Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La scelta di drammatizzare artificiosamente il fenomeno folkloristico del secessionismo veneto con improvvisi arresti ed imputazioni, corrisponde ad una precisa necessità attuale del lobbying euro-finanziario. Qualunque "evento" (vero o, ancor meglio, fasullo) possa distrarre da ciò che avviene effettivamente nell'Unione Europea, e sia in grado di ricondurre la conflittualità all'interno, deve considerarsi benvenuto dalla lobby finanziaria. Non c'è neppure bisogno di supporre un surplus di cospirazione, poiché i ROS avranno sicuramente ben chiara la loro specifica funzione poliziesca, che è quella di alternare la repressione con la provocazione ed il depistaggio. Proprio in questi giorni, sulla scena europea si affacciano infatti nuove sigle da far rimanere nell'ombra, come il minaccioso
RSM, il Meccanismo Unico di Risoluzione, un'espressione criptica che corrisponde in concreto alle ulteriori misure di salvataggio bancario, ovviamente a spese dei contribuenti e - pare certo - anche dei depositanti.
A molti commentatori invece non è sembrato vero di poter tornare a parlare di "macroregioni", o del "Sud mantenuto a spese del Nord", insomma dell'annosa "Questione Meridionale". Ogni volta che si sente ripetere che sono i ricchi a mantenere i poveri, bisogna mettersi in sospetto, dato che il lamento vittimistico del ricco non è altro che l'ideologia di copertura dell'assistenzialismo per ricchi, un assistenzialismo di cui oggi sono i banchieri ad avvantaggiarsi maggiormente. Sulla cosiddetta "Questione Meridionale" si può fare anche qualche osservazione in più, per capire quanto sia storica e secolare l'opera di depistaggio a riguardo.
La locuzione "Questione Meridionale" è di incerta attribuzione, ma quel che è certo, è che appare negli atti parlamentari a partire dagli anni '70 dell'800. Ebbene, secondo i dati ISTAT, l'Italia era proprio in quegli anni ('70-'80) interessata da
un massiccio fenomeno di emigrazione dal ... Nord Italia. La Regione che esprimeva il maggior numero di emigrati era il Friuli Venezia Giulia, seguito dal Veneto e dal Piemonte, cioè proprio la Regione che aveva attuato l'unificazione del Paese.
Anche allora la "Questione Meridionale", la storia infinita del matrimonio non riuscito tra il Nord sviluppato ed il Sud arretrato, serviva a nascondere dell'altro. La cosa risulta ancora più chiara se si considera il
fenomeno della pellagra, una malattia che interessava esclusivamente il Nord Italia, particolarmente il Veneto e l'Emilia, e che, secondo le statistiche ufficiali, non ha mai superato i confini meridionali delle Marche e del Lazio. La scienza ufficiale, sempre pronta a prostituirsi, sostenne, anche contro i dati di fatto, il carattere infettivo della pellagra, finché non fu palese che si trattava di una malattia da denutrizione dovuta ad una alimentazione a base esclusivamente di mais.
Come messo in evidenza da Guido Dorso, il famoso oro del Banco di Napoli confiscato dai Savoia, servì a pagare i debiti contratti per lo sviluppo ferroviario del Piemonte, cioè per alimentare le "bande del buco" antenate di quelle che oggi operano in Val di Susa. Così è capitato che la cosiddetta "Padania" non abbia mai avuto un Po navigabile per tutta la sua lunghezza, ed il mancato riassetto idrogeologico ha condannato la Pianura Padana a cicliche inondazioni. In Europa la navigabilità dei fiumi non è stata un dono della natura, ma un'opera umana; ma, chissà perché, per l'Italia del Nord non si è mai considerato un indice di "progresso" il fatto di poter disporre di una marina fluviale.
Attualmente il depistaggio "meridionale" opera anche in modo più efficiente che in passato. La CISL del Veneto ha pubblicato dei dati da cui risulta che, dopo la Lombardia, è appunto il Veneto la Regione maggiormente colpita dalla
delocalizzazione delle imprese. Queste delocalizzazioni non sono attuate in Paesi in via di sviluppo o a costi del lavoro più bassi, ma in... Francia. Ovviamente i Cislini, da bravi sindacalisti di regime, riprendono acriticamente la propaganda ufficiale sull'inefficienza burocratica dell'Italia, che spiegherebbe l'esodo verso altri Paesi di maggiore tradizione amministrativa.
Che si tratti dei soliti slogan pretestuosi, è dimostrato dal fatto che il governo francese ha appena approvato nel febbraio scorso una
normativa punitiva contro le delocalizzazioni industriali che colpiscono la Francia. La scelta di Hollande ha suscitato un'ondata di critiche da parte dei sacerdoti del dio Mercato, ma dimostra inequivocabilmente che le scelte di delocalizzazione non hanno niente a che vedere con l'inefficienza della burocrazia, dell'amministrazione giudiziaria o delle infrastrutture.
Sarà molto più probabile che la spiegazione, ancora una volta, non si trovi nei massimi sistemi o nella storia dei vari Paesi, ma nel consueto schema affaristico, che vede una lobby privata agganciarsi ad un flusso di denaro pubblico. Infatti, come è stato messo in evidenza da
un documento del Parlamento europeo del 2006, sono proprio i fondi UE - cioè il denaro dei contribuenti - a pagare ed alimentare le delocalizzazioni, e ciò all'ombra della sigla del FESR, il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale. Quindi l'operaio paga le tasse per finanziare ... il proprio licenziamento.
Ma il bidone del mercato unico europeo è senza fondo, e riserva ben altre sorprese. Ad occuparsi del crescente business delle delocalizzazioni c'è una vera e propria centrale, la
EARP (European Academy of Relocation Professionals), che è quella che non solo fornisce servizi di delocalizzazione, ma si incarica anche di instradare gli imprenditori per accedere ai finanziamenti pubblici. Questa accademia deriva dalla collaborazione-fusione di quattro agenzie, un'agenzia internazionale e tre agenzie nazionali, una britannica, una belga, ed un'altra - guarda la combinazione - francese.
L'agenzia francese fornitrice di servizi per la delocalizzazione ha la sigla
SNPRM (Syndicat National des Professionnels de la Relocation et de la Mobilité), e la coincidenza vuole che il Veneto si stia spopolando delle sue aziende proprio a vantaggio della Francia. Queste aziende specializzate sono essenziali per consentire le delocalizzazioni, poiché qui non si tratta di semplici traslochi di impianti, ma di consentire ai gruppi dirigenti ed amministrativi in mobilità di tessere le loro relazioni in un nuovo contesto territoriale. La UE ufficialmente non è direttamente coinvolta, poiché si tratta di agenzie private, ma sono le regole ambigue dell'Unione ed i suoi fondi che fanno girare il business coloniale del saccheggio di aziende.
Il governo francese quindi pensa bene di difendersi dalle delocalizzazioni, ma non ostacola le sue lobby che vanno a saccheggiare le aziende degli altri. Si capisce perciò il motivo per cui è tanto importante che i Veneti si balocchino con i sogni di secessione dall'Italia; tanto poi, per tenerli a forza nell'Unione Europea, basterà la base NATO di Vicenza.
La campagna elettorale per il parlamento europeo è stata l'occasione per inflazionare nuovamente il termine "populismo", come accusa di facile presa, a causa dell'incertezza ed ambiguità della parola. Per il Fondo Monetario Internazionale sono "populisti" tutti coloro che rifiutano le sue politiche economiche tendenti a creare disoccupazione, a comprimere i consumi ed a privatizzare i servizi pubblici. In questo senso, una espressione che fa da sinonimo di populismo, e che risulta frequente nel lessico di fede fondomonetarista, è quello di "resistenza corporativa".
Ma con il termine "populismo" viene spesso etichettata anche una politica tendente a screditare e delegittimare l'ordine costituzionale vigente in nome di un presunto rapporto diretto con la volontà popolare. Giocando sui due significati della parola "populismo", si può praticare un vero e proprio opportunismo acrobatico, facendo contemporaneamente il tifo per il Fondo Monetario Internazionale e per la "nostra bellissima Costituzione".
Per questo secondo significato del termine "populismo" già esisterebbe in effetti una definizione molto meno equivoca e più precisa: golpismo strisciante. Tale definizione pare però adattarsi perfettamente all'attuale esperienza di governo. Si era detto che Bersani non poteva governare poiché non aveva ricevuto abbastanza voti; in compenso oggi governa Renzi, che di voti non ne ha avuto nessuno. Renzi vorrebbe abolire l'attuale senato, sempre in nome di una volontà popolare di cui lui sarebbe il depositario, in base a quelle mirabilie di attendibilità che sono i sondaggi ed i post su twitter. Il golpista ovviamente non è Renzi in persona, ma la lobby che lo controlla, e non c'è molto da indagare per scoprire quale sia.
Il "Jobs Act" del governo Renzi costituisce un buon esempio di come l'assistenzialismo a favore dei ricchi riesca a camuffarsi di intenti sociali. L'espressione
"Jobs Act" è stata rubata alla propaganda di Obama, che nel 2011 spacciò come legge a favore dell'occupazione la solita fumosa serie di provvedimenti un po' patetici, che servono a nascondere il vero nocciolo della questione.
In questi "Jobs Act" l'unico aspetto apparentemente concreto, riguarda le indennità di disoccupazione che dovrebbero fare da filo conduttore tra un lavoro precario e l'altro. Si tratta della vecchia idea lanciata dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro - una agenzia ONU - già da una decina d'anni, cioè la
"flexsecurity". In Italia la "flexsecurity" è stata spacciata come ponzata di questo o quel giuslavorista, mentre in realtà si tratta di veline delle solite organizzazioni internazionali, a loro volta controllate dalle note lobby.
Anche Renzi ha lanciato questo sussidio di disoccupazione, con l'acronimo di
NASPI, che dovrebbe sostituire la vecchia cassa integrazione in deroga, e che si spaccia come salvagente del lavoratore nel suo percorso da un'occupazione all'altra.
Le banche statunitensi sono state le prime a capire quale gigantesco business finanziario potessero costituire queste indennità di disoccupazione. Infatti vari Stati americani hanno da tempo sostituito il tradizionale assegno con delle carte di credito prepagate
(carta di debito), dietro la giustificazione ufficiale che sarebbero più pratiche.
In realtà dopo un po' cominciano ad uscire i problemi, cioè le
esose commissioni riscosse dalle banche su tutti i movimenti della carta di credito; ovviamente vi sono commissioni particolarmente alte sugli scoperti, ma anche il lasciare la carta inutilizzata per un po' di tempo comporta dei costi gravosi per l'utente. Il disoccupato finisce così per versare la gran parte del proprio sussidio alle banche. Così sono i ricchi a riscuotere l'elemosina dai poveri.
Quando si parla di finanziarizzazione si pensa automaticamente alle Borse ed alle grandi speculazioni sui titoli azionari e del debito pubblico. Ma in effetti la finanziarizzazione va a coprire ogni aspetto della vita sociale, dalla sanità, alla previdenza, ai consumi, sino allo stesso rapporto di lavoro, nel quale la continuità non è assicurata più dalla stabilità dell'occupazione, ma dalla carta di credito che segue - e munge - il lavoratore in ogni suo movimento. Ormai è evidente da più di dieci anni che la cosiddetta "flessibilità", cioè la precarizzazione, non aumenta la produttività, ma, al contrario, tende drasticamente a diminuirla. In compenso, la precarizzazione costituisce il principale veicolo della finanziarizzazione del rapporto di lavoro. L'impoverimento crescente del lavoratore aumenta infatti la sua dipendenza dagli strumenti finanziari. La povertà non è un malaugurato effetto collaterale, ma costituisce essa stessa un business.