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La nomina di Carlo Cottarelli, dirigente del Fondo Monetario Internazionale, a commissario per la "spending review" del governo Letta, vista a sé stante, potrebbe benissimo inquadrarsi come un episodio minore: un alto funzionario del FMI, trombato nel corso della feroce lotta di potere interna alla sua istituzione (la vicenda di Strauss-Kahn docet), se ne torna in patria ad occupare un comodo posto di potere.
Ma, anche se così fosse, rimarrebbe il fatto che la nomina di Cottarelli si colloca in una linea di atti di sottomissione dei governi italiani nei confronti del FMI. L'ultimo atto di governo del Buffone di Arcore fu di chiedere formalmente nel novembre del 2011 lo status di sorvegliato speciale per l'Italia da parte del FMI: e, infatti, da allora non si può più dire che l'Italia sia semplicemente oggetto di ispezioni di funzionari del FMI, dato che dal 2011 questi ispettori hanno assunto ufficialmente il ruolo di tutori e guardiani. Quindi l'Italia si trova in piena sindrome greca già da due anni.
Proprio nei giorni scorsi aleggiava sul governo italiano la minaccia della pubblicazione del rapporto degli ispettori/tutori FMI, e la scelta (?) di Enrico Letta probabilmente ha rappresentato un tentativo per rabbonire i latori della minaccia. Ma, come spesso accade, il servilismo è servito soltanto a rendere più spietati ed esigenti i padroni, dato che il giudizio del FMI sull'Italia è stato più allarmistico di quanto si figurassero le peggiori previsioni. L'unica "consolazione" sarebbe che la recessione italiana si va ad inquadrare in una recessione globale che colpisce ora anche i Paesi emergenti, segno che il FMI ha lavorato bene.
Di atti di sottomissione al FMI, Letta peraltro ne aveva già compiuti. Infatti l'attuale ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, proviene sì dalla Banca d'Italia, ma è comunque un uomo del FMI, dove ha lavorato dal 1970 al 1975. Per un governo che si presentava come "politico" dopo la parentesi "tecnica" del governo Monti, è risultato un palese inchino al dominio della finanza il fatto di affidare il principale ministero ad un personaggio del genere.
Nella recente polemica che ha investito il governo Letta circa l'abolizione dell'IMU per la prima casa, il FMI si era dichiarato contrario all'abolizione, e l'esponente del PDL Renato Brunetta aveva sarcasticamente ipotizzato che un tale pronunciamento fosse stato sollecitato dall'interno del governo, ovviamente dall'uomo che ha più diretti agganci con lo stesso FMI, cioè Saccomanni. Brunetta concludeva invitando il FMI a non fare più dichiarazioni del genere. Ma il facile sarcasmo di Brunetta coglieva soltanto un aspetto marginale del problema. Il FMI ha infatti a disposizione un canale ufficiale per effettuare ben più micidiali ingerenze, cioè proprio i rapporti per quelle ispezioni periodiche richieste formalmente da un governo di cui lo stesso Brunetta nel 2011 faceva parte.
Cottarelli si è fatto le ossa nel FMI occupandosi di progetti di fiscalizzazione e privatizzazione dell'aria attraverso le varie "carbon tax", e adesso sembra arrivare per nulla impreparato allo storico impegno che lo attende in Italia, in quanto da mesi svolge il ruolo di "consigliori" esterno del governo Letta, al quale ha già suggerito di chiedere fondi al Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) per ricapitalizzare le banche italiane. L'Italia sta versando, in varie rate, oltre centoventicinque miliardi all'ESM, ed ora dovrebbe farsi riprestare a strozzo dallo stesso ESM una parte di quei soldi per regalarli alle banche. Sarebbe stato molto meno costoso regalarli direttamente; e ancor meno costoso se le banche fossero nazionalizzate. Ma l'ESM è una creatura del FMI, ed appartiene alle stesse logiche di lobbying bancario, per le quali è normale che lo Stato sia costretto ad indebitarsi facendosi prestare e riprestare denaro proprio (o, meglio, del contribuente). Risulta abbastanza paradossale che Cottarelli presenti come un grande obiettivo per la spending review risparmiare quattro miliardi nel 2014, quando l'Italia potrebbe risparmiarne subito centoventicinque uscendo dall'ESM. Ma l'ESM costituisce una delle più perverse invenzioni dell'ingegno criminale, e non è certo un caso che l'opinione pubblica non ne sappia praticamente nulla.
Rispetto al suo predecessore Monti, l'attuale Presidente del Consiglio può vantare un prezioso "minus" che lo ha reso interessante per l'imperialismo, cioè la sua assoluta mancanza di curriculum internazionale. Anche Monti aveva rimediato le sue brave figuracce da accattone in Germania, in Cina e con l'emiro del Qatar; ma era pur sempre un ex burocrate europeo, un ex advisor del Consiglio Atlantico della NATO, oltre che un advisor di Goldman Sachs, quindi sarebbe stato più difficile trattarlo come un pivellino da addestrare. Letta invece si è prestato, entusiasta e scodinzolante, a questa condizione di ulteriore sottomissione pratica e psicologica del proprio Paese nei confronti del colonialismo. ScodinzoLetta rappresenta quindi un'ulteriore tappa dello sprofondamento in quell'abisso antropologico spalancato dalla colonizzazione.
La coscienza anticoloniale oggi diffusa in Italia non va oltre un po' di ostilità nei confronti del fantoccio Merkel, mentre l'ideologia imperialistica risulta del tutto assorbita dall'opinione pubblica. Il FMI, oltre ad essere la centrale mondiale del lobbying bancario, costituisce attualmente la principale potenza ideologica in campo. Appartiene infatti al FMI, sin dal 1946, anche lo slogan del "Paese che ha vissuto al di sopra dei propri mezzi"; una formula che il FMI applica da sempre a qualsiasi Paese con cui venga in contatto, ed oggi persino agli Stati Uniti. Si tratta di uno slogan che è penetrato anche nel linguaggio comune, assumendo, per dirla alla Jane Austen, i contorni di una "verità comunemente accettata". I dirigenti del FMI conferiscono a questo slogan il carattere solenne di formula rituale, così come dimostra anche un recente discorso del supremo dirigente del FMI, Christine Lagarde.
Non c'è perciò nulla di sorprendente nel fatto che anche l'attuale bestia nera della finta sinistra, il cosiddetto "populismo", provenga dal repertorio ideologico del FMI; così come i contrari del populismo, cioè il "pragmatismo" e la "modernità".
Si possono riscontrare delle costanti in tutti i casi di colonizzazione militare del territorio italiano. In ogni circostanza infatti le Regioni che "ospitano" gli impianti militari si trovano costrette a sostenere notevoli spese per supportare le basi militari con le necessarie infrastrutture. Sta succedendo in Campania, con la nuova base NATO di Giugliano, nella zona di Lago Patria, ed ovviamente capita anche per il MUOS che la US-Navy sta finendo di costruire a Sigonella. L'anno scorso il sindaco di Niscemi ha lamentato che non si è visto nulla degli aiuti al territorio contemplati nel protocollo d'intesa tra Ministero della Difesa e Regione Sicilia siglato nel 2011. Anzi, sarà la Regione Sicilia a dover sborsare finanziamenti per una serie di impianti ed infrastrutture, tra cui un eliporto, tutto questo attingendo ai fondi FAS.
I FAS, cioè i fondi del Tesoro per le aree sottoutilizzate, rappresentano un caso significativo - probabilmente solo uno dei tanti - di spesa militare occulta, cioè dissimulata sotto la veste di aiuti alle Regioni meno sviluppate. Spesso impiegati per finanziare opere idriche e di viabilità indispensabili per rendere operative le basi militari, i FAS figureranno invariabilmente nei bilanci dello Stato - e nei libri di Luca Ricolfi - come prova di quanto la spesa pubblica sia gravata dalla pigrizia delle Regioni meridionali.
La fiaba secondo cui invece sarebbero soprattutto gli Stati Uniti a dover sostenere finanziariamente l'Alleanza Atlantica, ha trovato un autorevole avallo in un discorso del 2 marzo 2010 del presidente Giorgio Napolitano. Si è trattato di un indirizzo di saluto pronunciato nella sede del Consiglio Atlantico di Bruxelles, davanti alle massime gerarchie della NATO. In quella occasione solenne, Napolitano ha caldamente invitato i governi europei ad infischiarsene della crisi finanziaria, e ad aprire, anzi a spalancare, i cordoni della borsa per sostenere tutte le spese militari che gli USA richiedono. In questo contesto, Napolitano non esitava a teorizzare esplicitamente il ruolo organico e subordinato dell'Unione Europea nei confronti della NATO, richiamandosi anche al Trattato di Lisbona.
Il discorso di Napolitano risulta interessante ed istruttivo anche per altri motivi. Anzitutto è stato pronunciato in un periodo in cui, almeno di facciata, il Buffone di Arcore sembrava occupare ancora saldamente la poltrona di Presidente del Consiglio, dato che la rivolta di Fini e l'apparizione sulla scena della "nipote di Mubarak" sarebbero avvenute solo alcuni mesi dopo. Eppure Napolitano parlava come se il vero capo del governo ormai fosse lui. La storia italiana di questi ultimi tre anni potrebbe essere riletta e reinterpretata anche solo a partire da questo documento, che ci mostra un Napolitano ben poco "garante" e tutto politico già all'inizio del 2010. Lo stesso Napolitano offriva una spiegazione di questa apparente anomalia, quando teneva a precisare che in Italia è il presidente della Repubblica a presiedere il Consiglio supremo di difesa, quindi a costituire l'interlocutore privilegiato del vero padrone, cioè la NATO. Il soprannome di NATOlitano quindi non è arbitrario o abusivo, ma assolutamente meritato. Occorre peraltro riconoscere che il Consiglio supremo di difesa è un organo di rilievo costituzionale (articolo 87), perciò coloro che vanno in brodo di giuggiole per la nostra "bellissima" Costituzione, dovrebbero ogni tanto rileggersela anche nei passi meno lirici e più crudi.
Davanti all'uditorio di Bruxelles Napolitano non è riuscito a trattenere la propria soddisfazione per il buon lavoro da lui svolto, proclamando che nulla avrebbe potuto opporsi ai progetti di espansione della NATO, dato che, almeno in Italia, non era prevedibile alcuna ondata di antimilitarismo che potesse mettere i bastoni tra le ruote. Napolitano ha usato, con cognizione di causa, la parola "antimilitarismo" e non quella di "pacifismo", segno che per lui la militarizzazione rappresenta proprio il valore da difendere. Strano allora che il nostro non si sia mai accorto che l'occupazione del Canale di Sicilia da parte delle flotte USA e NATO non abbia mai bloccato la partenza di un barcone di "migranti" (o deportati?), oppure che le occupazioni NATO non riescano ad impedire il business dell'oppio in Afghanistan, o il traffico di organi umani in Kosovo, e neppure le discariche di rifiuti tossici a Giugliano. Non è che il "valore" che si vuol difendere, consiste appunto in questo intreccio tra militarismo e business illegali?
Ma dopo una frase del genere, verrebbe voglia di rileggere non soltanto la storia d'Italia degli ultimi tre anni, ma anche tutta la storia personale di Napolitano. Davvero egli sarebbe un transfuga del comunismo, passato dal sostegno all'invasione sovietica dell'Ungheria all'adesione entusiastica alla NATO? Oppure è sempre stato un agente sotto copertura?
Una delle formule più note del "Che Fare?" di Lenin è quella secondo cui la classe operaia da sola sarebbe in grado di esprimere esclusivamente una coscienza trade-unionista, mentre la coscienza politica di classe dovrebbe essere portata dall'esterno da intellettuali rivoluzionari. Sebbene successivamente ridimensionata dallo stesso Lenin, si tratta comunque della formula più invocata per sostenere la necessità di un partito comunista a guida delle masse. Sta di fatto che in Italia il PCI non soltanto non ha portato alla classe operaia quella tanto invocata coscienza politica, ma ha finito per privarla anche della coscienza trade-unionista, per non parlare poi del seppellimento di ogni coscienza antimperialistica. Nel 1977 il PCI spinse infatti la CGIL alla svolta dell'EUR, insieme con gli altri sindacati confederali, con il risultato di offrire come massima prospettiva all'azione sindacale quella di una concertazione tra governo e parti sociali. Nello stesso anno il PCI formalizzò anche la sua accettazione della collocazione "atlantica" dell'Italia. Il punto debole della teoria del partito si è così evidenziato nella estrema facilità di infiltrare i gruppi dirigenti; ed anche Stalin, di fronte alla occupazione massonica dei partiti comunisti dell'Europa occidentale, invece del "Che Fare?", adottò piuttosto il "lasciar fare".
Altro aspetto interessante del discorso di Napolitano a Bruxelles/2010, è l'aspetto "creativo" della sua posizione di collaborazionista del colonialismo sull'Italia. Napolitano si pone cioè non come un semplice esecutore di ordini, ma esprime velleità di servitore factotum alla Figaro, capace di andare anche oltre le attese dei suoi padroni. A riguardo c'è da osservare che in questi ultimi tempi si è diffusa una nuova vulgata, secondo la quale tutte le direttive internazionali, a partire dalla famosa lettera della BCE del 5 agosto 2011, sarebbero state in realtà scritte a Roma. A Roma verrebbero elaborate anche le dichiarazioni del Fondo Monetario Internazionale sull'Italia, e sempre a Roma andrebbero ricercate le vere responsabilità del MUOS. Poco ci manca che ci si metta a cantare "der monno 'nfame Roma Capoccia".
Qui si tratta di uno dei casi in cui una mezza verità rischia di diventare una pericolosa scempiaggine. Da sempre infatti il colonialismo si basa sulla complicità attiva e "creativa" dei gruppi dirigenti locali, altrimenti meno di duecentomila Inglesi - tra soldati, affaristi e funzionari - non avrebbero potuto dominare e sfruttare più di trecento milioni di Indiani per oltre un secolo. Per "imperialismo americano" non si deve perciò intendere che gli USA siano in grado da soli di controllare tutto, ma che esiste una guerra mondiale dei ricchi contro i poveri in nome della santa causa di un welfare per ricchi; una guerra di classe nella quale però gli USA costituiscono il punto di riferimento ed il principale braccio armato di tutti i gruppi affaristici e reazionari del mondo. C'è quindi un ampio margine di manovra per i servitori, ed anche parecchie occasioni di competizione fra gli stessi servitori; ma sempre di servitori si tratta.
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