Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La
Legge 448/2001, all'articolo 41, dava avvio ad una delle più gigantesche operazioni di colonialismo finanziario della Storia, aprendo agli enti locali italiani la possibilità di accedere all'investimento internazionale in titoli derivati. Allora il ministro del Tesoro Giulio Tremonti non aveva ancora scoperto la sua vocazione di "critico" della finanza globale, e così contribuì con entusiasmo ad organizzare la truffa in cui sono incorsi centinaia di Comuni italiani, compresi i due maggiori, Roma e Milano.
La Legge 448/2001 fu voluta dal governo di centrodestra, ma il coinvolgimento nella truffa fu trasversale, dato che mentre a Milano il sindaco Moratti si lasciava irretire da Deutsche Bank, a Roma era invece il sindaco di centrosinistra Veltroni a cedere alle lusinghe di JP Morgan. Come hanno riportato le cronache di questi giorni, il nome di Deutsche Bank non ricorre solo nell'inchiesta giudiziaria per la frode al Comune di Milano, e nelle relative condanne in primo grado, ma anche nell'attuale inchiesta giudiziaria sulla frode-derivati che coinvolge i vertici del Monte dei Paschi di Siena.
Nello scorso dicembre Deutsche Bank era stata
denunciata alla magistratura americana da alcuni ex dipendenti, sempre per una frode legata ai soliti titoli derivati. La stessa Deutsche Bank era già sotto
inchiesta negli Usa dall'agosto scorso per riciclaggio di denaro sporco; anche se l'improvvisa severità statunitense era dovuta al motivo contingente che le operazioni di riciclaggio avrebbero parzialmente coinvolto persino l'Iran.
C'è sempre pronto un alibi emergenziale per poi far finire in nulla queste inchieste giudiziarie, come si è visto nel caso di Goldman Sachs, poiché si può sempre evocare il rischio di una catastrofe finanziaria nel caso che una grande banca dovesse fallire. Ma è solo il pretestuoso feticcio del privato a creare queste incombenti emergenze, poiché non viene fornito alcun argomento serio per dimostrare che un pletorico e corrotto "carrozzone pubblico" debba far peggio degli attuali banchieri privati. Tanto più che, spesso, le privatizzazioni non fanno altro che riciclare nelle nuove SpA lo stesso management che prima operava nel pubblico; offrendogli però le maggiori possibilità di malversazione offerte dal diritto privato.
A rafforzare il feticismo del privato ci pensa, stranamente, proprio il ceto politico. I toni della campagna elettorale hanno infatti consentito ai media che contano (i media "mainstream", come si dice oggi) di porre al centro dell'attenzione la polemica sulle responsabilità del Partito Democratico senese nella gestione del Monte dei Paschi di Siena. Il finanziere Alessandro Profumo, l'uomo chiamato l'anno scorso a salvare il Monte dei Paschi di Siena, si è potuto così permettere di minimizzare tutta la questione, come se si fosse trattato di un banale problema di ingerenza dei partiti nella gestione della banche. Una volta resa autonoma la banca dalla politica, tutto sarebbe risolto.
Se i politici si prestano a fare da paravento e parafulmine per conto del colonialismo finanziario delle multinazionali del credito, non è certo per altruismo. La politica infatti non è altro che una delle tante forme del lobbying delle multinazionali. Quando un ex Presidente del Consiglio, ex ministro del Tesoro ed ex ministro degli Interni lascia la carriera politica attiva per diventare
advisor di Deutsche Bank, ciò dovrebbe ragionevolmente suscitare un minimo di perplessità e di discussione politica e mediatica. Invece nulla.
Per avere un quadro esauriente del fenomeno del lobbying, la lista dei politici che hanno incarichi di consulenza nelle grandi banche andrebbe completata con i nomi dei loro parenti che fanno carriera dirigenziale in qualche multinazionale. La tangente è illegale, ma nessuna legge potrà mai vietare che il figlio o il nipote di un politico diventi dirigente di una banca.
Ma è nelle organizzazioni internazionali che il lobbying trova la sua sede privilegiata. Ad esempio, l'OCSE - un'emanazione del Fondo Monetario Internazionale - può anche inviare ai vari governi le sue "raccomandazioni" (sempre il solito assistenzialismo per ricchi:
privatizzare i servizi pubblici e abolire le tutele del lavoro), e può persino pretendere che vengano rovesciati i risultati del referendum sull'acqua, senza che nessun commentatore ufficiale si faccia venire qualche dubbio sulla credibilità dell'impalcatura "democratica".
I candidati elettorali che maggiormente rivendicano il loro carattere alternativo al sistema, sono poi quelli che più insistono sulla corruzione del ceto politico italiano invece che sull'ingerenza coloniale della NATO, del FMI o del WTO. Anzi, in molti discorsi elettorali degli "alternativi" non mancano neppure i toni celebrativi nei confronti dei mitici "modelli democratici" degli USA o della Gran Bretagna.
Sta di fatto che ora nell'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena è spuntato il nome anche dell'altro mago dei derivati, cioè la famigerata
JP Morgan. Nonostante tutta la buona volontà dei media e dei candidati elettorali, far passare davanti all'intera opinione pubblica l'affare MPS solo per una questione interna italiana sarà comunque difficile.
In molti si sono domandati il motivo per cui Mario Monti ha scelto di sottoporsi alle umiliazioni ed alle figuracce di una campagna elettorale, quando invece il Partito Democratico aveva già ritagliato per lui un ruolo di "padre nobile" super partes, al culmine del quale era prevista la sua elezione alla Presidenza della Repubblica. Da quella comoda posizione, Monti avrebbe potuto etero-dirigere l'azione di governo di Bersani, sia con il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio, sia con il ricatto costante della fazione veltroniana di ultra-destra interna al PD. La lista Monti ha persino funzionato per Bersani da utile bidone della spazzatura, consentendogli di disfarsi senza traumi di quella spina nel fianco che era per lui il sedicente giuslavorista Pietro Ichino, che rischiava di alienargli i voti di molti iscritti della CGIL.
Se Monti è stato costretto ad umiliarsi in questo modo, non è stato probabilmente per scelta personale, ma per ordine dei suoi mandanti del Consiglio Atlantico della NATO. Evidentemente, si è arrivati ad un punto tale per cui il sistema di dominio coloniale non può più permettersi neppure una finzione di normalità. Il creare confusione e destabilizzazione diventa quindi uno schema obbligato, e le drammatizzazioni artificiose di una campagna elettorale servono anche a mistificare i drammi reali e la loro vera origine.
Nel maggio dello scorso anno arrivava la
notizia della perdita di una cifra dai due ai tre miliardi di dollari da parte della banca JP Morgan; manco a dirlo, per operazioni sui titoli derivati. E qui nessuno ha potuto scaricare la colpa sull'ingerenza dei partiti politici.
JP Morgan, sino a quel momento, era considerata l'unica banca ad essere uscita relativamente indenne dalla tempesta finanziaria del 2008. Il "chief executive" di JP Morgan, Jamie Dimon, aveva addirittura ispirato un libro celebrativo, con un titolo che riecheggiava quello di una nota canzone, e che però sembrava più il titolo di un film western : "
Last Man Standing".
Invece anche per Dimon - che alcuni avevano già ribattezzato "Dillon", come il personaggio dello sceriffo di Dodge City della serie televisiva, interpretato da James Arness - è arrivato il momento di soccombere nella sparatoria. A gennaio di quest'anno la perdita subita da JP Morgan per i derivati ammontava già a sei miliardi e duecento milioni di dollari, cosa che ha comportato per Dimon l'umiliazione non solo delle rituali
indagini di FBI e senato, ma anche di una sorta di inchiesta interna alla banca, compiuta da un'apposita task force. Probabilmente anche i sei miliardi e rotti sono solo una cifra di comodo che dovrà essere rivista al rialzo.
Era scontato che si manifestasse l'effetto a catena, con analoghe voragini finanziarie anche in altre banche che avevano avuto partnership con JP Morgan, tra le quali Monte dei Paschi di Siena, per gli ormai famosi e famigerati "bond fresh"; un nome che era già tutto un programma. Lunedì scorso vi è stato l'atteso "lunedì nero" della Borsa di Milano, solo parzialmente recuperato nei giorni successivi. Per fortuna era già tornato alla ribalta il Buffone di Arcore - indirettamente rilanciato a livello mediatico dallo stesso Monti - per prendersi la
colpa del tracollo.
Il continuo aggravarsi della crisi finanziaria mette in ridicolo i discorsi sulla "crescita". Persino le buone intenzioni di creare leggi e regolamenti che limitino gli abusi della finanza e del rating, assumono oggi il senso di una caricatura. Tutto ciò diventa infatti il proverbiale chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati.
Ma JP Morgan mantiene le sue ben note posizioni di forza all'interno del Consiglio Atlantico. L'intreccio tra militarismo e finanza in un periodo del genere non può che esaltarsi, poiché un sistema in acuta crisi economico-finanziaria non è in grado di sopportare che esistano dei poli di attrazione ideologica che possano costituire, anche vagamente, un'alternativa. La guerra non si configura soltanto come il solito mega-business, dato che l'auto-santificazione dell'Occidente la rende anche un'ineludibile scadenza ideologica. L'attacco da parte dei bombanchieri della NATO contro l'Iran è ormai all'ordine del giorno.