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""Napoli" è una di quelle parole chiave della comunicazione, in grado di attivare nel pubblico un'attenzione talmente malevola da congedare ogni senso critico, per cui tutto risulta credibile."

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 13/02/2013 @ 01:13:39, in Commentario 2013, linkato 1935 volte)
La notizia dell'abdicazione del papa ha sottratto per un po' al Buffone di Arcore il centro dell'arena mediatica, proprio mentre questi era tanto preoccupato che il festival di Sanremo potesse mettere in ombra il suo festival di promesse elettorali. Da parte dell'opinione di sinistra si ripete il consueto errore di considerare il risveglio dell'elettorato del PdL come una dimostrazione di fiducia nelle promesse del Buffone. Forse ci sarà pure qualcuno davvero disposto a credere a quelle promesse, dato che a questo mondo c'è di tutto; ma non è questo il punto. L'elettore di destra ha udito il suo leader affermare di essere stato "costretto" a votare l'IMU in parlamento; così come magari fu "costretto", da Presidente del Consiglio, a varare nel 2005 la legge istitutiva che diede vita ad Equitalia.
Allo stesso modo, il Buffone potrà benissimo essere "costretto" a rimangiarsi la promessa di abolire e rimborsare l'IMU, magari per colpa della farraginosità della Costituzione, che gli avrebbe sempre impedito di governare come lui vorrebbe e saprebbe. Queste cose l'elettore di destra le sa o le intuisce benissimo. Ciò che l'opinione di sinistra invece tende sempre a sottovalutare, è la portata ideologica di alcuni slogan ripresi dal ghost writer del Buffone, a cominciare dal concetto di costrizione.
Per decenni la destra ha giustificato la fuga del re Vittorio Emanuele III nell'8 settembre del '43, argomentando che lo stesso re fu "costretto" alla fuga. I nostalgici del re potevano essere contemporaneamente nostalgici anche di Mussolini, sorvolando sul fatto che i due nel '44 e nel '45 erano stati su sponde opposte, da nemici a tutti gli effetti. In fondo erano stati entrambi "costretti".
La pietra angolare dell'edificio ideologico della destra è infatti il vittimismo. La mitologia dominante ci presenta la ricchezza come una fortezza assediata dall'invidia e dalle lamentele dei poveri. La subalternità ideologica della sinistra si dimostra continuamente nell'incapacità di uscire da questa visione, perciò i ricchi possono essere considerati al massimo colpevoli di indifferenza; e quindi la povertà viene interpretata come uno spiacevole effetto collaterale di tale indifferenza.
Non sarebbe niente di grave se la mitologia del "ricco soddisfatto" se la coltivasse solo la destra; purtroppo è la sinistra ad incentivare il mito dell'indifferenza del ricco, così come viene rappresentato nella parabola del ricco Epulone del vangelo di Luca. La posizione di sinistra si riduce quindi ad un problema di redistribuzione della ricchezza, magari aumentando le tasse ai ricchi.
I ricchi invece si occupano dei poveri, eccome. Il vero problema è infatti che dal vittimismo padronale viene fatta discendere la necessità di un assistenzialismo per i ricchi, con la conseguente urgenza di comprimere le pretese dei poveri, costringendoli persino a versare un'elemosina ai ricchi. Non è affatto vero che i ricchi si disinteressino dei poveri; anzi, li considerano una vacca da mungere.
Che la ricchezza sia un fenomeno socialmente assistito, e che la povertà venga coltivata come il principale dei business, sono concetti scomparsi nella sinistra attuale. Anche il fatto che la ricchezza sia socialmente aggressiva, una forma di guerra permanente dei ricchi contro i poveri, per la sinistra è ormai roba da ufficio dei concetti smarriti.
Ciò che si sta attuando in queste settimane è quindi un risveglio identitario della destra, sotto la vecchia e gloriosa bandiera ideologica del vittimismo. Più le promesse del Buffone suonano assurde, più il votarlo conferisce efficacia al dispetto che si fa alla cosiddetta sinistra.
Ma il voto identitario non è certo quello che fa vincere le elezioni. Il voto ideologico è vischioso, e ciò che decide alla fine è lo spostamento delle masse di suffragio gestite dalle baronie del controllo del voto. Anche il voto di scambio non è sempre infallibile nei risultati, ma se rimane qualche regione in bilico, un'aggiustatina la si può sempre fare al Viminale. La questione del voto di scambio non va ridotta ai casi dei voti comprati per cinquanta euro, ma riguarda il controllo sociale dei territori. La fine della cosiddetta prima Repubblica è stata segnata dalla morte di grandi baroni del voto, come Toni Bisaglia in Veneto, Carmine Mensorio in Campania e Salvo Lima in Sicilia. Il primo morì per un "incidente", il secondo fu "suicidato", e solo il terzo fu ammazzato platealmente. Da circa due anni le baronie del voto sono in posizione attendistica, ed occorrerà vedere chi avrà la disponibilità finanziaria per andare a riallacciare i rapporti e stringere i patti di scambio. I casi della Tunisia e dell'Egitto costituiscono esempi significativi delle fortune elettorali del candidato/denaro. In questi due Paesi le formazioni religiose si sono infatti avvalse dei finanziamenti dell'Emiro del Qatar, Al Thani, così che la tanto decantata laicità della società egiziana e della società tunisina è andata a farsi benedire.
Il sito del Consiglio Atlantico della NATO non si fa neanche scrupolo di ammettere che è proprio Al Thani a finanziare la "democrazia" in Siria, rifornendo di armi i "ribelli", cioè i propri mercenari; alla stessa maniera in cui era stata portata la democrazia in Libia. Eppure si tratta di ingerenze illegali e di violazioni palesi della Carta dell'ONU. Ma il Qatar ormai fa parte a tutti gli effetti della NATO, perciò non è tenuto a rispettare il diritto internazionale.
Lo stesso sito del Consiglio Atlantico non si fa problemi a farci sapere che è sempre Al Thani lo sponsor dei Fratelli Mussulmani in Egitto, andando persino in rotta di collisione con l'orientamento dei suoi alleati degli Emirati Arabi Uniti.
Al Thani non si è limitato a comprarsi il voto in Tunisia; ora si sta comprando tutta la Tunisia, con un miliardo di dollari, tanto per cominciare. Ma l'arrivo di tutto questo denaro non è soltanto un modo per acquistare un Paese, ma anche una tecnica per destabilizzarlo, come dimostrano le vicende di questi giorni.
In base alla fiaba ufficiale il ricco Al Thani, invece di fare tanto il facinoroso, dovrebbe starsene tranquillo e soddisfatto a godersi i suoi soldi, magari infastidito ogni tanto dalle querule rivendicazioni dei poveri. Anche a proposito del Buffone di Arcore si sente ancora spesso la domanda sul perché uno che ha tutti quei soldi, invece di farsi i fatti suoi, voglia occuparsi di politica. Si tratta di una domanda retorica, che sottintende che lui è troppo buono. L'eccesso di bontà potrebbe essere il difetto caratteriale anche di Al Thani. L'eccesso di bontà è infatti l'unico difetto che i potenti sono disposti a riconoscersi.
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Di comidad (del 20/02/2013 @ 01:31:59, in Manuale del piccolo colonialista, linkato 1790 volte)
Vittimo-colonialismo: il dominio piagnone degli USA

Il ciclico lamento sul declino definitivo del dominio economico USA, è diventato ormai una consuetudine. I competitor più diversi si presentano però a sfidare il gigante statunitense solo per dover battere in ritirata dopo qualche tempo. E' stato così per il Giappone che, sconfitto in guerra, si sarebbe poi preso la rivincita sul piano industriale. E' avvenuto lo stesso anche per quelle che vennero definite, con enfasi salgariana, le "tigri asiatiche". Più di recente è toccato alla Cina e all'India. Secondo la "Maonomics" di Loretta Napoleoni, il capi-comunismo cinese avrebbe messo in crisi il binomio democrazia-capitalismo; mentre Federico Rampini ha coniato il termine "Cindia" per indicare l'accoppiata delle potenze che avrebbero surclassato gli USA. Altri ancora hanno aggiunto anche la Russia e il Brasile nell'acronimo BRIC dei nuovi dominatori economici. Eppure tutta questa retorica vittimistica sul declino USA assomiglia all'analogo vittimismo sulla minaccia terroristica; sembra cioè costruita ad arte per riaffermare l'invincibilità degli USA, in questo specifico caso del loro modello economico. Al di là dei pianti, i segnali dell'ennesimo trionfo USA si moltiplicano: la Fiat chiude in Italia, ma la Crysler è in pieno sviluppo; l'industria statunitense ha superato brillantemente la crisi provocata dalla finanza statunitense; si scoprono immensi giacimenti di gas che dovrebbero rendere autosufficienti gli USA sul piano energetico (notizia che suscita l'entusiasmo anche di certi commentatori di "sinistra": se gli USA diventano autosufficienti sul piano energetico, non avranno più la necessità di aggredire per procurarsi le risorse di cui hanno bisogno; come se l'aggressione coloniale avesse in sé qualcosa di "necessario".); i capitalisti americani tornano dalla Cina per poter investire con più soddisfazione negli USA.
In realtà molti di questi "miracoli" sono resi possibili dalla solita ricetta: rapinare i più poveri; sfruttare la classe operaia più affamata; riaffermare il controllo totale in fabbrica con il ricatto della delocalizzazione. E' noto che recentemente agli operai della Ford è stata imposta una drastica riduzione di salario, anche a fronte di una crescita dei ritmi di sfruttamento o, come si dice oggi, di produttività e di utili. Mentre gli operai sudcoreani della Hyunday e della Kia hanno appena ottenuto l'abolizione del turno di notte, gli operai americani (ma anche quelli britannici della Land Rover, oggi di proprietà indiana) sono stati costretti, con la complicità dei sindacati, a subirne il ripristino. E tuttavia l'enfasi data a questo ritorno trionfale del potere economico USA (cfr. "l'Espresso" 7 febbraio u.s.) sottintende l'idea che se il lavoratore si piega alle esigenze del capitale, accettando diminuzione del salario e aumento dell'orario, tutta la nazione ne tragga benefici. In realtà l'aggressione del capitale nei confronti dell'operaio non è determinata dall'andamento economico, ma dalla semplice possibilità di attaccare.
Quando il guru della Apple, Steve Jobs, morì nell'ottobre 2011 cominciò un lungo processo di beatificazione che dura ancora oggi, e rispetto al quale, quello allestito per Madre Teresa di Calcutta sembra un sobrio e laico attestato di simpatia. Su Jobs sono stati spesi migliaia di articoli, centinaia di libri, nei quali, con varie gradazioni, si esaltava il personaggio: la vera personificazione dello spirito creativo del capitalismo, l'imprenditore più geniale di tutti i tempi, il genio inventivo degli ultimi cento anni, l'alternativa brillante al grigio profeta della Microsoft, Bill Gates..., e via delirando. Ma il vero spirito creativo di Jobs lo si è scoperto nelle fabbriche cinesi dei suoi gadget tecnologici.
La Foxconn, azienda criminale cinese che gestisce gli impianti a capitale occidentale in Cina, organizza anche i lager della Apple. In questi posti infernali un operaio guadagna due dollari l'ora, dorme in dormitori con sei-otto letti per un affitto di 16 dollari al mese; i turni di lavoro sono di almeno 12 ore al giorno per sei giorni su sette. Le fabbriche di Chengdu (120.000 operai) e quelle di Shenzhen (230.000) lavorano 24 ore su 24; il numero delle ragazzine operaie è molto alto e fra queste è altissimo il tasso di suicidi, o di operai che muoiono letteralmente di fatica sul lavoro. Secondo la propaganda ufficiale, la Apple è oggi l'azienda di maggior successo al mondo. Ma l'unica contromisura messa in atto dalla Foxconn per limitare i suicidi, è stata (forse su suggerimento dei creativi della Apple) quella di circondare le fabbriche con reti utilizzate solitamente per gli incendi, in modo da impedire alle operaie di uccidersi cadendo al suolo quando si lanciano dalle finestre.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


21/11/2024 @ 17:42:40
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