opposizioni. La formula storica e fondamentale del FMI-pensiero consiste nell'accusare ciascun Paese di "aver vissuto al di sopra dei propri mezzi". Si tratta di uno slogan che il FMI adotta instancabilmente dal 1946, e che fu reso popolare anche in Italia negli anni '70 da Ugo La Malfa. Letto da "sinistra" questo slogan può essere interpretato anche come una denuncia di eccessi di corruzione ed evasione fiscale, perciò conduce di solito alla conclusione della necessità di una "distribuzione equa dei sacrifici".
L'espressione "distribuzione equa dei sacrifici" costituisce un ossimoro, una contraddizione in termini, poiché il sacrificio è, per definizione, un atto di sacra iniquità; consiste infatti nello scaricare tutte le colpe su di un capro espiatorio. Il progresso civile non è mai riuscito a scardinare il nucleo arcaico e tribale che sta al fondo dell'opinione pubblica, perciò l'ideologia dominante non deve fare altro che farvi appello per indurre anche le opposizioni a collaborare con il dominio. La discussione infatti verte sempre sul chi debba sacrificarsi, e non ci si domanda mai se il sacrificio sia necessario o meno. Le emergenze che vengono prospettate sono sempre accolte come dati di fatto, in modo da incatenarsi da soli ad un sedicente "senso di responsabilità", che si risolve in effetti in mera credulità superstiziosa.
Ma se proprio si deve sacrificare qualcuno, perchè non
sacrificare il FMI? Tagliare la quota di partecipazione dell'Italia al FMI, già sarebbe una bella spending review. Nell'ultimo G-20 l'onere delle quote di partecipazione al FMI è stato addirittura raddoppiato, per cui oggi il FMI si gestisce qualcosa come settecentocinquanta miliardi di dollari.
Magari si potrebbe continuare tagliando le quote di partecipazione dell'Italia al MES (centoventicinque miliardi di euro!), alla NATO, all'OCSE, eccetera. Del sempre più vorace parassitismo delle organizzazioni internazionali, infatti non si parla mai.