Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
L'atteggiamento ondivago tenuto per mesi dai media occidentali sulle vicende egiziane, costituisce un indizio preciso del fatto che gli schieramenti e le alleanze internazionali in questo momento sono tutt'altro che definiti. La macchina propagandistica occidentale rappresenta immancabilmente gli avvenimenti in base ad uno schema "buono-cattivo", i combattenti per la "democrazia" ed i "diritti umani" da una parte e il "dittatore pazzo" di turno dall'altra. Quando si tratta di individuare il cattivo c'è solo l'imbarazzo della scelta; ma per costruire l'immagine dei "buoni" è necessario invece allestire una campagna mistificatoria tale da poter spacciare di volta in volta i manovali della NATO per espressioni autenticamente popolari.
Sino ai primi di luglio i media occidentali sostenevano apertamente la mobilitazione di piazza contro il presidente Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, un movimento che deve molte delle sue fortune alle continue trasfusioni finanziarie da parte della petromonarchia del Qatar, la stessa che, insieme con l'Arabia Saudita, ha finanziato la destabilizzazione della Libia e della Siria. Lo stallo militare in Siria ha determinato tra le due petromonarchie uno stato di crescente tensione che certamente ha contribuito alla caduta di Morsi, anche se è difficile pensare che la monarchia saudita sia in grado di gestire da sola una partita così complessa.
Paradossalmente, Morsi è stato abbattuto dalla "piazza" e dall'esercito in uno dei suoi momenti meno ignobili, cioè mentre stava cercando di tenere testa al Fondo Monetario Internazionale, che voleva imporre il taglio dei sussidi alla popolazione. L'ascesa dell'occidentalista El Baradei alla vicepresidenza della Repubblica un mese e mezzo fa, sembrava rappresentare il logico coronamento della consueta fiaba mediatica di un Morsi aspirante dittatore spazzato via da una mobilitazione civile di cui l'esercito si era fatto interprete. El Baradei è un uomo legato mani e piedi al finanziere Georges Soros, lo specialista in "rivoluzioni colorate", ed anche il fondatore dell'ICG (International Crisis Group), un'agenzia privata di politica estera, peraltro finanziata da fondi pubblici. El Baradei si è però dimesso dalla sua carica, segno che c'è ora in atto un tentativo occidentale di isolare l'esercito egiziano e di riciclare parzialmente Morsi. Almeno questa è l'impressione che si ricava da quanto diffuso dal
sito dell'ICG.
Ma la risposta dell'esercito egiziano ai "consigli" dell'ICG è stata l'incriminazione di El Baradei per tradimento, solo che l'uomo di Soros si trovava già all'estero; come del resto c'era d'aspettarsi, dato il suo status di egiziano a mezzo servizio. Intanto i media occidentali si stanno dando da fare per attribuire ai Fratelli Musulmani la patente delle vittime, chiudendo un occhio sulle chiese cristiane copte oggetto di attentati. Si riscopre che Morsi era un presidente "democraticamente eletto", come se non l'avessero tenuto in piedi i soldi stranieri, le violenze impunite dei suoi militanti e lo stesso esercito, che in quest'ultimo anno aveva fatto per lui il lavoro sporco di reprimere le rivendicazioni operaie.
Certo, è risultato patetico il tentativo dell'esercito egiziano di riscuotere la benevolenza occidentale rispolverando contro Morsi lo slogan del "fascismo islamico", che pure era servito nel 1992 ai militari algerini per giustificare il colpo di Stato che invalidò il risultato elettorale favorevole al Fronte Islamico di Salvezza. I militari algerini ebbero allora la benedizione dei governi occidentali, che si ricordarono improvvisamente che "anche Hitler era andato al potere con elezioni democratiche". In realtà Hitler edificò il suo potere sull'accordo con l'esercito, sancito dalla eliminazione fisica del vecchio gruppo dirigente nazista delle SA nel 1934, passata alla Storia come Notte dei Lunghi Coltelli.
Lo stesso Mussolini ebbe il potere dal re Vittorio Emanuele III il 28 ottobre del 1922, e perse il potere il 25 aprile del 1943, quando andò dal re per farsi ridare la fiducia e questi invece lo fece arrestare. Ed il re non era altro che il capo delle forze armate. La concezione metafisica e carismatica del fascismo viene alimentata da una pseudo-storiografia "mussolinocentrica" alla Renzo De Felice, che non ha altra funzione che quella di occultare l'intreccio militaristico/finanziario riscontrabile alla base di ogni potere.
Oggi c'è da capire perché i media occidentali raffigurano l'esercito egiziano come un nuovo intoccabile, tanto che Obama sospende le previste manovre militari congiunte USA-Egitto. Quale può essere il motivo di questa improvvisa presa di distanze occidentale dall'esercito egiziano, ritenuto sino a qualche mese fa una creatura del Pentagono?
Premesso che è del tutto arbitrario individuare nell'esercito egiziano un soggetto politico unico o omogeneo, a far scattare la quarantena occidentale nei suoi confronti pare ci sia stato l'inserimento della Russia, che si candida ad essere il nuovo fornitore d'armi dell'Egitto. La notizia era circolata qualche giorno fa sulla stampa egiziana, salvo essere immediatamente rimossa. Su internet è però rimasta
traccia dei rilanci della stessa notizia.
In realtà le offerte di armi all'Egitto da parte di Putin risalgono addirittura ai tempi di Mubarak, con tanto di incontri formali fra i due. A quel tempo si discuteva persino di fornitura di tecnologia nucleare, ed il fatto era stato riferito con rilievo e preoccupazione da importanti organi di stampa israeliani come il
"Jerusalem Post" nel 2008.
Quello del nucleare russo-egiziano costituisce un dettaglio che era stato trascurato quando, agli inizi del 2011, scoppiò la cosiddetta "primavera araba" che avrebbe portato alla caduta ed all'arresto del presidente egiziano, di cui peraltro sarebbe imminente la scarcerazione. Nel 2008 i rapporti tra USA e Russia non erano tesi come adesso, perciò l'offerta nucleare di Putin, anche se tale da allarmare gli ambienti sionisti - che non chiedono altro che di potersi allarmare -, non rappresentava di per sé un elemento che potesse configurare un mutamento del quadro delle alleanze. Ma le considerazioni di carattere strategico non sono sempre determinanti nel far sì che un leader politico venga inserito nella lista nera; spesso gli affari possono assumere un ruolo prioritario nell'orientare le scelte. Ed in questo caso si tratterebbe del business delle armi. Anche un presidente corrotto e filoamericano come Mubarak può essere finito nel mirino per aver pensato di fare i propri affari mettendo in concorrenza i propri fornitori di armi.
C'è anche da considerare che le cosiddette "primavere arabe" sono avvenute durante la segreteria di Stato di Hillary Clinton. Il clan dei Clinton ha sempre dato molto spazio alle agenzie private di politica estera, dato che gli stessi Clinton gesticono una di queste agenzie, la
Clinton Foundation, particolarmente attiva in Africa, con al seguito cordate di multinazionali come la Coca Cola.
Le fondazioni ed i "centri studi" privati non sono altro che lobby commerciali e finanziarie che, invece di seguire la via tradizionale dell'influenzare la linea del Dipartimento di Stato, si fanno soggetti attivi per determinare modificazioni sostanziali del quadro internazionale, ovviamente funzionali ai loro affari. La "soluzione creativa" elaborata dal gruppo di George Soros nella destabilizzazione dell'Europa dell'Est, è stata quella delle "rivoluzioni colorate", attuate non soltanto con la costruzione di falsi movimenti popolari, ma anche attraverso la manipolazione di movimenti già esistenti.
La manipolabilità dei movimenti deriva da una loro vulnerabilità oggettiva, di cui perciò non si può attribuire la colpa a questo o a quello. Per loro natura, i movimenti sono caratterizzati da un'impostazione volontaristica, autoeducativa e proselitistica. Dopo un'iniziale individuazione degli obiettivi, i movimenti tendono col tempo a concentrarsi più su loro stessi che sul nemico, con la conseguenza che l'imperialismo tende a diventare più una astratta categoria morale che una presenza fisica, minacciosa ed incombente. Nei movimenti anche la normale circolazione delle informazioni viene ostacolata da un dibattito interno troppo condizionato dagli eccessi di autocritica, perciò un'infiltrazione ben organizzata e finanziata può facilmente assumere il controllo della situazione.
La stessa efficienza dimostrata da agenzie come l'ICG nel destabilizzare alcune aree, può essere diventata un limite quando ha perso di vista il quadro d'insieme. In questi anni ci sono stati infatti gli attacchi della NATO contro Libia, e quello ancora in atto contro la Siria, che è andato a minacciare direttamente la sicurezza regionale della Russia. Le forze armate russe sono riuscite ad imporre al Cremlino un atteggiamento un po' più fermo nella difesa di Assad e della base navale russa di Tartus; un atteggiamento che è culminato recentemente con la
fornitura di missili antiaerei, che di fatto blocca la prospettiva di un intervento ancora più diretto della stessa NATO in Siria.
Circa un mese fa si sono svolte in Russia le più grandi manovre militari dalla fine dell'Unione Sovietica, a conferma che la situazione è in movimento e che le forze armate russe si sono reinserite a pieno titolo nel gioco politico. Le esercitazioni militari non hanno una funzione soltanto strategica, ma costituiscono vere e proprie vetrine di sistemi d'arma. La decisione di Obama di sospendere le previste manovre militari congiunte tra USA ed Egitto può essere stata dettata perciò anche dalla preoccupazione di non essere in grado di offrire mercanzie altrettanto allettanti e, di conseguenza, di difendere il business facendo la faccia feroce. Al contrario, Putin ha potuto esibire pubblicamente il suo sorriso più smagliante durante le
manovre militari russe.
Ai primi di agosto uno dei principali acquirenti delle armi russe è stata proprio l'Arabia Saudita, di solito fedele cliente del Pentagono. Già nel 2008 si era parlato di un
acquisto di armi russe da parte dell'Arabia Saudita, ma l'affare, sebbene con tutte le firme a posto, non era andato in porto. I commentatori hanno visto in questa iniziativa saudita un tentativo di "pagare" un disimpegno russo nei confronti di Assad. Ma potrebbe anche trattarsi di un effetto del successo della "vetrina" delle esercitazioni militari russe del luglio scorso.
Putin ha svolto in questi anni una funzione di mediazione tra i soli due poteri che contano in Russia, Gazprom e le forze armate. Finora questa mediazione è risultata quasi sempre sbilanciata a favore di Gazprom; ma oggi in Russia non è più soltanto Gazprom a poter brandire la bandiera degli affari, dato che anche le forze armate possono vantare i loro mega-business. Cominciano quindi a risultare meno probabili i cali di brache come quello di Medvedev nel 2010, quando la Russia accettò addirittura di collaborare allo
scudo antimissile che gli USA stanno allestendo in Europa Orientale proprio in funzione anti-russa.
L'attuale svolta militaristica della Russia potrebbe dimostrarsi duratura, in quanto legata non soltanto all'alea del sentimento nazionale della patria minacciata, ma ora anche allo stabile traino del business della vendita delle armi. Il denaro non è soltanto un catalizzatore delle avidità personali e di cosca, ma, dal punto di vista sociologico, rappresenta un fattore di continuità e di senso. Il denaro gode infatti di una sorta di privilegio morale che lo esenta dalla corvée delle legittimazioni e delle giustificazioni, mentre ogni altra motivazione non venale comporta il diritto/dovere di intasare la comunicazione con i propri dubbi e le proprie angosce esistenziali. Ma il denaro possiede anche un enorme potere illusionistico, per il quale a volte si crede di sostenere delle idee e delle istituzioni, mentre in realtà si sta seguendo il denaro che le foraggia. Persino la vicenda del tanto mitizzato fondamentalismo islamico dovrebbe essere riletta alla luce di questa ovvietà, visti gli storici e massicci finanziamenti delle petromonarchie ai movimenti islamici.
Una delle maggiori obiezioni nei confronti dell'umanesimo riguarda la posizione di incolmabile vantaggio che ha la menzogna nei confronti di ogni tentativo di ristabilire la verità dei fatti. Quel dispendioso apparato di intrattenimento e pubbliche relazioni che va sotto l'etichetta di "democrazia", abitua un po' tutti alla menzogna fondamentale, cioè quella dell'esistenza di una "libertà", per quanto relativa; ed il confine tra il crederci ed il far finta di crederci, è sempre più labile di quanto ci si aspetterebbe.
Un altro dei grandi supporti della menzogna è la cattiva memoria, che consente alla menzogna stessa di ripresentarsi e perpetuarsi ad onta delle smentite. Ma anche quando una menzogna sia stata smascherata, ciò non ristabilisce la verità, poiché è possibile sterilizzare il dato acquisito con un'ulteriore rete di falsità. Lo scorso anno una delle fonti di informazione considerate più autorevoli, la britannica BBC, presentò come immagine inedita di una strage attribuita al governo siriano una
vecchia foto del 2003, scattata in Iraq. Una volta scoperto il falso, volenterosi commentatori accorsero in soccorso della BBC, ipotizzando che questa fosse caduta in una trappola tesa dallo stesso governo siriano per screditare l'informazione che lo riguardava.
L'argomento era chiaramente autocontraddittorio, poiché un organo d'informazione dotato dei mezzi della BBC, avrebbe potuto cadere in una trappola del genere soltanto se irrimediabilmente prevenuto e privo di intenzione di verificare i fatti. In questi giorni la propaganda occidentale ritorna all'attacco accreditando la versione fornita dai sedicenti "ribelli" siriani e dall' organizzazione "Medici senza Frontiere" su un presunto attacco chimico al gas nervino compiuto dalle truppe di Assad.
"Medici senza Frontiere" ammette di non poter provare scientificamente l'uso di armi chimiche, ma "lo suggerisce con forza". Un bellissimo ossimoro, roba da poeti senza frontiere.
In un altro commento, proveniente proprio dalla "autorevole" BBC, si mettono le mani avanti rilevando la
stranezza di un attacco del genere nel momento in cui Assad apre la porta agli ispettori ONU; ma poi tutti i dubbi vengono annegati sotto la presunta evidenza delle presunte prove. In effetti di evidente c'è soltanto l'ostilità dei media ed il loro zelo nel confezionare un casus belli.
Fortunatamente si può mentire solo sino ad un certo punto, dato che la verità riesce ad aprirsi un varco persino tra le righe delle dichiarazioni più mendaci, perciò le intenzioni nascoste tendono a scoprirsi. Purtroppo bisogna fare lo sforzo di cercare questi barlumi di autenticità. Il segretario di Stato USA,
John Kerry, si dichiara sicuro che le armi chimiche siano state usate in Siria, e che gli ispettori ONU non potranno che accertarlo. Ma da dove gli deriverebbe tanta sicurezza, se lui non ci avesse niente a che fare con l'uso di quelle armi chimiche?
Attualmente sulla questione siriana è in atto uno scontro diplomatico tra gli Stati Uniti ed una Russia che sembrerebbe proiettata verso un nuovo protagonismo; sebbene occorra ancora aspettare per essere sicuri che anche Assad non finisca nella lunga lista di quelli mollati da Putin, insieme con Milosevic, Saddam Hussein e Gheddafi. L'attuale
fermezza russa non appare sufficiente per scoraggiare le pose aggressive dell'amministrazione statunitense, la quale però tiene a precisare che comunque non agirebbe da sola. Ancora una volta si scopre che sono gli "alleati" il perno di ogni operazione colonialistica.
Che non si riesca mai a mentire del tutto, ce lo ha dimostrato anche il Presidente del Consiglio Enrico Letta nella sua visita della settimana scorsa ai militari italiani in Afghanistan. La sua prosa è degna di un'estesa
citazione: "... noi siamo parte di un sistema in cui ognuno fa la sua parte. Nessun paese libero può sottrarsi agli impegni di stabilizzazione per la pace. Solo con la NATO, l'ONU e l'Unione Europea possiamo risolvere insieme i problemi che il terrorismo e l'assenza di pace comportano. "
Quindi, secondo Enrico Letta, l'essere un Paese "libero" consiste nel far parte di un sistema dai cui obblighi non si scappa, e quando la NATO, l'ONU e la UE ordinano, si obbedisce e basta. Allora, chi è il Paese militarmente occupato? L'Afghanistan, o noi?
Uno dei punti di forza della propaganda imperialistica consiste in una sorta di aspetto ludico, cioè nell'entrare a far parte di un'opinione pubblica "occidentale" che può giocare ad interpretare il ruolo del giudice, condannando e perseguitando il "dittatore pazzo" di turno. Si tratta di un gioco che coinvolge emotivamente come un videogame, ma che ti consente anche di coltivare l'illusione di un'inesistente distanza dai guai. In realtà ogni volta che un Paese viene indotto a partecipare ad una di queste aggressioni, poi l'aggressione si risolve in un maggiore controllo coloniale della potenza dominante sui suoi "alleati". La collaborazione militare tra i Paesi NATO diventa non solo occupazione militare di un territorio come quello italiano, ma anche crescente integrazione delle forze armate del Paese occupato con quelle dell'occupante. Non soltanto il territorio italiano non è più italiano, ma nemmeno le sue forze armate. La perdita della moneta nazionale è la diretta conseguenza della perdita delle forze armate. L'apparato tradizionale dello Stato nazionale è stato riconvertito dall'imperialismo in una macchina funzionale alla colonizzazione.
Giocare a fare l'Occidente per un Paese come l'Italia quindi è nocivo, eccome. La coincidenza delle date può essere indicativa. Nel 2011 l'Italia partecipò all'aggressione della NATO contro un Paese amico ed economicamente complementare, la Libia, il cui leader era stato opportunamente criminalizzato da una campagna mediatica. A poche settimane dalla conclusione della guerra libica, anche l'Italia ne fece le spese al
vertice G20 di Cannes del novembre 2011, nel quale il Buffone di Arcore, ancora nella carica di Presidente del Consiglio, acconsentì ad aprire i libri contabili dell'Italia a cicliche ispezioni del Fondo Monetario Internazionale, cioè il braccio finanziario della NATO. L'ultima ispezione del FMI si è conclusa poco più di un mese fa. La condizione coloniale dell'Italia è stata quindi esplicitamente formalizzata dall'atto di sottomissione al FMI da parte di un Presidente del Consiglio che molti commentatori si ostinano ancora a presentare come un avversario dei "poteri forti" sovranazionali.
L'imperialismo viene spesso ridotto ad una categoria astratta, come se si trattasse di una semplice gerarchia dei rapporti internazionali, senza tener conto che la gerarchizzazione comporta privilegi da una parte e servitù dall'altra; perciò la condizione di subordinazione comporta il passare per il tritacarne della colonizzazione economica e finanziaria: disoccupazione, precarizzazione, delocalizzazione, indebitamento, crescente prelievo fiscale, distruzione della previdenza, dell'istruzione e della sanità pubbliche. Si tratta di quelle che, nel gergo FMI, si chiamano "riforme strutturali". A fare il lavoro più sporco delle "riforme strutturali" per conto del FMI, è stato però Mario Monti, quindi il Buffone è riuscito ancora una volta a rigenerare la sua immagine "antagonistica" da povero perseguitato, giocando sulla distrazione e sulla cattiva memoria dei suoi irriducibili fans, sempre pronti a dare la colpa alle donne o ai meridionali. A proposito di bugie dalle gambe lunghe.
L'unico argomento a favore di Monti è sempre stato quello che "almeno ci ha liberato dal Buffone". Oggi scopriamo che Monti invece era lì per porre le basi del riciclaggio e della eternizzazione del Buffone, cioè del burattino del FMI. Un'eventuale aggressione diretta della NATO contro la Siria vedrebbe come scontata la partecipazione italiana, ed a sancirne il risultato sarebbe ovviamente un'ulteriore stretta coloniale a base di "riforme strutturali" di marca FMI.